(593) Disfare

Non c’è niente da fare, mi rode. Mi rode prendere una cosa che ho fatto e distruggerla. Significa che ho perso tempo, che ho rovinato quello che nella mia testa era bellissimo e l’ho fatto diventare una schifezza. Preferisco aggiustarlo, sistemarlo in qualche modo, renderlo almeno decoroso.

Rimane, però, comunque un fallimento rispetto alle mie intenzioni. Vabbé.

Disfare ciò che è stato fatto, con impegno ed energia, è a volte indispensabile – mi han detto. Disfi e rifai. A dirla tutta, disfare non è la parte peggiore, il peggio è rifare. Infatti, succede che non rifaccio un bel niente: cambio progetto, cambio rotta, cambio e basta. Rifare è la cosa peggiore di tutte, non ho entusiasmo sufficiente per bypassare la mortificazione. Rifaccio solo se ho capito esattamente dove ho sbagliato e quindi posso rimediare, in linea di massima però non capisco subito dove ho sbagliato, ci metto un bel po’ a capirlo. Sono lenta di comprendonio, molto probabilmente.

Disfare, però, rimane indispensabile se non vuoi lasciare traccia dei tuoi errori.

Eppure, gli errori son fatti per restare. Restano nell’aura, restano nella memoria, restano sospesi sopra di te e ti impediscono di ricominciare. Quindi è meglio non disfare, lasciare su tutto e fare in modo che gli errori siano evidenti a tutti, e soprattutto siano evidenti a noi. Stanno lì, a testa alta e ti sorridono sornioni. Va bene, vi ho fatti io e vi guardo dritto negli occhi. Vi ho fatti anche un gran bene, direi, siete solidi e fastidiosi, meglio di così non avrei potuto.

Vi lascio lì, non disfo niente. Non vi permetterò di farvi leggeri come polvere per avvinghiarvi alla mia aura. Mi farete da reminder, fanculo.

 

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