(942) Stallo

Calma piatta. E questo mi fa innervosire all’inverosimile perché so che è preludio di qualcosa e so che quel qualcosa potrebbe non piacermi. Al terzo giorno (sa di biblico, lo so, ma non ci posso fare nulla è così) il nervoso diventa incazzatura perché ogni atomo utile di creatività se n’è andato a quel paese sbattendo la porta e senza salutare. Dovrei stare calma, ci sono già passata. E invece no.

Mi sento la più miserabile anima di questa terra, senza alcuna speranza di elevarmi a creatura meritevole di compassione da qui all’Eternità (e l’Eternità può durare un sacco di tempo, lo sappiamo tutti).

Non piango, non parlo, non do segni di vita. Solo mi incazzo ancora di più. E la calma piatta si è ormai trasformata in stallo. Grande. Enorme. E-N-O-R-M-E. E non è che ho voglia di parlarne, non è che ho voglia di sviscerare la questione, non è che ho voglia di incontrare gente e fare cose. Voglio solo dormire. Dormire in un oblìo total black, che sta bene su tutto e comunque slancia.

Mentre dormo, molto probabilmente, gli incubi proliferano facendomi alzare al mattino con un mal di testa epocale e le ossa rotte. L’umore non migliora di certo in queste condizioni, e chiunque mi si avvicini rischia la vita. Sono arrivata all’ultimo stadio, chiamato: il-mondo-non-mi-merita.

Badate bene, potrebbe sembrare una cosa orrenda, ma è il segno che qualcosa sta per sbloccarsi. Parte con la presa di coscienza che il mio genio non sia riconosciuto da questa società pusillanime e quindi è inutile che io mi prodighi per aiutare il mondo a fare un salto quantico. Tutto inutile e anche doloroso.

Ripeto: sembra orrendo come sentimento, ma non lo è del tutto. Ovvio che non ci credo, però è un modo per buttare fuori l’incazzatura. Ok? Ognuno c’ha il suo, io ho questo (che è meglio che tirare pugni in faccia al primo che capita). A questo punto della storia mi metto davanti a un foglio con i miei pennarelli e duemila penne diverse (tutte nere e viola, ma diverse per tratto e sfumature) e butto giù quello che per giorni ha intasato le mie sinapsi esaurite. Tutto. Tutto quanto.

Dopo due/tre ore di lavoro forsennato e benedetto, come se non ci fosse un domani, alzo la testa e penso che questo è un mondo meraviglioso in cui vivere. Un mondo dove pennarelli e penne e carta e pensieri possono trovare una via per congiungersi e lasciare traccia di sé.

Lo so, sono pazza. Però anche ‘sto giro ho superato lo stallo.

Daje.

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(360) Dormire

Dormire ti fa staccare dal corpo, che nel frattempo si rigenera, e ti concede un volo altrove. Adoravo dormire da adolescente. Ora meno. Ricordo sogni bellissimi, a colori e gioiosi, di me bambina in una 500 rosa a guidare tra le nuvole… un secolo e mezzo fa, ormai.

Dormire, per me ora, significa crollare esausta, fare incubi orrendi, svegliarmi con il mal di testa, la schiena dolorante e la voglia di morire. Non sto scherzando. Se rimango nel mio corpo, in veglia, posso procedere senza grossi problemi per 72 ore filate senza sentire nulla. Appena me ne stacco è finita, il rientro è sempre traumatico. Cosa nasconde ‘sta cosa non lo so, so che non mi piace. Sa di premorte e non mi piace. E non voglio pensarci adesso.

Detto questo sono in credito di secoli di buon sonno e non so a chi presentare il conto. Forse potrei farmi ibernare per due mesi e vedere che effetto fa, ma risvegliarmi nelle condizioni della star Instagram del momento non è un’ambizione che nutro. Non c’è soluzione, sembra.

Vabbé, buonanotte.

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