(998) Ineluttabile

Una volta che lo hai definito sei a posto: te lo trovi davanti e ti arrendi. Non stai lì a discutere, a tentare di convincerlo, a inventarti mille escamotage per passare inosservata. No. Risparmiati la fatica: lo riconosci e ti arrendi. Subito.

Mi rendo conto che sembra un discorso troppo vago, ma a contestualizzarlo troppo perde potenza. Bisogna andare per concetti per vedere il giusto, altrimenti i troppi dettagli ti fanno perdere il filo e ti sembra che a ben vedere le cose si possano gestire differentemente. No. In questo caso no.

L’ineluttabile non si può definire, ma si può riconoscere. L’ineluttabile non si può fermare (per sua stessa definizione), ma lo si può assecondare in modo da limitare i danni. L’ineluttabile non si può prendere sottogamba, sta un attimo a schienarti e buttarsi sopra il tuo corpo per schiacciarti senza pietà.

In linea di massima, in ogni situazione in cui ci si dovesse trovare di fronte all’ineluttabile cosa bisogna fare? Arrendersi.

Non è una cosa brutta, tutt’altro. È una mossa astuta. Lui pensa che riconosci la sua potenza e non infierisce. Perché in realtà non è un essere crudele, fa soltanto il suo lavoro che è semplicemente compiersi. Lui si esplicita davanti ai tuoi occhi e fa il suo dovere. Tu ti prendi quello che ti devi prendere addosso, cerchi di tenere la testa fuori dalla slavina e conti lentamente fino a cento. Se dovesse servire anche fino a mille, finché ha finito. Poi fai in modo di cavarti fuori dalle macerie e ritorni alla tua vita.

Ricordiamoci che non serve combattere, si spreca energia per il dopo. Ricordiamoci anche che se giocata con astuzia e pazienza, la partita alla fine la si vince perché lo scopo è sopravvivere.

Detto questo, facciamoci un cicchetto e iniziamo a contare.

Uno

due

tre

quattro

cinque

sei…

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(988) Frustrazione

Sentimento di chi ritiene che il proprio agire sia vano, questa è la definizione da dizionario. Credo sia perfetta. Bellissima. Precisa, senza via di scampo. La indossi e te la senti cadere nei punti giusti, non tira da nessuna parte, è proprio quella cosa lì che cercavi per comprendere quello che stai provando.

E adesso? Adesso, come al solito, come fanno le persone assennate, come fanno le persone mature, come fanno le persone che vogliono risolvere le proprie miserie senza per questo armarsi di kalashnikov per mettere in atto un massacro… adesso si razionalizza.

Pronti? Via!

Partiamo dal presupposto che non posso provare frustrazione se mi limito al pensiero senza farlo seguire da un’azione. Se ti fermi al pensare non puoi dirti frustrato, devi trovare un altro aggettivo che definisca il tuo sentimento. Perché è giusto rivendicare la maternità/paternità del NOSTRO aggettivo, nostro ovvero di coloro che non pensano e stop, ma AGISCONO  e poi verificano coi fatti che il proprio agire sia stato vano. Cioè, non ti puoi fare un film in testa e dichiararti vano soltanto perché hai paura che una volta esplicitata l’azione non servirà a niente. Prima prova e poi – se va buca – aggrappati alla frustrazione. È tuo diritto, te lo sei meritato, perché ci hai provato e non è andata bene. La frustrazione è tua. Goditela.

Da qui soltanto, con questo trofeo guadagnato in campo, si può avanzare nel ragionamento. La frustrazione deriva dal tentativo vano, ma i motivi del fallimento cambiano di situazione in situazione per cui è lì che bisogna andare a indagare. Auguri.

Una volta che arrivi all’origine del flop (pensiero bacato in partenza? Azione poco decisa o esagerata? Situazione troppo incasinata per affrontarla da solo? Situazione senza via d’uscita?), devi procedere con una lista di “potevo/dovevo invece fare” oppure “dovevo pensare anche che”. Lo so, è una menata, ma se non lo fai tu non lo può fare nessuno al tuo posto e la frustrazione si appiccica furiosamente a chi subisce inerme. Pensaci.

Ok, a questa fase segue la parte più significativa: la reazione.

Io reagisco incazzandomi. Ecco, mi rendo conto che è limitato e limitante come contrattacco, ma sono una persona semplice. Da A vado a B, non salto passaggi, non sono programmata per farlo. Quindi, attraversando la furia, arrivo a una stanchezza devastante (la furia ha un costo), e dalla stanchezza passo a uno stato strano permeato di “ma-chi-se-ne-fotte”. Dura poco. Forse dura troppo poco. 

Annoiata dalla stasi neuronale, trovo un altro motivo per muovermi e agire, andando incontro a nuove scintillanti frustrazioni. L’ennesimo loop dal quale non uscirò mai.

Tutto questo razionalizzando. Figuriamoci se girassi armata. 

 

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