Può aprire e può chiudere. Dare accesso o negare l’accesso – se non la possiedi o se hai quella sbagliata. Quella che apre un’altra porta.
Parliamone: ho un mazzo di chiavi piuttosto consistente. Diverse forme e grandezze, diversi materiali e diverse fattezze, di tempi antichi e tempi recenti. Belle da guardare e fantasticarci su. Chissà cosa aprono e chissà cosa avranno in serbo per me. Soprattutto: chissà perché ce le ho io, io che non so dove diavolo usarle.
Partendo dal presupposto che una chiave serve ad aprire-chiudere, altrimenti non sarebbe una chiave, scoprire che porte o che forzieri aprono è un’ambizione lecita (a mio umile parere). Non so perché questo mazzo di chiavi ce l’ho io, anche questo è un cruccio che mi sento di affermare in tutta tranquillità sia lecito avere. Ci sono nata, non me le sono scelte io, e a qualcosa serviranno.
Facendomi forte di questa conclusione, negli anni, ogni volta che trovavo una serratura ci buttavo l’occhio. Tanto per indovinare se una delle mie chiavi potesse appartenere a quel luogo specifico. Non so come sia avvenuto – forse un mero calcolo delle probabilità lo spiegherebbe – ma ho trovato spesso la chiave giusta per aprire la porta giusta, o anche alcuni forzieri, lo dico con sollievo e orgoglio. Questione di culo, forse, ma anche di caparbietà.
Detto questo, sono lieta di notare come più chiavi ti permetti di utilizzare e più il portachiavi prolifichi. Una sorta di gioco di prestigio, lo guardi e lo riguardi, ma senza capirci nulla. Come diavolo può accadere?
A me accade, anche se la comprensione è ancora per me un evidente accesso negato.