(1012) Bluff

Mi piacerebbe poter vantare il contrario, ma non riesco mai a riconoscere un bluff raffinato al primo colpo. Quelli smargiassi sì, quelli evoluti no. E mi piacerebbe essere più furba, più sveglia, più intelligente, ma non lo sono mai abbastanza.

Il bluff, quello di classe, ha una grande struttura narrativa sotto. Si muove per raggiungere uno scopo chiaro, in un luogo preciso che ti viene nascosto finché non è troppo tardi per tirartene fuori. Bisogna avere pochi scrupoli e molto ingegno per bluffare da professionisti.

Ammetto che a un certo punto me ne accorgo, riesco nel lungo periodo a rilevare cadute di tono, incongruenze e scollamenti dello storytelling e riallacciando ogni scena alla fine ce la faccio: vedo l’inganno.

Ovvio che certe conseguenze me le prendo lo stesso, ma frenare risparmiandomi il crash finale è già qualcosa. Sono una che si accontenta, dopotutto.

Raramente riesco a perdonare chi bluffa spudoratamente per il proprio tornaconto a spese di qualcun altro, anzi, mai. Lo trovo uno spreco di energie impegnarmi ad essere misericordiosa con chi si merita le mazzate, soprattutto perché non sono programmata per la misericordia (questo in generale).

La cosa più strana è che ci sono personaggi in giro che non si rendono neppure conto di essere soltanto dei grandi bluff e agiscono come se l’autenticità fosse il valore che li contraddistingue. Si offendono pure, se qualcuno osa mettere in dubbio la loro buona fede. Scenate da non crederci. Davvero.

Non mi piace sparare sulla Croce Rossa, ma sui professionisti del bluff sì, senza pietà. Quello che mi rode è che non li riesco mai a intercettare in tempo utile, mi faccio sempre intortare dal concetto di “innocente fino a prova contraria”.

Ma la prova contraria mi cade tra le mani prima o poi. E da lì son mazzate. Garantito.

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(512) Misericordia

Per rendere meglio l’idea avrei dovuto metterci un punto esclamativo finale: Misericordia! Ecco, così è perfetto.

Oggi mi sono dedicata a un pensiero (tra le mille cose a cui devo pensare trovo pure il tempo di evadere inseguendo un pensiero assurdo, lo so, me ne rendo conto) che ha i suoi bei perché (ne sono certa) anche se magari al momento mi sfuggono per buona parte, ovvero: l’imprecazione – origini, usi, abusi, colori e buongusto. Sì, tutto questo in un solo pensiero, piuttosto affollato lo so ma una cosa tira l’altra e alla fine lasciare fuori qualcuno è cattiva educazione per cui tutti dentro e avanti.

Per farmi capire devo proprio iniziare dalle origini: perché scatta l’imprecazione? Perché qualcosa o qualcuno ti urta il nervo scoperto. A me scatta ogni tre secondi, implicita o esplicita che sia, tre secondi è la cadenza di una giornata lavorativa normale. C’è chi fa di meglio, chi di peggio, non è questione di essere Illuminati o meno – non soltanto – il come ti gestisci l’imprecazione dipende anche dalla capacità di tenere calmi i nervi. Certi giorni ce la si fa, altri no, semplice. 

Passiamo al concetto successivo: usi. L’imprecazione la uso per dare sfogo all’irritazione, che non è fastidio, è fastidio sublimato all’ennesima potenza. Quando proprio ti manca la motivazione per morderti la lingua, perché ormai si è proprio andati oltre, ecco… l’imprecazione ti permette di soddisfare quel gap tra il dire e il pugno che ti potrebbe partire se non dici.

Andiamo avanti: abusi. L’abuso di imprecazioni – purtroppo – ne dimezza la portata e l’effetto. Purtroppo. Non è che più ne dici e più risolvi, no. Più ne dici e più chi ti ascolta si abitua, c’è una sorta di assuefazione che fa andare tutto in malora. Con questa consapevolezza, le mie imprecazioni sono per lo più intime, sussurrate tra me e me, per la maggior parte delle volte.

I colori di un’imprecazione, ecco questo dettaglio è importante: se usi le imprecazioni più terra-terra, quelle che usano tutti, ti fai un torto e lo fai anche al Signore-delle-Imprecazioni che ovunque impera (ma con pudore e umiltà). Bisognerebbe regalarsi una nuova imprecazione al giorno, una cosa di fantasia, un guizzo di creatività, un’impennata geniale capace di elevare l’imprecazione a piccola opera d’arte (i romani sono dei Maestri in questo).

La cosa da cui non si può prescindere, invece, è proprio il buongusto. Cioé, non ci possiamo permettere di eccedere con il veleno, con il sarcasmo, con la cattiveria. No, non sarebbe più un’imprecazione, cambierebbe di sostanza. Per non parlare della bestemmia che è l’antimprecazione per eccellenza, quando passi alle bestemmie hai già perso.

Quindi, tirando le somme, ammetto che ultimamente mi sono adagiata su uno standard piuttosto triste, per nulla adatto alla mia professione creativa e dovrò impegnarmi prossimamente per rendere più colorite e più fantasiose le mie imprecazioni. Una cosa, però, mi piacerebbe: vorrei che i motivi per imprecare si riducessero a un paio al giorno. Sono sicura che due imprecazioni al giorno le posso gestire bene, rimarrebbero terapeutiche ed efficaci. So che dipende da me, so che mi devo irritare di meno, eppure faccio fatica a gestire le faccende che mi girano attorno. E poi come si fa a rimanere calmi davanti a certe cose?

Misericordia!

 

  

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