(551) Riduzione

Quando la situazione è disastrosa mi faccio prendere dal panico perché penso che non riuscirò mai a sanarla. Mai. In questo stato d’animo non sono in grado di fare nulla, sono congelata. Dopo un imprecisato numero di giorni – da 1 a 1000 – mi rompo le scatole di essere congelata e mi sposto un po’ più in là, in una posizione meno estrema del “mai”.

La situazione mi risulta sempre disastrosa, ma come è caduto il “mai” va a cadere anche il “per sempre”. Questo è già un passo in avanti. Quindi dal disastroso-non-per-sempre posso cercare di lavorare riducendo anche minimamente la portata del disastro. La parte difficile comincia proprio lì.

Il punto è che se non arrivo a questo “lì” niente cambia. Se l’esasperazione non mi spingesse fino a quel benedetto male-che-vada-non-potrà-essere-peggio-di-adesso, non ci sarebbe alcuna riduzione del danno e alcun miglioramento.

Però poi inizia il lavoro duro, i risultati non proprio esaltanti, le aspettative schiacciate a terra e il morale che non fa proprio il mambo mentre striscia in un angolo. Se supero i 90 giorni senza mollare, le cose mutano forma e magari anche sostanza. Insomma: tutto subito non è contemplato nel mio karma.

Sono al punto “lì” e non è che mi senta proprio quella che avrà la meglio. Guardo la situazione e mi sembra davvero disastrosa, anzi, è proprio disastrosa. Solo che da sola non migliorerà. No. Quindi tanto vale che io mi autoinfligga il sacrificio che merito per aver lasciato andare le cose fin dove sono ora e che mi metta nelle condizioni di sudarmi la ripresa.

Mi basta ridurre il disastro, stavolta, non penso di poterlo sanare, ma ridurre un po’ sì. Almeno di un terzo. Saranno novantagiornilunghissimi, spero soltanto che alla fine di questo periodo riuscirò a ballare un mambo. Mah!

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