Dopo aver guardato e ascoltato con attenzione gli speech della Convention dei Democratici, per l’elezione del prossimo Presidente degli Stati Uniti, li ho voluti far riposare dentro di me. Mentre si depositavano ho ripensato a certi passaggi del saggio “Storytelling – la fabbrica delle storie” di Christian Salmon e ho dovuto riprenderlo in mano per verificare se ricordavo bene quanto letto qualche anno fa.

Confermo: ricordavo bene. C’è un passaggio che mi sembra significativo più che mai oggi, lo riporto qui:

La chiave della leadership e il segreto del successo di un presidente risiedono in gran parte nello storytelling. Dalle origini della Repubblica americana fino ai giorni nostri, coloro che hanno cercato di conquistare la più alta carica hanno dovuto raccontare a chi aveva il potere di eleggerli delle storie convincenti sulla nazione, sui suoi problemi e, soprattutto, su loro stessi. Una volta eletto, la capacità del nuovo presidente di raccontare la storia giusta, e a volte di cambiarla quando serve, è una qualità determinante per il successo della sua amministrazione. E quando lascia il potere, dopo una sconfitta o alla fine del suo mandato, egli occupa spesso gli anni successivi ad assicurarsi che la propria versione della presidenza corrisponda a quella che sarà ricordata dalla Storia. Senza una storia giusta non c’è né potere né gloria.

(Evan Cornog – The Power and the Story – 2004)

Partendo da una affermazione come questa, piovono le riflessioni e i confronti incrociati a livello internazionale, vero?

Voglio, però, focalizzare l’attenzione sui soggetti in questione e la prima è: Michelle Obama. Ex-First Lady decisamente molto amata e tenuta in grande considerazione (prima di tutto da suo marito, e non è poco) per il suo darsi con instancabile energia e garbo indiscutibile. Il suo discorso fa capo a un coerente e continuativo storytelling che non ha mai avuto cedimenti. Anche ora che ha dichiarato che sta attraversando un momento difficile a livello psicologico e che si sta facendo aiutare, la sua forza non è un dettaglio. La sua lucidità non è venuta meno. Il suo coraggio pure.

 

Mi soffermerei sull’incipit, dove dichiara che capisce perfettamente che sia difficile ora (con la pandemia che sta devastando il paese) avere interesse nella politica, ma bisogna esserci ora che la sofferenza ha bisogno di trovare sollievo in soluzioni politiche urgenti. Non lo dice così, dice che ama il suo paese ed è lì per quello, ma il sottotesto non passa in secondo piano. E poi ci sono tre passaggi rimarchevoli: il chi sono e cosa ho fatto, che caratteristiche deve avere un Presidente degno, in che situazione si trova attualmente l’ufficio presidenziale:

Ho incontrato tanti di voi. Ho ascoltato le vostre storie. E attraverso voi ho visto la promessa di questo paese. E grazie ai tanti venuti prima di me, grazie alla loro fatica, al loro sudore, al loro sangue, ho potuto vivere io stessa quella promessa. (1)

Sono una delle poche persone che hanno visto in prima persona l’immenso peso e l’incredibile potere della presidenza. E lasciate che vi dica ancora una volta questo: il lavoro è duro. Richiede un giudizio lucido, una padronanza di questioni complesse e conflittuali, una devozione ai fatti e alla storia, una bussola morale e una grande capacità di ascolto, e una convinzione costante che ciascuna delle 330.000.000 di vite in questo paese abbia significato e valore.
Le parole di un presidente hanno il potere di muovere i mercati. Possono iniziare guerre o mediare la pace. Possono evocare i nostri angeli migliori o risvegliare i nostri peggiori istinti. Semplicemente non puoi fingere di saperlo fare.
Come ho già detto, essere presidente non cambia chi sei; rivela chi sei. Ebbene, anche un’elezione presidenziale può rivelare chi siamo. (2)

Ogni volta che guardiamo a questa Casa Bianca per una guida o in cerca di consolazione, o di qualsiasi parvenza di fermezza, quello che vediamo è il caos, la divisione e una totale e assoluta mancanza di empatia.

Quest’ultima non è un’accusa, è una constatazione amara. Ogni persona dotata di buon senso lo potrebbe affermare con pari schiettezza e amarezza. Ecco: lei sta parlando a chi prova la stessa frustrazione assistendo allo spettacolo disgustoso che tutti conosciamo, anche noi dall’altra parte dell’oceano.

[transcript: https://edition.cnn.com/2020/08/17/politics/michelle-obama-speech-transcript/index.html]

 

Un’altra donna entra in scena: Kamala Harris – nominata per la vice-presidenza – ha preso la parola e ha mostrato sé stessa. Storytelling coerente e intenso, forte della sua storia, del percorso che lei stessa si è disegnata e dei suoi successi professionali. Anche del suo operato, a stretto contatto con l’elettorato, anno dopo anno. Non parla come un uomo. Non usa lo stesso linguaggio, non costruisce le stesse immagini e non affronta le argomentazioni dalla stessa prospettiva di Biden o Obama. Questo è un dettaglio da tenere presente.

Anche in questo incipit il “chi sono” ha un bel peso perché parla di sé, ma la sua apertura è perfetta:

Il fatto che io sia qui stasera è una testimonianza della dedizione delle generazioni venute prima di me. Donne e uomini che hanno creduto così ferocemente nella promessa di uguaglianza, libertà e giustizia per tutti.
Questa settimana segna il 100 ° anniversario dell’approvazione del 19 ° emendamento. E celebriamo le donne che hanno combattuto per questo diritto.

L’ho detto: parla da donna. Non è un dettaglio.

