(1053) Simbolo

simbolo /’simbolo/ s. m. [dal lat. symbŏlus e symbŏlum, gr. sýmbolon “accostamento”, “segno di riconoscimento”, “simbolo”, der. di symbállō “mettere insieme, far coincidere” (comp. di sýn “insieme” e bállō “gettare”)]. – [segno, oggetto e sim., atti a suscitare nella mente un significato diverso da quello proprio, evocato comunque attraverso connessioni reali o metaforiche: la volpe è il s. dell’astuzia] ≈ emblema, icona, immagine, raffigurazione, rappresentazione, segno. ‖ incarnazione, personificazione.

Oggi stavo studiando un testo piuttosto interessante (psicografia et affini) e così ho iniziato a pensare alla questione dei simboli. A quanta fatica io abbia fatto in epoca scolastica a comprendere il significato simbolico di certi passi della Divina Commedia (tanto per fare un esempio) e a quanto poco io ricordi di tutte le ore trascorse a memorizzare quello che Dante voleva dire in quel passaggio o in quell’altro. Tutto tempo perso. Oppure no?

La questione dei simboli va a scavare in profondità in quel fango di conoscenze ataviche che ci portiamo dentro e in qualche modo va a toccare la nostra esistenza anche se non ce ne rendiamo conto. Volenti o nolenti.

Certa di sapere di non sapere, nel tempo e con grande pazienza, ho iniziato ad avvicinarmi a quella simbologia dei popoli antichi che, forse, mi affascinavano proprio per questo. Pittogrammi e segni che andavano a infilarsi tra le maglie della mia rete sinaptica e che facevano vibrare qualcosa (a dirla tutta non so tutt’oggi che cosa ma qualcosa vibrava e vibra ancora).

Non è che adesso io non sia più consapevole e certa di sapere di non sapere, ma la questione dei simboli – in qualche arcano modo – ha smesso di risultarmi così estranea e incomprensibile. Magari le parole composte in concetti non sono così precise dentro la mia testa per poterle farle uscire in modo decente, ma ora entra in gioco l’intuizione che me la rende amica. Quindi sto più attenta, quando incontro dei simboli, per capire come vengono usati e a che scopo. Soprattutto a che scopo.

Attraverso i simboli il Divino si mostra, dicono, ma noi Umani li abbiamo utilizzati per renderli diabolici ed è diventato un gioco pericoloso. Stupido, violento e pericoloso. Non so perché riusciamo a ridurre tutto ciò che è potenzialmente magnifico in una fanghiglia puzzolente, ma ci riusciamo sempre. Almeno in questo siamo bravi. Non ci batte nessuno.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(643) Confidenze

Sono quei sussurri delicati che ci si scambia tra spiriti affini. Capita che ci si incontri e che il dialogo si sciolga naturalmente, come se non fosse appena iniziato, come se fosse un riprendere il discorso. Non capita spesso, ma capita. E te ne accorgi subito che anche se si scivola sul personale non c’è alcun pericolo. Non hai bisogno di costruire muri, azionare filtri, ingabbiare le parole, storcere i pensieri. Non corri alcun pericolo.

La situazione è così benedetta che non importa se con quella persona ci passerai tre minuti-e-mai-più o una vita intera a chiacchierare, non importa se le reciproche strade si snoderanno in percorsi diversi, importa che quel contatto di fiducia istintiva e istantanea sia accaduto. Ti fa pensare: guarda, guarda che bello che può essere creare un ponte tra me e un altro Essere Umano!

Si attuano strategie sopraffine per tenere gli altri a distanza, magari lamentandoci di essere soli. Ci corazziamo per respingere ogni possibile invasione, ogni probabile aggressione, ogni ipotizzabile intrusione. E ci lamentiamo di essere soli, schiacciati dalla solitudine brutta, quella che ti toglie la voglia di vivere. Siamo bravi a raccontarcela.

Io non sono mai sola. Prima di tutto perché sono con me, e anche se non è sempre una passeggiata è comunque un rapporto duraturo che sto coltivando da tempo, e poi perché mi permetto di incontrare altri Esseri Umani. No, non sempre, non tutti, ma quando sto bene e soltanto persone scelte accuratamente (anche se le ho scelte in tre secondi netti, la cura che ci metti non dipende dal tempo, ma dall’attenzione che gli presti).

Essere soli è una condizione umana imprescindibile, ma la solitudine quella brutta è una condizione passeggera e siamo noi a decidere quanto deve durare il passaggio. Basta un contatto umano autentico a settimana per curare qualunque solitudine. Per essere autentico devi poter parlare ad anima scoperta e rischiare un po’, ma per questo non si muore. Di solitudine brutta invece sì.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(444) Neve

Ci sono cose che non dovrebbero essere toccate. Cose che sono già perfette così, perché ci ha già pensato Madre Natura a farle per bene e non è richiesto nessun intervento umano aggiuntivo. Di nessun genere.

Anche certi pensieri non dovrebbero essere toccati. Nascono perfetti, come fiocchi di neve, e se li tormenti anche solo con la punta del polpastrello ti si sciolgono davanti agli occhi e basta, non rimane più nulla. La neve non dovrebbe essere calpestata, solo ammirata da lontano.

Ho imparato a non toccare certe cose, principalmente perché ne colgo la Bellezza e non voglio rovinarla. Stessa cosa per certi pensieri, con l’esperienza ho capito che quelli che ti sollevano il respiro non devono essere toccati né da me né da altri e preferisco lasciarli fluttuare nel mio Iperuranio in segreto, silenziosamente.

Forse si tratta di una certa forma di pudore, alcuni direbbero, ma io mi conosco bene e il mio senso del pudore – ben solido – non ha nulla a che vedere con questa scelta. Voglio solo tutelare il mio sacrosanto diritto al pensiero libero, non mi fido più degli umani e non conto più sulla delicatezza di alcuno.

Ci sono cose e pensieri che dovremmo proteggere da tutti, anche da noi stessi, per una forma di rispetto della Vita e del disegno del Creato. Liberi da un ipotetico sperato sostegno, liberi da un’utopica condivisione fraterna, liberi dal bisogno di popolarità: certe cose e certi pensieri sono già pieni, già forti, già liberi così come nascono. Se smettiamo di prendercene cura, li perdiamo. Per sempre.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF