(1055) Verificare

Se andiamo sulla fiducia non ci facciamo un buon servizio. Bisognerebbe riuscire a verificare ogni dettaglio che ci riguardi – sia da vicino che da lontano – e accertarci che le cose siano esattamente così come sembrano. O almeno che non siano tutta un’altra cosa. Il più delle volte non ci prendiamo la briga neppure di fare una domanda in più per essere sicuri che chi abbiamo di fronte non ci stia mentendo. Fare domande è una cosa seria, devi essere pronto a ricevere anche la risposta che non ti aspetti. Devi essere dotato di una certa tempra.

E così nascondiamo la testa sotto la sabbia e il culo ci rimane fuori, e come ben possiamo immaginare è proprio un attimo.

La cosa più ovvia è quella di tenere allertato il nostro senso critico almeno quando viaggiamo in internet o guardiamo la televisione o leggiamo i giornali. Almeno quello. Ma non lo facciamo. Ci affidiamo al primo idiotone che arriva sparando una castronata e partiamo per la tangente. Questo perché ci piace indignarci alla cazzo. Così come viene.

La cosa meno ovvia è quella di saper guardare in faccia la realtà che ci accade sotto il naso, a nostra insaputa. Non perché siano tutti più furbi di noi – dei fantomatici Houdini et simili – ma semplicemente perché non vogliamo vedere e sentire. Andiamo in crisi. Abbiamo paura della verità. Abbiamo paura di affrontare le cose fastidiose, scomode, dolorose e pur di non tirare fuori i pugni e metterci in guardia ci facciamo prendere a bastonate la dignità.

E poi, se proprio proprio non ne possiamo più, quando non sappiamo più dove girarci pur di poter continuare a ignorare la realtà crudele, allora caschiamo dalle nuvole e piangiamo tutte le nostre lacrime. Sceneggiate da soap opera brasiliane che non passano mai di moda.

Verificare se è davvero così come pensiamo che sia è sintomo di intelligenza. Io non disdegnerei questa qualità, l’intelligenza intendo, non è che soltanto perché in giro ce n’è poca è passata di moda. È diventata più preziosa che mai, invece.

Sveglia!

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(379) Houdini

Una cosa che mi fa tremare ogni volta che succede è la sparizione. Quel stramaledetto prima c’è e un secondo dopo non c’è più. Ci sono milioni di cose in una giornata che spariscono davanti ai miei occhi, continuamente, a volte ricompaiono e molte altre no. Vorrei che ricomparissero soltanto le cose belle, ma è ovvio che quelle sono le prime ad andarsene senza lasciare traccia appena mi distraggo un po’. Quelle brutte ritornano, spesso per restare.

Mi rendo conto che può sembrare una sciocchezza per chi non ci fa caso, per chi non ne fa una tragedia, per chi non viene toccato troppo in profondità. Me ne rendo conto e non sto dicendo che dovrebbe farlo, tutt’altro. Mi domando, invece, perché io non riesca a farlo. Non riesco a scivolarci sopra serenamente. Lo so che le sparizioni sono parte della vita eppure non riesco a capacitarmene.

Prima ci sei e poi non ci sei più. Senza preavviso, senza salutare. Ci sei e poi non ci sei più. E io che rimango, rimango vuota.

Dentro di me ci sta parecchia roba – il segreto è tenere in ordine le cose e il posto si moltiplica – e quella roba incastrata, come l’ho incastrata per farcela stare, occupa uno spazio e contemporaneamente obbliga le altre robe a starsene nel loro e a non muoversi. Togli un pezzo e crolla tutto. Quindi a ogni sparizione il mio spazio interiore subisce uno smottamento importante che ribalta l’ordine a favore del caos. Ci metto una vita a risistemare tutto e, comunque, quel vuoto permane anche quando altra roba lo occupa.

La cosa peggiore? Penso che sia colpa mia. F**k!

 

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