Il fallimento della leadership di Donald Trump è costato vite e mezzi di sussistenza. (…) E siamo una nazione in lutto. Lutto per la perdita di vite umane, la perdita di posti di lavoro, la perdita di opportunità, la perdita della normalità. E sì, la perdita di certezza.
E mentre questo virus ci tocca tutti, i neri, i latini e gli indigeni soffrono e muoiono in modo sproporzionato. Questa non è una coincidenza. È l’effetto del razzismo strutturale. Delle iniquità nell’istruzione e nella tecnologia, nella sanità e negli alloggi, nella sicurezza del lavoro e nei trasporti. L’ingiustizia nella salute e nell’uso eccessivo della forza da parte della polizia. E nel nostro più ampio sistema di giustizia penale. Questo virus non ha occhi, eppure sa esattamente come ci vediamo e come ci trattiamo. E siamo chiari: non esiste un vaccino contro il razzismo. Dobbiamo fare noi il lavoro.

E quindi si va al punto:

Dobbiamo fare noi il lavoro necessario per mantenere quella promessa di ugualianza e giustizia ai sensi della legge. Perché nessuno di noi è libero finché tutti noi non siamo liberi.
Siamo a un punto di svolta. Il caos costante ci lascia alla deriva. L’incompetenza ci fa provare paura. L’insensibilità ci fa sentire soli.
Tutto questo è molto. Ed ecco il punto: possiamo fare di meglio per meritarci molto di più. Dobbiamo eleggere un presidente che porti qualcosa di diverso, qualcosa di meglio e faccia il lavoro importante. Un presidente che riunirà tutti noi – neri, bianchi, latini, asiatici, indigeni – per raggiungere il futuro che vogliamo collettivamente. Dobbiamo eleggere Joe Biden.

Al di là di tutto, se non fosse Biden ma qualcun altro capace di farlo, sarebbe la stessa cosa. Lui è l’alternativa in questo momento, focalizziamoci su questa possibilità. Questo è il mio pensiero, poi Kamala Harris spiega perché Biden è il presidente giusto (ovviamente)e tutto il resto.

[transcript: https://edition.cnn.com/2020/08/19/politics/kamala-harris-speech-transcript/index.html]

 

La parola, poi, passa al Presidente Barak Obama, che sappiamo essere uno speaker raffinato per quanto esplicito e lineare. Nessuna violenza: né nel tono della voce o nell’espressione del volto o nella scelta delle parole o nel significato del messaggio. Storytelling impeccabile, come sempre.

Donald Trump non è cresciuto nel suo lavoro presidenziale perché non può. E le conseguenze del suo fallimento sono gravi: 170.000 americani morti. Milioni di posti di lavoro andati. I nostri peggiori impulsi si sono scatenati, la nostra orgogliosa reputazione in tutto il mondo è fortemente diminuita e le nostre istituzioni democratiche sono state minacciate come mai prima d’ora.

Stasera vi chiedo di credere nella capacità di Joe e Kamala di portare questo paese fuori dai tempi bui e ricostruirlo meglio. Ma ecco il punto: nessun singolo americano può aggiustare questo paese da solo. La democrazia non è mai stata concepita per essere transazionale: dammi il tuo voto e rendo tutto migliore. Quindi vi chiedo anche di credere nella vostra capacità – di accettare la vostra responsabilità come cittadini – per assicurarvi che i principi fondamentali della nostra democrazia durino.

Nient’altro da aggiungere.

[read more: https://edition.cnn.com/politics/live-news/dnc-2020-day-3/h_c80bc321c98313db56d019c8311a3bbb]

Non ho trovato particolarmente coinvolgente l’intervento di Hillary Clinton, come anche quello di Elisabeth Warren, e lo sappiamo benissimo quale sia il personal branding della Clinton (per il 90% fallimentare) e quanto sia inesistente quello della Warren. Anche questo lo metterei in conto.

Joe Biden, dal canto suo, è stato presentato enfatizzando la sua capacità empatica. Di contro è terreno in cui Trump si rivela perdente alla grande in qualsiasi contesto lo si voglia inserire. Così si vince facile? Non lo so, vedremo.

Un dettaglio che invece mi sembra interessante evidenziare è come l’aggettivo decent è stato utilizzato da TUTTI i supporters di Biden in ogni frangente. Il significato tradotto in italiano assomiglia a “persona per bene”, ma è decisamente più variegato di quanto pensiamo:

 

Siamo sempre lì: confrontando le rispettive moralità dei candidati, quale termine potrebbe essere più calzante al fine di segnare un goal a porta libera?

Ritornando a monte, tutto questo impianto strutturale – messo in scena negli speech qui sopra riportati – non è derivato da uno sfogo emotivo all’italiana. Dietro questi volti, questa compostezza che si traduce in dignità oltre che eleganza, dietro la scelta di ogni singola parola e dietro la costruzione minuziosa di ogni frase c’è del duro lavoro. Un lavoro fatto da chi lo sa fare davvero.

Impareremo una buona volta a farlo anche noi? Perché o ce la raccontiamo bene questa nostra Italia o gli italiani non avranno più rispetto per la terra che li ha partoriti o che li ha accolti.

Credo che le elezioni americane ci tocchino sempre da vicino perché – voglia o no – sono una potenza indiscussa nonostante lo stato attuale delle cose. Ecco perché ho scritto questo post e l’ho scritto dopo qualche settimana dal convegno: per capire un po’ meglio ho bisogno di pensarci bene su.

Capire un po’ meglio dovrebbe essere la nostra priorità sempre. Specialmente se vuoi fare un buon lavoro.

Ah! Quasi dimenticavo: no, non voglio esprimermi riguardo la campagna di Trump. Lì dentro non c’è niente di cui parlare.

[non fate quelle facce, il titolo era chiaro: politically (in)correct ]

 

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