(704) Violino

Si dice “essere tesi come una corda di violino”, ma il violino non è l’unico strumento a corde che se non le tendi non riesci a suonare. Hanno preso il violino come esempio? O la tensione delle corde del violino – producendo un suono secco e lamentoso – sono le uniche che necessitano di una tensione spasmodica per poter suonare come suonano?

Ebbé, se qualcuno si basasse su questi miei pensieri per capire l’intensità della mia intelligenza sarei spacciata. Lo so. Per fortuna un Essere Umano è molto più di quello che dice, di quello che scrive e persino di quello che pensa – anche se un Essere Umano che pensa da schifo fa venire zero voglia di indagare sul resto che lo riguarda.

Ormai tutti sanno della mia incapacità congenita di fermarmi e restare immobile a meditare, così mi sono scaricata un’app splendida che ti permette di entrare nel mirabolante mondo della meditazione come in un sogno e farti vivere questa esperienza come mai prima l’hai saputa immaginare. Fantastico.

Ok, oggi potevo iniziare. Me l’ero pure imposta, l’avevo programmato, non vedevo l’ora di iniziare… non so cos’è andato storto, ma mi sono persa nel vortice di pensieri spumeggianti di questa prima domenica di fine estate dove vorrei che il tempo si fermasse perché si sta così bene e… mi sono scordata dell’app e della promessa che mi ero fatta.

Non è detto che prima di dormire io non lo faccia, ma per il momento ho altre dieci cose in programma e nessuna la coinvolge. Non è cattiveria, credo, è proprio che mi sembra una perdita di tempo. Odio perdere tempo e una voce nel mio cervello mi dice che posso fare altro anziché perdere tempo meditando… magari sfidarmi a Parole Collegate (un giochetto idiota eppure impegnativo, che mette in crisi anche chi con le parole ha una certa dimestichezza). Cosa si vince? Nulla. Allora si perde tempo? Ehmmmmm… ni… quasi… insomma…

Ok, la mia tensione cerebrale ha molto a che fare con le corde di un violino, lo ammetto. Ora mi faccio una doccia e poi inizio con l’app meditativa, programma: anti-stress. Se entro due minuti non funziona mi butto su Netflix.

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(626) Scomodità

Nomina una scomodità (mi sono detta oggi). Una sola? (mi sono risposta). Già, anche se sono diventata una specialista dei telegrammi, una sola è davvero poco. Posso scriverne cento di scomodità che ho abbracciato fin da piccola senza neppure accorgermene. Mi sembrava fosse normale, fosse una cosa da tutti. Crescendo ho capito che non era così.

Però anche alle scomodità ci si può affezionare, pensi che alla fine non è proprio ‘sta gran cosa e vabbé, va bene così. Sbagliato.

Mantenere salde certe scomodità non va bene, non va bene affatto. Metti che hai un materasso che ti spacca la schiena. Cambialo, subito! Metti che hai le scarpe strette. Ma sei matto? Buttale, ora! Ecco, siamo tutti d’accordo che bisogna disfarsi di certe scomodità, giusto?

Non è così in effetti, ci sono delle situazioni estremamente scomode che teniamo strette e queste maledette ci rosicchiano i nervi, fino a staccarceli come corde di violino spezzate dal logorio dell’archetto. Non siamo qui per soffrire, ce lo dicono a messa, ma è una balla. Siamo qui per vivere, fare in modo che il vivere non sia un fastidio è compito nostro.

E il nostro diritto alla comodità è il diritto di tutti. Ovunque.

Non significa calpestare le comodità degli altri per stare più larghi, neppure togliere di mano le comodità altrui per averne di più. Ci vuole misura, come sempre, ci vuole misura e rispetto, come sempre deve essere.

Ho deciso che toglierò di mezzo alcuni fastidi, il primo fra tutti è il silenzio obbligato, poi verrà il turno del sorriso forzato, poi penserò al sì stretto tra i denti. Uno dopo l’altro cadranno da me per farsi seppellire come meritano.

È tempo di prendersi la comodità di essere soltanto quella che sono. Adesso.

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