(355) Candore

L’ho perso tanto tanto tanto tempo fa. Me ne rammaricavo perché mi pareva di essermi imbruttita a suon di cinismo e disillusioni. Addirittura covavo rancore nei confronti della vita che me lo aveva frantumato senza tante cerimonie, privandomi dell’ultima caratteristica bambina di cui mi potevo vantare.

Pensavo anche che fosse quel candore che mi permetteva di amare, amare incondizionatamente, senza risparmiarmi, senza calcoli, senza vie di mezzo, senza dubbi, senza bisogno di assicurazioni, senza chiedere niente in cambio e senza aspettarmi niente in cambio. Lo pensavo talmente che non ho più dato peso all’amore, facendolo – molto probabilmente – scappare via a gambe levate.

Il candore che mi permetteva di approcciare un altro Essere Umano con la convinzione che quell’Essere Umano fosse per forza speciale soltanto per il fatto che esistesse, credevo fosse la cosa più preziosa che potessi donare al mio prossimo. Una volta perso, anzi, una volta disintegratosi a forza di colpi letali è andato per sempre. Non c’è via di ritorno. Sei solo più opaca, più spenta, quasi un po’ morta.

Ho vissuto così gli ultimi 20 anni della mia vita, rimpiangendo il candore che mai più riavrò. E oggi, proprio oggi, mi sono risvegliata dal delirio e penso che sono proprio un’autentica idiota. Quel candore, in realtà, non lo rivoglio più – e non lo dico per ripicca, ma sul serio – perché mi sarebbe d’impiccio, dovrei continuamente raccattare il mio cuore frantumato e non avrei tempo per nient’altro. Quel candore se n’è andato per un buon motivo e, anche se poteva trovare un modo meno doloroso per farlo, imparare forzatamente a vivere senza di lui è stato vitale. Infatti sono viva. La cosa mi consola parecchio, ma resto pur sempre una imperitura idiota.

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