(196) Panchina

Essere messo in panchina non è cosa bella. La prendi male anche se sai che è una mossa necessaria, la prendi male e basta. Tu vorresti stare in campo e invece non puoi, sei lì a guardarti la partita e a scrocchiarti nervosamente le nocchie.

Decidere, però, di startene un po’ in panchina è un gran lusso. Voglio dire: ti scegli la panchina che ti pare migliore, quella un po’ al riparo e che ti dà modo di goderti un bel panorama e ti siedi, accavalli le gambe e pensi a niente (per almeno i primi trenta secondi).

La cosa migliore sarebbe una panchina dove non ci sia troppo passaggio, nessuno che ti si siede accanto, neppure per allacciarsi le scarpe, e nessuno che ti passi davanti – perché quando si è assorti nei propri pensieri i movimenti d’ambiente possono dare noia.

Una panchina usata e goduta in condizioni del genere è un lusso, ribadisco.

La questione che si pone, però, è che dopo anche un’oretta che te ne stai lì per i cavoli tuoi e tutto è perfetto, devi ritornare a vita sociale. Ti alzi, t’aggiusti i pantaloni e la camicia/maglietta e t’incammini per dove sai tu, senza girarti indietro altrimenti la tentazione di rioccupare la panchina sarebbe troppa.

Stare in panchina, questo voglio dire, è cosa a tempo determinato. Sembrerà pure ovvio, ma non lo è. Non lo è per nulla. D’altrocanto son ben poche le cose ovvie a questo mondo, diceva mia nonna. E mia nonna non sbagliava un colpo, neppure uno, lei.

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