(1004) Modellare

È difficile immaginarci come sarebbe andata se non avessimo detto o non avessimo fatto, o se avessimo detto e fatto anziché starcene immobili o andarcene nel momento in cui dovevamo restare. Si prende la via di Sliding Doors e si viaggia di fantasia. Poteva succedere di tutto, ci diciamo, per giustificarci (scampato pericolo) o per scusarci (mancanza di coraggio). Poteva.

Quel che facciamo è una manipolazione della nostra esistenza che perpetriamo con una certa nonchalance, come se non contasse nulla. Anziché prendere coscienza di come stiamo modellando il nostro oggi e il nostro domani ci rendiamo autori di un ieri che non volevamo e non vogliamo. E lo trattiamo come se non fossimo stati noi a decidere, a fare o non fare, dire o non dire.

Eravamo noi. Magari diversi da quello che siamo oggi, ma eravamo noi. Noi lì a modellare incoscientemente quel che poi sarebbe restato a testimonianza del nostro passaggio nel tempo.

Modellare significa dare forma. Dare una forma ci permette di riconoscere quel che stiamo creando come un’espressione del nostro volere e della nostra capacità di rendere concrete certe idee, certi pensieri.

Modellare quel che abbiamo tra le mani significa avere un’idea su quello che sarà il suo scopo, la sua utilità, foss’anche soltanto qualcosa di bello da guardare. Perché la Bellezza fino ad ora non è riuscita a salvare il mondo, ma lo tiene a galla. Onorevolmente, considerato che è rimasta sola a combattere la battaglia, lei sola a crederci.

Modellare è nelle nostre possibilità, è nelle nostre corde, sappiamo come fare e sappiamo anche farlo bene quando ci impegniamo. Dovremmo forse impegnarci più spesso. Se fossimo concentrati sul nostro modellare la nostra esistenza saremmo meno focalizzati sul disturbare o distruggere il lavoro di chi lo sta facendo, magari anche bene, magari anche meglio di noi.

Ma si sa, siamo qui per crearci fastidio l’un l’altro, siamo qui per rovinare quello che di bello ci è stato dato in dotazione nell’istante in cui abbiamo fatto il primo respiro. E pensiamo di averne il diritto, siamo tutti così annoiati dal nostro vivere.

Qualcuno, poco tempo fa, mi ha detto: meritiamo di estinguerci. E ho sentito una stretta allo stomaco rendendomi conto che è quello che ci meritiamo davvero. Poi ho continuato il pensiero per vedere dove mi stava portando e il pensiero si è preso cura di me ricordandomi che a molti sbagli si può porre rimedio e che a modellare un po’ meglio si fa sempre in tempo.

Bisogna soltanto credere che ne valga la pena.

Ne vale la pena?

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(883) Tranquillità

Non è che è gratis, te la devi proprio guadagnare. Costruirsi uno spazio dentro di noi dove poter stare tranquilli è cosa di pochi. Lo devi proprio volere con tutte le tue forze e lo devi anche saper difendere e riconquistare ogni volta che ti viene espugnato. Sì, è una guerra. Ma il premio è la tranquillità. A conti fatti ne dovrebbe valere la pena.

Devi però ricordarti come si fa a stare tranquillo. Cioé, a forza di combattere prendi quell’abitudine e ti vien difficile anche solo immaginarti in uno stato rilassato – che assomiglia molto alla pace interiore. Ti rimane dentro quella cosa che ti soffrigge lo stomaco, stai in una sorta di guardinga allerta, ti aspetti da un momento all’altro che la tua tranquillità venga presa d’assalto da un nemico qualsiasi. Il più delle volte è così, quindi il nemico vince anche quando non c’è o quando è lontano o quando ancora non si è accorto di te. Assurdo.

Sì, l’abitudine alla guerra è una bestia maledetta.

L’unica cosa da fare è rimanere concentrati sull’obiettivo: rimanere tranquilli nonostante la maledetta imperversi in ogni dove. Un modo per proteggere il fortino è di non farla entrare in casa. Prevenire è meglio che curare (sarà poco originale ma è sempre vero). Ci sono situazioni che sai già ti manderanno a remengo tutto, lo sai già. Ecco, tirarsi indietro, girarsi dall’altra parte, in questi casi ti salva dalla catastrofe. Non apri la porta all’Apocalisse. La saluti dallo stipite e te ne torni dentro. Semplicemente.

Qualcuno se la prenderà a male? Pazienza. La vita è difficile per tutti. 

Il pericolo è che, a forza di combattere, tu stesso inizi a pensare che la vita sia tutta lì. Se cadi in questo black hole tutto quello che ti accade si trasformerà in un’impresa sfiancante, senza neppure che tu te ne accorga. La prendi male già da prima, la vedi già come una cosa che ti rovinerà le giornate, la vivi male a prescindere. Questo, la bestia maledetta, può fare. Bisogna farci attenzione.

Detto questo: mi sto aggrappando alle mie parole per ripristinare in me un approccio sano all’esistenza. Una guerra maledetta contro il già vissuto e il già visto che mi si è tatuato addosso negli anni.

Ecco, ci sono ricascata: non sei in guerra, diamine, non sei in guerra Babs!

 

 

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(372) Omettere

Un verbo di un certo peso. Può rivelarsi un’arma a doppio taglio, eppure nel tempo ho imparato a rivalutarlo. Ci sono casi in cui glissare ti aiuta a evitare una guerra atomica – glielo direi volentieri ai due idioti che stanno tenendo in scacco il pianeta in questo periodo – e una guerra atomica significa morte per tutti – anche dei succitati idioti.

Quando ho pensato che la pura onestà di pensiero potesse essere espressa anche al di fuori delle mura domestiche ho provocato devastazioni. E non esagero. In quei frangenti, molto probabilmente, avevo sovrastimato la fibra di chi mi stava di fronte – è vero, doppio errore – ma sono pur sempre una persona che tende al fatalismo e se mi ci abbandono la cautela friulana va a farsi fottere.

Omettere di dire esattamente come la pensi, certe volte è lecito. In generale, però, è da codardi e lo penso anche adesso e nonostante tutto. Tornassi indietro direi le stesse cose per ottenere gli stessi risultati catastrofici, soltanto per il fatto che le persone che si sono sentite devastate e che mi hanno giurato odio eterno sono uscite dalla mia vita e la mia vita ne ha beneficiato parecchio.

Omettere di agire, di prestare soccorso o di intervenire per aiutare qualcuno, di parlare per difendere un principio sacrosanto o un diritto altrettanto sacrosanto o una persona indifesa o un ambiente naturale in pericolo, è da pezzenti. Non sto parlando di situazioni del genere, sto parlando di questioni di minor importanza, dove il non dire può fare enorme differenza. Non dire a uno stronzo che è uno stronzo se questo stronzo ti può tirare un pugno in faccia e farti secco, non è codardia, è buonsenso. Non significa che per evitare il pugno tu debba sorridergli e schierarti dalla sua parte, ovviamente, ma se eviti di dirgli stronzo e lo affronti con astuzia, giochi meglio. La tattica giusta ti fa vincere la guerra e la guerra (come diceva Sun Tzu) si vince prima di scendere in campo per la battaglia.

Non vado in guerra, mai, ma ho imparato che in battaglia l’ingenuità si paga cara e che poi non c’è rimedio che tenga.

Ecco.

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