Lo sento subito il torbido, ma proprio subito. Poi il buonsenso mi convince che non posso partire in quarta, fidarmi del mio istinto e tagliare fuori le situazioni e le persone. Non si fa, non si può.
Grazie a questo scrupolo mi sono immersa nel torbido altrui tante volte, perché il proprio nessuno lo sente – ovvio, e in queste lunghe o corte immersioni ne ho scoperte tante di cose che nel torbido si sanno nascondere bene. Non sto qui a giudicare il torbido degli altri, detesto che giudichi il mio, ma anche i torbidi entrano in risonanza e ci si accorge che qualcosa non va quando il torbido che s’incontra non suona bene con il tuo.
Lo sento subito quel torbido lì, quello che con me non ha nulla a che vedere. Vorrei proprio girare i tacchi e andarmene, ma il mio buonsenso è un po’ scemo e mi fa restare. Dice che conoscendo torbidi a me lontani imparo meglio quel che c’è da imparare così non me lo dimenticherò più. In questo ha ragione, certi torbidi non me li dimenticherò più, ma non è un bene, anzi. Vorrei dimenticare, vorrei davvero dimenticare. Solo che certa roba ti si attacca addosso e ti corrode il cervello, tu pensi che non ti riguardi ormai, ma ricordi tutto e quel tutto rosicchia e rosicchia incessantemente.
Sguazzare nel fango non è divertente, è soltanto sporco, l’ho imparato e ora il torbido lo lascio da parte, lo lascio a chi non ha una pozza d’acqua sorgiva in cui tuffarsi. E quando lo incontro metto a tacere gli scrupoli e il buonsenso, non c’è scritto da nessuna parte che tutte le lezioni della vita debbano passare da lì. Vorrei averlo capito prima, ma sono grata di averlo finalmente capito. Non soltanto capito, sono grata anche del fatto che non mi domando più se avessi fatto meglio a restare. I dubbi sono affondati nell’ultimo torbido incontrato, ma sto ancora togliendo dei maledetti rimasugli fangosi. Damn!