Non leggo i giornali. Non leggo i giornali dove le idee politiche dell’editore, e quindi dei giornalisti, mi storpiano i fatti per loro comodità e tornaconto personale. In questi ultimi anni di internet forsennato riesco a barcamenarmi meglio e mi illudo di avere una visione dei fatti variegata. Non “meno di parte”, ma almeno diversificata. Significa che alla fine della giornata le stronzate vengono asciugate via e i fatti restano. Quasi sempre.
Un processo che sto ancora studiando, ma che ha la sua logica ferrea e forse la fisica potrebbe avvalorare la mia strampalata tesi. Le stronzate non hanno radici, i fatti sì. Il vento a cui mi oppongo, fatto da miliardi di stronzate che dal web mi investono in modalità random, mi lascia rimasugli di notizie appiccicate ai neuroni. A fine giornata ripulisco tutto e tra i brandelli scorgo qualcosa che assomiglia a un fatto accaduto.
La cosa è più faticosa di quel che si possa pensare, infatti a fine settimana chiudo porte e finestre e mi barrico dentro di me perché le orecchie mi fischiano e le ossa scricchiolano. Il vento è vitale, ma abusarne può rivelarsi fatale.
Leggere il giornale è un gesto che non mi appartiene, trovo molta più verità in un romanzo che in un articolo a tre colonne. Ci sono penne felici su cui mi soffermo, ma senza quel senso di devozione che ha accompagnato le precedenti generazioni – padri/madri, nonni/nonne. Dovrei sentirmi in colpa? Boh, so che mi ci sento un po’ – virtualmente parlando – ma appena finisco di leggere l’articolo di turno e mi rendo conto che mi ha rubato tempo, attenzione e buonumore, mi passa subito.
Pulitzer è stato la luce nel tunnel, poi il tunnel si è rivoltolato su se stesso e tutto ha perso di valore. Scribacchini della malora!