La parte più patetica è proprio questa: pensi di comunicare e ti ritrovi solo, a monologare con te stesso. Ma dove diavolo sono finiti tutti? E soprattutto quand’è che se ne sono andati?!
Intortolato su te stesso, parli-mangi-vivi solo per te stesso. Ti sorprendi che il resto del mondo di te non si curi. Ti offende questa indifferenza che il mondo ti riserva. Ma in fin dei conti cosa ne sa il mondo? Chi sarà mai questo resto-del-mondo! Bravo, continua a parlarti addosso e poi fatti l’applauso.
Le cose possono essere molto semplici o dannatamente complicate, siamo noi a scegliere la modalità in cui piantarci e poi è difficile sradicarsi da lì e cambiare. Chi semplifica molto fa della superficie la sua pista di pattinaggio, può fare scintille ma le scintille non scaldano, non sono fuoco. Chi la fa molto complicata ama il melodramma e si identifica con il santo-genio-martire che nessuno apprezza come merita perché l’invidia è una brutta bestia.
Non tutto vale la pena di essere vissuto in profondità, ma se stai in superficie fallo per una boccata d’aria buona non per codardia. Almeno quello, dai.
Ci sono molte scelte che facciamo e si riducono a una manciata di niente, tonnellate di coraggio sprecato e di buonsenso umiliato. Ci sono parole a non finire per tutto quello che abbiamo fatto o non abbiamo fatto e sono poche quelle che veramente contano. Ci sono pensieri che quando escono sanno farsi ascoltare, sanno farsi amare. Quelli sono i monologhi che preferisco, e raramente hanno drammaturgie troppo raffinate. La semplicità non è svuotare, ma riempire il pensiero di respiri, in leggerezza.
Son fatti così i monologhi che lasciano il segno.