(1027) Rubare

Rubare la gentilezza dagli altri, mortificandola con la crudeltà, dovrebbe essere un reato punito dalla Legge. Non lo è.

Rubare la buona fede degli altri, massacrandola con le più abiette azioni, dovrebbe essere un reato punito dalla Legge. In certi casi sembra lo sia, nella realtà non lo è, o comunque non abbastanza.

Rubare la gioia dagli occhi degli altri, violentando ogni pensiero positivo con la lucidità di uno sterminatore, dovrebbe essere un reato punito dalla Legge. Non lo è. Strano, vero?

Perché rubare un libro dallo scaffale di una libreria, rubare un gioiello dallo scrigno di una signora, rubare milioni e milioni da un caveau di una banca, non è come rubare la forza dall’Anima di un altro Essere Vivente. Non è la stessa cosa. Eppure la Legge punisce l’azione contro le cose e non a sufficienza contro l’Anima delle persone. La Legge punisce blandamente il danno al corpo e prende in considerazione un ipotetico danno morale, che detta così vien da ridere quando si tratta di certi crimini. 

Rubare lo facciamo tutti, continuamente. Rubiamo il tempo delle persone quando pretendiamo la loro attenzione per milioni di fesserie che ci vengono in mente ogni minuto. Rubiamo l’energia delle persone quando li impegnamo in attività e pensieri che risultano utili solo a noi – non certo a loro – o che addirittura sono del tutto inutili e privi di senso (ci sono migliaia di lavori pagati che sono proprio questo: un’inutile perdita). Rubiamo e siamo derubati, incessantemente. Perché il tempo e l’energia non viene mai ripagata a sufficienza, nessuno si può ricomprare il tempo perso o l’energia versata.

Rubiamo l’amor proprio delle persone con la nostra noncuranza e veniamo costantemente deprivati del nostro amor proprio appena abbassiamo la guardia. 

E allora essere fermi nella propria natura che respira e pensa e sente e prova e riprova a non lasciarsi andare, non è più sopravvivenza, è urlo di vita che può spaccare qualsiasi suono. E mi domando senza sosta: perché non urliamo abbastanza? Perché ci facciamo zittire dal Male? Perché?

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(755) Intermittenza

Andiamo a intermittenza. Andiamo a intermittenza e ci stupiamo che gli altri non stiano ai nostri luce/buio come vorremmo. E che devi fa’ della tua vita se non star dietro al mio umore? Cosa? Lo shampoo?

E finché è l’umore va ancora bene, pensiamo a cosa succede quando ad andare a intermittenza sono i nostri sentimenti. Ti amo/non ti amo, ti odio/non ti odio, ti voglio/non ti voglio, ti penso/non ti penso… delirio costante.

Se ce lo tenessimo per noi non sarebbe poi un gran difetto, ma onorandone il culto lo imponiamo a chi ci sta accanto. Lo facciamo andare su e giù come uno yo-yo, lo facciamo girare e pirlare come se fosse un burattino, lo facciamo parlare o lo zittiamo come se il suo esserci dipendesse da noi. Aguzzini spudorati, ecco cosa siamo.

Eppure pretendiamo sicurezza, solidità, coerenza, fedeltà, da chi abbiamo vicino. Se mi ami ora mi amerai per sempre. Anche se ti prendessi a calci in culo, ormai hai promesso e son cazzi tuoi. Belle cose, davvero. Facciamo della scostanza la nostra religione e calpestiamo il diritto a cambiare idea, cambiare il proprio sentire, cambiare opinione, cambiare pelle – se serve e certe volte serve proprio – di chi ci sta attorno. Tutti traditori, ma noi no.

Accendi e spegni la luce facendomi girare nella stanza e sbatto contro tutto e mi sto facendo male, ma tu accendi e spegni la luce finché mi scoppiano gli occhi e non riesco a vedere più niente. Chiamala crudeltà mentale, tesoro, non amore.

Se qualcuno avesse il coraggi di dirlo, se qualcuno avesse il coraggio di staccarsi dall’interruttore nel sentirsi rivolgere queste parole, forse – dico forse – le cose potrebbero migliorare. Voglio essere ottimista, stasera, voglio accendere la luce.

 

 

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(137) Domande

Le domande migliori sono quelle che non pretendono risposta. Se arriva, la risposta, arriva come un perfezionamento del pensiero, per un pensiero sempre in divenire – chiaramente.

Ci sono domande che rimandi per pudore, altre per paura, altre per disinteresse. Credo sia normale procrastinare, specialmente se c’è il fastidio di dover affrontare ciò che volentieri eviteresti. Evitarlo per lungo tempo, però, ti potrebbe far finire in un imbuto dove non puoi che uscirne rovinosamente strizzato. Spesso non ne vale la pena.

Sono una che sbatte addosso alle domande senza sosta, ammetto non sia un gran bel modo di averci a che fare. Eppure ciò che mi arriva è sempre utile, sempre importante, se non altro a farmi avanzare senza demordere.

Smettere di considerare le domande come un avanzare della propria consapevolezza è pericoloso. Non bisognerebbe mai zittire una domanda. Sono sensibili le domande, potrebbero non ripresentarsi più.

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