Se dovessi stamparmi tutti i ***Giorni Così*** ne uscirebbe un faldone notevole. Forse lo farò. Dovrei rileggermeli tutti dall’inizio alla fine per capire se è soltanto stato un inutile pour-parler o se ha senso raccoglierli in un libro. Non lo so, non mi ricordo quello che ho scritto. E certe volte è meglio non sapere.
Ora è ovvio che le motivazioni che mi hanno spinta a scrivere il post numero 56 (per esempio) non me le ricordo per niente, ma forse abbandonando l’origine dello scritto lo si potrebbe leggere in modo diverso. Nuovo.
Possibile.
Immagino sia sano lasciar passare qualche anno prima di pensare di rimettermi a leggere questa enorme quantità di righe che mi sono uscite in modo a volte folle, a volte meno, a volte stancamente, a volte no. Il tempo, la distanza e la dimenticanza giocano un ruolo importante sul nostro vissuto (e sul nostro scritto). Considerato che non si tratta di un faldone cartaceo bensì digitale devo solo aprire una cartella sul mio desktop e lasciarla lì.
Mi piace mettere ordine nel mio passato, mi aiuta a preparare il terreno per il futuro. Che inizia nel presente. E il presente è questo. Quello che mi fa immaginare un faldone pieno di parole e di attraversamenti e intrecci e roba strana da archiviare nella libreria alle mie spalle. La targhetta la voglio fare grande, ben visibile. Voglio che i miei occhi abbiano la possibilità di ritrovarlo subito ogni qual volta ne sentirò il bisogno.
Perché la nostalgia è canaglia, ce lo hanno cantato e noi lo sappiamo. Io lo so.