(1005) Notte

Quando la notte scende la testa mi rallenta. È come se riconoscesse questa dimensione come il suo luogo, dove espandersi e mettersi comoda. Va, indipendentemente da me, dove vuole andare e trova esattamente quello che le serve per sostenersi e sostenermi durante il giorno. Questo quando è in stato di veglia, una volta addormentata non so che fine faccia e dove si vada a cacciare. Preferisco quasi non saperlo, evitiamo di incrementare l’ansia, per favore.

La mia notte ideale parla di energie assopite che si risvegliano, di sguardi che si fanno più lucidi, di vicinanze che se ne infischiano dei confini e cose così. La mia notte ideale non fa casino, assorbe significati e brilla di luce calda.

C’è chi approfitta della notte per uscire allo scoperto, io preferisco nascondermi con lei. Di giorno è tutto troppo pieno, la luce acceca. Di notte la vista si concentra sulla percezione più che sulla forma. L’intensità della sostanza, anche quella più impalpabile, si palesa senza bisogno di forzarla.

Ci sono sottili trame che aspettano nella notte. Ci sono suoni che vibrano suadenti nella notte. Ci sono anime che si fanno trasportare dai sogni di chi non le può toccare, non temendo trappole.

E ci sono io. Che vago senza meta. Ma questa è un’altra storia. E per nulla interessante.

 

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(853) Quattro

L’ho sempre sottovalutato. Ho i miei numeri preferiti, tra questi non c’è il quattro. Mai stato. Oggi, valutando meglio la questione, un po’ mi dispiace. Voglio dire, il quattro è un numero piuttosto importante, usato in svariati modi. Fare quattro passi. Fare quattro chiacchiere. Farsi in quattro per qualcuno. Una cosa da quattro soldi. Ci sono soltanto quattro gatti. Fare il diavolo a quattro. Spaccare il capello in quattro. Litigare per quattro soldi. Fare quattro salti. In quattro e quattr’otto. E potrei continuare ancora a lungo, ma penso non serva.

In poche parole, il quattro è un signor numero.

Ci sarebbe da fare una ricerca su ‘sta cosa. Eravamo in quattro gatti, perché non tre? Il tre è molto più fashion, insomma lo si è usato in ogni salsa e di lui si è abusato un bel po’ in tutte le religioni e filosofie. Forse non volevano esagerare. Non lo so, a me sapere le motivazioni di certe scelte mi sembra importante. Qualcuno al mattino si sveglia e prende una decisione. Ok, metti che quella decisione ti coinvolge tuo malgrado. Tu non glielo chiedi il perché è arrivato a quella conclusione? Devi chiederglielo. E lui ha il dovere di dirtelo. Senza saltare nessun passaggio. Senza buttarla in vacca soltanto perché sa che non è una motivazione forte. E se lo fa, se tenta di farti fesso, devi bloccarlo e fargli sputare la verità. Non sarebbe sacrosanto? Ecco. Secondo me, lo è. 

Ora, lasciamo stare il quattro a cui devo le mie scuse, anche se ignoro bellamente cosa ci sta sotto (ma indagherò), veniamo a chi non dà spiegazioni delle proprie prese di posizione perché non ne ha. Vive alla cavolo, così come viene, prendendosela con tutti per la sua infelicità. Ok. Per quanto mi riguarda le opzioni sono due: o ti prendi quattro calci in culo e inizi a curarti, o ti prendi quattro anni sabbatici e te ne vai in Siberia dove la vita ti insegnerà le buone maniere. Pensate che bello: tutti i villani fuori dalle palle. Così in un colpo solo. Certo, la Siberia sarà un po’ trafficata, ma non per molto, si prenderanno a cazzotti tra loro e qualche legge dell’evoluzione si farà partecipe della soluzione.

Quattro anime tenute in ostaggio in una barca.

Quattro anni in Siberia per questi aguzzini è poco.

 

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