Ci sono slogan (per noi addetti ai lavori trattasi di claim) che hanno profondamente segnato l’immaginario della nostra società e non ce ne siamo neppure resi conto. La campagna pubblicitaria degli anni ’90 della Sector, la mitica “No Limits” che aveva come protagonisti indomiti sportivi che sfidavano qualsiasi legge (dalla gravità al buon senso) nel raggiungimento di obiettivi sempre più ambiziosi, ha aperto le porte alle proiezioni aspirazionali di chiunque. E intendo proprio chiunque.

Forse abbiamo fatto nostro il motto “No Limits” talmente bene che non ci siamo resi conto che certi limiti non sono fatti per essere superati o bypassati o sottovalutati, bensì per ricordarci che il nostro corpo e la nostra mente hanno una forma, una sostanza, un’intensità, una dimensione che – per quanto elastiche – ci impongono cautela. Se vogliamo rimanere in vita, ovvio.

La cautela è quella cosa che ti fa portare a casa la pellaccia ogni sera. Io non ci sputerei sopra.

Dando per scontato che ognuno di noi sa quanto ci tiene alla propria esistenza, e che ognuno per sé decide la qualità della vita a cui ambire, la questione dei limiti è qualcosa che ci tocca molto intimamente.

Se un limite è vissuto a prescindere come restrizione della propria libertà, forse non abbiamo compreso bene di cosa si sta parlando. Proviamo a capovolgere il punto di vista?

Le regole del gioco, ti guidano mentre stai giocando. Non si cambiano, a meno che tu non voglia manomettere il gioco che diventa inevitabilmente qualcos’altro. Un altro gioco. Questo nuovo gioco avrà le sue regole, quando un gioco non ha regole si chiama caos. Il caos è funzionale alla creazione di un nuovo assetto, quando di breve durata. Se diventa il nuovo stato di cose, non è più in funzione di qualcosa ma di qualcuno. Il potere lo sa.

Fissare un termine, determinare il livello massimo, definire i confini, stabilire parametri e criteri: limitare non per schiacciare bensì per ordinare. Se i limiti decisi dal potere vanno a implementare il sopruso, la derisione aggressiva come stile di vita, la soppressione dei diritti umani… dovremmo per lo meno accorgercene.

Quello che mi preme dire oggi, in questo spazio che non serve a niente e a nessuno (lo so), è che quando prendi una parola e ne distorci la sostanza, la pienezza, la precisione e la giustezza, apri la porta a quello stordimento dato dallo scollamento cognitivo (vedi dissonanza cognitiva) che mette in corto circuito l’umana rete neuronale.

Ritornando alla scelta del titolo di questo post, sconfinata-mente per me è l’ambizione della mente che vuole evolvere e scansare i pericoli di ingabbiamento. Non è un sfanculiamo tutte le regole, il buon senso, i limiti del giusto e della giustizia, e via di questo passo.

I confini del mio corpo mi rendono evidente dove finisco, dove finisce lo spazio che occupo, e questo mi permette di muovermi con consapevolezza e discernimento all’interno del mondo a cui voglio appartenere.

Dove io finisco, inizia il resto del mondo.

Perché questo dovrebbe farmi sentire troppo piccola e non abbastanza?

Avere più corpo? Avere più spazio? Avere più cosa?

Cosa sarebbe abbastanza, abbastanza per rendermi satolla, gratificata?

Quando la misura è colma, è colma.

Punto. 

 

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