Temo sia un sintomo di invecchiamento, la gravità ti piomba sul coppino e da lì non si muove. So dire con precisione quando mi è successo e la cosa non è che alleggerisca in qualche modo il carico. Quindi non serve capire il quando, non serve capire il come, non serve capire il perché… servirebbe, invece, capire come fare a togliersela di dosso e questo diventerà il mio obiettivo per il prossimo anno.
Mi rifiuto di pensare che sarà così per sempre (il per sempre che mi rimane, ovviamente) perché sarebbe come ammettere che non ci sarà respiro leggero per i miei prossimi decenni. Sarebbe una cattiveria imperdonabile da parte della vita, come sparare sulla Croce Rossa. Sono già un caso umano patetico, a che serve infierire?
Dopo questo sfogo intriso di autocommiserazione con utilità pari a zero, posso riprendere il discorso imponendomi un certo decoro: sì, la gravità farà anche parte di me – ammesso e non concesso che non me ne potrò più sbarazzare – eppure non è detto che si debba prendere la gran parte di me. Voglio dire: sarò ben capace di non farle gestire la mia vita nonostante lo sconforto che mi porto appresso!
Questa forza che ci spinge a terra, per non farci prendere il volo, ci permette di fare molte cose. Noi ci sforziamo di oltrepassare i limiti che ci impone, c’è chi ci riesce davvero spingendosi oltre e ottenendo un brandello di immortalità, ma la sfida vera è di guardarla come opportunità e non come limite. Dalla gravità succhiare via la leggerezza e ingoiarla come fosse elio che ci fa papereggiare ridicolmente e piano piano riprendere consistenza e ritornare a essere densi, dentro un corpo che ci contiene e ci garantisce la vita, poggiando i piedi al suolo che è lì che raccogliamo le forze e possiamo tentare di abbracciarci l’un l’altro senza scivolare via.
Se partissi da qui, forse, riuscirei a riconsiderare anche la mia me gravosa… va bene, mi sono convinta, riparto da qui: papereggerò!