(910) Ancoraggio

Levitare e abbandonare il resto di me in un angolo è la prassi. Non so neppure come io riesca a non volare via. Probabilmente una questione di peso corporeo. Ecco spiegato perché schifo le diete, mera precauzione.

Inconsciamente mi ancoro a terra con qualcosa. Non sempre la stessa, ovvio, altrimenti perderebbe la sua funzione, troverei un modo per bypassarla e comunque estraniarmi. Devo sorprendere me stessa, insomma. Una fatica considerevole se si mette in conto che non accolgo benissimo le sorprese in generale. Sono, in effetti, la personificazione dell’incoerenza. Anche qui ci sarebbe da aprire una corposa parentesi psicanalitica, ma tant’è, a chi importa?

Ritornando all’ancoraggio, a volte uso la musica. Nel senso che mi fisso su un artista o uno specifico album e lo mando in loop. Il primo ascolto me lo tengo per proiettarmi nel mio Iperuranio, il secondo ascolto per memorizzare un po’ i testi e i passaggi musicali, il terzo per far sedimentare il tutto e dal quarto in poi c’è la ripetizione ossessiva. Significa che non penso ad altro, soltanto a seguire quanto già conosco (perché sono arrivata oltre il terzo ascolto) e a immergermi nei suoni. Suoni, non più musica, suoni ordinati in una melodia. Il concetto è diverso. Ah… poi canto. Certo, è una parola grossa, ma se mi impegno a pilotare in qualche modo la voce l’ancoraggio funziona meglio. 

Questo è uno dei grounding che mi riesce meglio, quello che la meditazione gli fa un baffo. Diciamo che è un sistema interattivo per gestirsi uno stato mentale che deve essere disciplinato in qualcosa che non sia il pensiero. 

Ci sono anche pratiche più concrete che applico, ma questo post è già abbastanza lungo e tedioso. Magari un’altra volta.

‘notte.

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