Noi siamo le tessere del puzzle, ma qualcuno ci ha tolto la scatola con la nostra immagine di riferimento poco prima di arrivare qui.
Potrei dilungarmi giorni per spiegare questa mia conclusione, modesta e banale ma pur sempre mia, e non cambierebbe nulla rimarrebbe così: modesta e banale. E pur sempre mia.
Non è raro che le mie esternazioni siano modeste e banali, non lo dico come un vanto, anzi, ma è anche vero che sono il frutto di ragionamenti anche complessi che poi non riesco più a sostenere allora vado di semplificazioni e mi ritrovo modesta e banale. E affaticata.
Questa cosa del puzzle è perché li amavo molto da bambina, ne facevo di bellissimi (con tessere piccole e in numero spropositato), e mi sono resa conto qualche anno fa che mi stavo ricostruendo come fossi un puzzle. C’erano i pezzi di me sparsi in giro e, semplicemente, me li andavo a recuperare uno a uno per sistemarli bene. C’erano dei vuoti e ora ce ne sono molti di meno, mancava la cornice per la gran parte, ora sembra che la cornice ci sia tutta.
L’immagine la riesco a intravedere, forma e colori escono con forza, nell’insieme lo trovo bello questo puzzle, ma m’è venuto un dubbio: e se mi mancassero dei pezzi che non potrò inserire perché son finiti sotto il divano o li ha mangiati il cane o li ha buttati qualcuno nel cestino senza neppure farci caso?
Mi sto rispondendo: pace. Sì, pace. Sarà quel che sarà. E non so se è una cosa buona oppure no.
[Sto per caso superando la mia mania di completare il quadro a tutti i costi?]
Mah! Vammi a capire!