(34) Goccia

Quand’ero bambina sentii, in un discorso da adulti che non capivo, questa frase:

(…) la goccia che scava la roccia (…)

Non feci fatica a immaginarmi la scena, la riportai all’acqua sotterranea che sgocciola e schiocca facendo piccoli echi misteriosi dentro a una caverna quasi buia. Non ricordo dove quell’immagine l’avessi catturata, forse da una delle fiabe del mio libro preferito. Non lo so.

Questa goccia è rimasta con me per quarant’anni. Ha scavato la mia roccia interna creando degli stravaganti percorsi emotivi di cui a volte perdo le tracce. La Bellezza del lavoro di erosione è qui davanti ai miei occhi e non m’importa di considerare com’era prima che la goccia perpetua cadesse (e ancora cade).

In certi punti non riesco neppure più a ricostruire le fattezze della roccia originaria, tutta levigata e rotonda com’è adesso.

Alzando lo sguardo lo scenario mi affascina.

Colgo il gocciolìo nel mio orecchio interno e mi accorgo che lo posso trasformare in base ritmica sulla quale scrivere la melodia che più mi ispira in questo momento, nel punto preciso in cui mi trovo.

Le gocce sono tante e non smettono di cadere dentro di me lisciando con pazienza gli spuntoni e le crepe della mia roccia, trasformandomi davanti ai miei stessi occhi, ma lentamente. Con costanza, ma lentamente.

Mi reputo fortunata, fossi fatta di acciaio o di vetro non avrei ottenuto lo stesso risultato.

b__

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