(283) Principe

Ognuno ha quello che si merita, intendo dire il Principe che si merita. Che sia Azzurro, Verde, Rosso, Giallo, Blu, Rosa, Viola, Nero o Bianco, non fa differenza: è sempre un casino.

I peggiori sono quelli totalmente irreali, che diventano un pigiamino troppo stretto per chiunque debba respirare e ci si debba infilare dentro. A un certo punto le cuciture saltano e si scoprono cose che preferiremmo non vedere. Eppure, succede sempre. Un’esplosione di brutte sorprese.

Non ho mai sognato un Principe, piuttosto un Biker – che a voler andare per il sottile potrebbe assomigliare a un Principe, ma con meno credenziali – e mi sono sempre affidata agli eventi della vita. Fatto sta che un Principe non mi è mai interessato, e anche se mi sono chiesta spesso il perché non ho ancora trovato una risposta.

Forse perché alla plastica preferisco la carne, forse perché non ho cucito negli anni nessun pigiamino da far indossare a qualsivoglia pretendente, forse perché ho avuto altro da fare e ho sempre pensato che sono gli incontri e le persone che ti aprono o ti chiudono alla vita.

I Principi sono cose da Principesse e a una Rocker come me quel tipo di romanticismo dà fastidio. Perché ne parlo stasera quindi? Non lo so, stavo solo riflettendo sul fatto che se sei un uomo e vieni continuamente paragonato a un Principe… bé, un po’ di giramento di palle è anche da mettere in conto. No?

W i Bikers!!!

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(228) Personaggi

Li vedo chiaramente i personaggi, io. Deformazione professionale oppure talento naturale, non lo so. Amo i personaggi, perché non si fingono persone, si mostrano per quello che sono. Dietro a loro ci sono le persone e quelle sì che fingono.

I personaggi ci scoprono dandoci l’illusione che siamo coperti, ma loro non sanno che noi ameremmo essere scoperti solo che non lo ammetteremo mai. Ammettere una debolezza è certezza di debolezza, sia mai.

Il personaggio che ti si para davanti vuole sempre qualcosa da te, molto più violentemente di quel che farebbe una persona. Il personaggio non ha scrupoli, non ha voglia di menate, non ha tempo da perdere, non ha bisogno di comprenderti: il personaggio è. Così com’è, senza chiedere il tuo parere o il tuo consenso. Che Essere meraviglioso, vero? Quanto dovremmo imparare da lui/lei per essere veramente noi!

Il personaggio quando è debole è dirompente, quando è forte è disarmante, quando è grande ti sembra piccolo e se è piccolo fa cose enormi. Non mente un personaggio, non ne ha bisogno, lui vive tuo malgrado.

Ci sono personaggi indimenticabili, capaci di far scomparire le persone che stanno lì dietro. Le persone che scompaiono, però, giocano il gioco vigliacco e non sono degne di compassione. Lo pensavo trent’anni fa, vent’anni fa, dieci anni fa e lo penso anche ora. Mi fa bene scoprire che, in fondo, resto fedele al mio personaggio, nonostante la gente pensi che non sia così. Ma io non mi nascondo, no. Io imparo dal mio personaggio, che mi sa prendere per mano e mi sa portare dove io non oserei andare. Ecco il perché del mio crescere.

 

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(190) Filtro

Filtrare è sinonimo di depurare (liquidi), ma anche di penetrare (luce) o trapelare (notizia) o addirittura selezionare/vagliare (quando si sottopone qualcosa/qualcuno ad analisi dettagliata). Il significato muta in relazione alla sostanza a cui si deve legare/accompagnare. Grande lezione, vero?

Se uso un filtro per far sì che le cose o le persone arrivino a me soltanto se per qualità e sostanza che hanno saputo attraversarlo (decido io il tipo di filtro da usare), mi evito un sacco di fastidi legati al dovermi sbarazzare di ciò che non voglio.

Se, però, uso un filtro inadatto al mio scopo (non conforme alla qualità/quantità/sostanza di ciò che sto filtrando), non mi faccio un buon servizio. Affatto.

La difficoltà sta tutta lì: scegliere il filtro giusto. E non si impara subito, ci vuole una vita intera per capire al volo quale filtro usare e con chi o cosa usarlo. Mettiamocela via, iniziamo a imparare.

