Si danno e si prendono, dicono. Credo sia così. Quando li prendi te ne accorgi subito, quando li dai potresti non esserne proprio consapevole e chiedere scusa diventa difficile se uno non te lo fa notare. Se te lo fa notare, quel qualcuno a te ci tiene. Pensa che valga la pena affrontare il nodo che si è formato per scioglierlo, in un modo o nell’altro. Se non lo fa, allora reputa che tu non valga il suo tempo, la sua energia. Questo è il colpo finale. Quello che resta. Può far male anche dopo millenni, s’imprime dentro di te e lì continua a bruciare.
Un colpo che tiri, nove volte su dieci, ti torna indietro. Su la guardia, quindi.
Vivere senza prenderne e senza tirarne, di colpi intendo, non sembra sia possibile. Mi hanno detto che non lo è. Io ci credo.
I colpi ti mettono davanti a due possibilità: o soccombi o reagisci. E qui ti si svela l’essenza del tuo esserci. Reagire sempre? Soccombere sempre? Impegnativo. Troppo per me, lo ammetto. A volte soccombo, mi ci vuole un po’ di tempo per capirne l’origine e quantificare il danno che mi ha causato, quindi soccombo. Mi accascio e stringo i denti. La reazione che segue non è mai di vendetta, lascio andare e passo oltre. Quando reagisco, invece, diventa tutto più veloce, tutto più duro, tutto più faticoso. Sento il mio dolore e anche quello di chi riceve il mio colpo, non lo so perché ma hanno la stessa portata, la stessa intensità.
Preferisco non reagire ai colpi sferrando colpi, ma se lo faccio è perché non vedo altra scelta. Ci sono opzioni alternative, ma io non le vedo. Succede quando sento l’inutilità di affrontare snervanti confronti che non porterebbero a nulla. Sempre dal mio punto di vista, che è sempre e solo il mio punto di vista.
Le nocche bruciano, le mani stridono. E si passa oltre. Chissà come, chissà perché. Appena lo capisco scriverò una storia.