Negli ultimi dodici mesi, partendo dal primo lockdown causato dalla pandemia, siamo stati devastati (mentalmente parlando) da una comunicazione scellerata. Giornalisti in preda al panico, governanti in preda al panico, scienziati in preda al panico: tutti pronti nel comunicare alla popolazione il proprio panico mascherato da tesi e da azzardi logici. Perfetto.

Abbiamo dato l’addio al 2020 illudendoci che il peggio fosse passato e arriva il fantascientico (oltre ogni limite) scenario di Capitol Hill a farci crollare ogni speranza. Anche qui i media ci hanno dato dentro con un linguaggio che fa dello storytelling più becero il proprio credo, e tutto quel polverone – proprio oggi-  si è tradotto in realtà in modo piuttosto avvilente, ovvero: anche stavolta l’accusa di impeachment per l’ex-presidente americano cade. Il facinoroso vince e Biden mugugna qualcosa sulla democrazia che è in pericolo. Perfetto.

 

Questo il link di approfondimento: https://www.visualcapitalist.com/how-news-media-is-describing-the-incident-at-the-u-s-capitol/

Procediamo con ordine e ritorniamo in Italia. Crolla il governo Conte, Mattarella interviene e Draghi scende in campo per formare un team che non sorprende nessuno. Il punto è: perché Draghi avrebbe dovuto sorprenderci con effetti speciali? Non è Ridley Scott, non siamo dentro Blade Runner, ed è un vero peccato perché ci divertiremmo di più se fossimo comparse in un cult-movie di quel tenore.

Non sto scrivendo di politica, non sto scrivendo di economia, sto scrivendo di comunicazione. Quella brutta bestia della comunicazione. Quella che è sempre un fallimento, anche quando dice bene, figuriamoci quando deve fare i conti con lo stato attuale delle cose.

La voglia di scrivere mentre il mondo si rivolta ogni tre per due squassato da colpi di scena, che definirli pulp non rende l’idea, viene meno. Le parole vengono meno, la voglia di esserci viene meno. Ci si rende conto che una cosa soltanto conta: togliersi dal rumore. E qui entra in gioco quella strana cosa che è la serendipità che mi fa sbattere contro un’affermazione letta di fretta, appuntata su un post-it di fretta e lasciata lì per qualche giorno:

Oggi avere potere significa sapere cosa ignorare. (Yuval Noah Harari)

Ed è un salvagente. Un salvagente che nasconde inganni, ignorare ciò che non deve e non può essere ignorato ti uccide, ma è pur sempre qualcosa. Partendo dalla nostra scelta consapevole, focalizzando l’attenzione su quello che è reale e quello che è pura invenzione (che al momento ci serve come la sabbia nelle mutande), salvando dall’enormità di parole che nostro malgrado assorbiamo tutti i giorni e tutto il giorno quelle che risuonano forti per autenticità (nel bene e nel male) e per possibilità di crescita, forse riusciremo a resettare la nostra ammaccata bussola. Orientarci guardando le stelle, che son sempre lì, sempre le stesse (chi lo sa), e che in qualche modo ci ancorano alla terra (quella che sembra si stia sgretolando sotto i nostri piedi).

Credo che di chiacchiere ne abbiamo fatte abbastanza. Credo che ora chi ha sostanza dovrebbe metterla sul tavolo e spartirla con chi ha voglia di sistemare anziché distruggere. Credo che ignorare tutto quello che è distrazione non può che farci bene. Credo che mi impegnerò in questo. E vediamo come va.

 

 

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