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(182) Qualcuno

C’è questa cosa del essere qualcuno. C’è questa cosa del essere qualcuno per qualcuno. Questa cosa porta con sé ferite a più non posso. Non credo sia una questione nata con l’uomo, credo sia una malattia che si è andata sviluppando piano piano e che ora è fuori dal controllo.

Lo sei già qualcuno, sei una persona. Qualcuno per qualcuno? E chi di noi può affermare di non avere alcun legame con alcun essere vivente? Nasciamo da un altro qualcuno, no? Legame = sei qualcuno per qualcuno. Quindi ambire ad essere qualcuno è idiota, lo siamo già. Se essere qualcuno, poi, significa essere riconosciuti da tutti allora stiamo parlando di una malattia, no?

Essere riconosciuti come persone, esseri viventi, è un diritto sacrosanto di tutti. Essere riconosciuti come portatori di qualcosa di speciale è questione delicata. Cosa porti in te per essere riconosciuto dagli altri? Qualcosa di buono? O qualcosa di pessimo?

Allora, vediamo di dirlo una volta per tutte: se porti qualcosa di buono, che te ne frega di essere riconosciuto per questo? Quel qualcosa di buono si spargerà sulla terra e tu avrai fatto il tuo. La gratificazione parte dal fatto che la terra beneficierà di ciò che tu hai donato. Giusto? Se porti qualcosa di pessimo, ti conviene essere presto dimenticato perché quel male che hai sparso in qualche modo ritornerà a te. Sparisci e cerca di fare di meglio la prossima volta.

Eppure, quello che mi riesce davvero difficile è essere qualcuno per qualcuno in un tempo finito. Perché dentro di me i qualcuno che incontro vivono per sempre e non so se sia una buona cosa portarsi tutti appresso, la schiena a un certo punto cederà. Io lo sono stata, lo sono e lo sarò ancora e ancora qualcuno-a-tempo-determinato per molti e molti qualcuno, ma non è questo che mi pesa. Mi pesa tutti i qualcuno che sono usciti dalla mia vita (per loro volontà o per mia volontà) che sembrano avere scolpito in me impronte eterne.

Questo mi pesa. Questo non voglio più. Ora devo solo scoprire come fare.

 

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(126) Interconnessioni

Voi non le vedete mai? Quelle cose volatili, eteree, indicibili che ti fanno andare dal punto A al punto B e da lì al punto C (e così via)? Ci sono. Sono molto meno volatili, eteree e indicibili di quel che si potrebbe pensare. Ci sono e lottano con noi.

Significa che se noi non facciamo un minimo sforzo per individuarle e cavalcarle e far sì che la nostra mente ingenua possa attraversare ogni passaggio del Senso, ci girano le spalle e via.

Va bene essere pigri, distratti, noncuranti, superficiali e apatici, ma essere coglioni no!

Le deliziose interconnessioni tra le cose e le situazioni e gli eventi e le persone, dannazione, sono lì per farci un favore. Per farci agire o reagire, per farci fermare e riflettere o farci correre a più non posso per metterci in salvo. Quando si presentano davanti ai nostri occhi per farci solidi e impavidi e detronizzare l’abominio che altrimenti avrebbe la meglio, abbiamo il dovere di rispondere: presente.

No, non da soli, insieme. Ognuno a suo modo, ma insieme.

Le interconnessioni sono qui per salvarci la pelle, e non dite che non ve ne siete mai accorti. Come scusa non vale.

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(124) Magie

Credo che chi non crede nella magia delle cose, delle persone, della vita… si faccia un torto. Non tutto è pieno di magia, ma tanto lo è, anche se noi non ce ne accorgiamo.

Il punto è: perché?

Perché a un certo punto della nostra vita smettiamo di riconoscerla, di cercarla, di crederla vera? Forse perché qualcuno ci dice che non esiste, o perché il sapere che esiste ci spaventa, o perché ci sembra che senza si stia meglio.

La magia c’è.

Che ci piaccia o no.

E se non ci piace, faremo meglio a darci un perché. Sarà una risposta ridicola, assurda, falsa e cinica, sappiatelo. E se avrete il coraggio di guardarla in faccia non ci penserete un attimo a metterla da parte.

