(902) Buonumore

Stamattina mi sono svegliata di buonumore. Ignoro il perché. Lo voglio ignorare. Comunque sia è una cosa bella. 

Ho addirittura affrontato la coda in tangenziale col sorriso, mentre ero persa nei miei pensieri. Ho riascoltato per la duecentomillesima volta in due giorni la voce di George Michael scivolare sulle note rivisitate di Roxanne, di Miss Sarajevo, di Secret Love… che voce indimenticabile.

Consapevole che la giornata, molto probabilmente, si sarebbe potuta guastare per un milione di motivi diversi, non ci ho dato peso. Il sole brillava, le cose da fare sono sempre tante, e come diceva Aristotele:

Il piacere nello svolgere il tuo lavoro mette perfezione al lavoro.

E scrivo tutto questo perché ci sono anche Giorni Così, così insensatamente gioiosi, che anche se non liberi palloncini colorati nel cielo, i palloncini colorati ce li hai in testa. E potrebbe non essere un bene, ma finché non c’è nessuno che te li scoppia facendoti tuonare le orecchie, male non fanno.

Non lo so, a volte ho degli istanti di lucidità, dove guardo davvero le cose per quello che sono e sono, tutto sommato, interessanti e anche divertenti. Magari non bellissime, ma divertenti sì, perché fatte di niente. Un niente che puoi soffiare via soltanto se lo vuoi, soltanto se le vedi nude. 

Le cose vanno e vengono, come pare a loro, e ti insegnano che non ci devi far conto, devi trovare il centro in altro. In te. Tutto molto banale, certo, ormai siamo assuefatti dalla New Age Spirituale, che fa un mescolone di tutto e sminuzza in aforismi concetti che hanno radici mica da poco. Ma tant’è…

E ci sono giornate come questa, dove tocco il mio centro e mi sembra proprio solido. E guardo le cose per quello che sono, trovandole interessanti. Divertenti. Magari non tutte belle, ma la bellezza è un fatto soggettivo. 

A me basta questo. Oggi.

 

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(387) Ombrelli

Credo che gli ombrelli siano un’invenzione splendida. Davvero. Sono utili, sono colorati – volendo – sono pratici, sono belli. Un’invenzione splendida, ripeto. Gli ombrelli sono quelle cose che ho disseminato un po’ per tutto il tratto Udine-Brescia, o Milano – Brescia, o Torino – Brescia, nei miei anni da pendolare. Li ho dimenticati ovunque: nelle stazioni, nei bar, nei negozi, negli uffici postali… ovunque.

Certe volte, mentre corro sotto la pioggia in cerca di un riparo per non prendermi una polmonite fulminante, vedo perfetti sconosciuti che passeggiano tranquillamente perché portatori sani di bellissimi-utili-colorati ombrelli. Ogni tanto mi è pure sembrato che uno di questi ombrelli somigliasse paurosamente al mio, quello appena perso chissà dove, ma forse è stato solo un inganno della mente.

Non perdo tante cose, almeno non con questa frequenza e questa costanza da Guinness dei Primati, solitamente sto attenta. Ho perso una volta – inspiegabilmente, se ve lo raccontassi non ci credereste neppure voi – le chiavi dell’auto. Fu una giornata disastrosa, da non augurare neppure al tuo peggior nemico. Un’altra volta ho perso la borsetta, anzi, quella volta me la sono proprio dimenticata nella sala d’aspetto del medico condotto e quando l’ho ritrovata – grazie al suddetto medico – era stata ben svuotata di tutti i miei averi. Mi succede, solitamente, quando sono piena di cose in testa, ed è assurdo pretendere che ci stiano troppe cose nella mia testa. Come posso anche ricordarmi di riprendere l’ombrello che ho lasciato all’entrata soltanto dieci minuti prima?!

Non mi piace quando perdo le cose. Peggio quando perdo le persone. Ma se per le persone perse la colpa è da dividere a metà, per le cose me la devo prendere soltanto con me stessa. Eh.

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