Non è che la normalità non mi piaccia, è solo che non la capisco. Non riesco a farmi un’idea chiara di cosa sia, pertanto la ignoro. Decido deliberatamente di ignorarla perché non la ritengo importante.
Negli anni mi sono fatta un’immagine di ciò che chi mi sta attorno ritiene essere la normalità: tutto e niente.
A seconda della persona con cui hai a che fare scopri che il concetto di normalità cambia. Dipende dal ceto sociale, dalle origini, dalla storia, dai preconcetti che ognuno ha e dentro di sé alimenta. Dipende da talmente tanti fattori (interni ed esterni) che il risultato è contradditorio e stordente.
Ignoro cosa sia la normalità.
Non la cerco, non la considero, non mi manca e non la voglio. Vorrei soltanto che il concetto di normalità degli altri non toccasse la mia sfera emotiva e fisica. Ho capito che sta a me difendere questo complesso incastro delle diverse parti di me con cui per forza di cose devo avere a che fare.
Non è che va tutto bene, no. Sta di fatto che non tutte le parti che formano Barbara sono state da Barbara selezionate e incorporate nel tutto. Alcune sono lì che manco me ne accorgo, altre si fanno presenti in momenti di tensione e urgenza, altre ancora sono sempre visibili e si mostrano senza pudore. La maggior parte di loro sono nascoste e intendono rimanere nascoste al mondo perché vogliono farsi i fatti loro.
Normale per me gestirmi in questo modo. Normale per me guardare gli altri gestirsi nel proprio modo.
Se di norma queste cose non le dico, ho fatto ora un’eccezione. Sia ben chiaro una volta per tutte che non mi curo della normalità, mi piace, però, tutto il resto. Tutto ciò che resta fuori e si gestisce liberamente senza ledere nessuno.
L’anormalità stessa è un’anormalità.
G. K. Chesterton