Con una semplice magia.

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(90) Destino

Ognuno ha il suo e non si può fare a cambio come si faceva da piccoli con le figurine. Te ne do due in cambio di quella lì che mi piace troppo. No, non funziona. Qualcuno bara e se ne inventa uno a suo piacimento, ma poi i conti non tornano, il Destino si accorge del misfatto e tu paghi. Il pagamento di solito è amaro, troppo amaro, soltanto gli idioti ce la fanno a rischiare tanto.

Il Destino, secondo me, fa il tifo per le persone per bene. Voglio dire che una volta che ti ha fatto vedere i sorci verdi e tu hai resistito alla tentazione di fare il bandito… dopo si dà una calmata. È come se si rendesse conto di aver esagerato e da quel momento calibra meglio la sua forza e dandoti un po’ di respiro.

Una questione di tenuta di nervi, credo. L’inghippo sta nel fatto che quando uno ha visto in faccia i sorci verdi più volte durante la sua esistenza, ed è sopravvissuto, non è che sia diventato proprio uno zucchero. Ti vien pur da bestemmiare tutti i santi del paradiso quando prendi bastonate su bastonate, no?

Ecco. Sta tutto lì: non devi soccombere e mollare e non devi diventare una carogna capace di ammazzare sua madre per rubarle la pensione. Devi reagire con agilità, nervi saldi, savoir-faire e… gentilezza. Così vinci. Non solo vinci il Destino che ti meriti, ma vinci anche sulle Forze del Male che si arrendono all’evidenza e ti lasciano in pace.

La questione che vivere è una lotta, e che non ci si può sedere un attimo che sbam t’arriva addosso un blindato, non è facile da digerire. Soprattutto perché lottando ti accorgi che mica per tutti funziona così. Narra la leggenda che ci siano persone che riescono a vivere a lungo serene e soddisfatte senza mai neppure calpestare una cacca. Eh!

Possiamo crederci o non crederci, i fatti non cambiano. Io ci credo.

Il Destino sa essere bastardo e baro, ma se non sei uno di quelli di cui parla la leggenda non puoi farci niente ora, è troppo tardi. Dovevi ricordarti di compilare tutti i moduli per bene, comprese le parti pallose sulla “fortuna che è cieca” e quella sull’uscire di casa senza la maglietta della salute. La prossima volta pensaci prima.

La fortuna non è cieca, la sfiga ci vede benissimo, tu non hai capito niente.

E siamo punto e a capo.

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(19) Sapore

Far caso al sapore delle cose è impegnativo. Se fai il mio mestiere, è d’obbligo almeno farci caso, se non addirittura analizzare ogni sapore per capirne le origini e le destinazioni.

Devi stare fuori e dentro alle cose in contemporanea. Dentro per assaporarle e fuori per analizzare ciò che hai colto in quel sapore. Faticoso.

Dopo un po’ che lo fai, la fatica non la senti più, l’impegno non lo senti più, quello che senti è il sapore. Anche quando non vuoi farci caso, anche quando non ti serve farci caso, anche quando farci caso non è cosa saggia o intelligente.

Hai fatto tua la tecnica e quella parte in quarta senza che tu le dia l’ok per partire. Dannazione!

Allora ti trovi in un posto e cominci a sentirne il sapore, stai parlando con una persona e il sapore ti impregna il cervello, guardi una situazione e il suo sapore ti fa venire voglia di scappare a gambe levate. Sei passato dal costringerti nell’analisi del sapore al costringerti a non scappare ogni qualvolta il sapore ti fa venire la nausea. Devi rimandare a dopo il tuo malessere.

Ecco la fatica di nuovo, ecco l’impegno di nuovo, ecco il fastidio.

La fase successiva è: turati il naso e rimanda l’analisi del tuo fastidio a dopo, altrimenti manco ti ci metti in certe situazioni, con certe persone, in certi luoghi. Comprendere che sentire il sapore delle cose è un elemento fondamentale per scegliere liberamente che cosa fare e dove stare è la chiave per non mandare tutto al diavolo.

Qui si tratta di allenamento.

Adelante Sancho!

b__

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