(556) Zippare

Quando è possibile farlo senza essere fraintesi è una meraviglia. Mille cose da dire per spiegarlo, zero voglia di farlo, e ti ritrovi in un mutismo totale. Frustrante. Invece se trovi la persona che coglie al volo il senso di tutto, bastano due cose, due cose scelte – certo – ma brevi perché così non si spezza il mistero, e lo zip non è altro che un salto quantico.

Non succede spesso, tutt’altro. Solitamente zippare significa tagliare corto perché ti rendi conto che l’attenzione che la persona che ti sta di fronte ti può offrire è ridotta a 10 secondi lordi. Allora che fai? Un rapido calcolo e scegli le parole chiave per condensare il pensiero. Ti rendi conto che diventa ben misero, ti rendi conto che la comunicazione è un’altra cosa, ti rendi conto che a quel punto te ne potevi anche stare zitta che sarebbe stata la stessa cosa, anzi meglio. Sì, ti rendi conto, eppure ci sei cascata un’altra volta. Hai peccato di ottimismo, ti sei illusa che potesse funzionare, che dalle parole chiave si sarebbe scivolati in una domanda di interesse e da lì in un pensiero più condito e poi magari il salto quantico.

Brutta cosa l’ottimismo. Crea aspettative soltanto per fartele sbriciolare dalla realtà. La realtà spesso è cinica, sa già che basta poco a sbrindellare e ridurre in cenere le buone intenzioni, basta mezzo metro di silenzio. E il tonfo echeggia per anni. Pazzesco.

Puoi comprimere, sì, un pensiero anche se è ramificato, ma come si fa a zippare un sentimento? Come puoi ridurlo, accorciarlo, abbreviarlo, farlo striminzito anzitempo? Quando il sentimento sta lì nel pieno della sua forza, come puoi comprimerlo per riuscire a farlo arrivare al mondo? Già è difficile tenerselo dentro, che si deve fare spazio tra gli organi e inizi a sentire dolori dappertutto, come puoi pensare di farlo uscire stritolato e inscatolato?

Eh, son belle domande queste. E adesso chi riesce più a dormire?

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