(1033) Appiglio

Nel mio lavoro si è alla continua ricerca di un appiglio per far avanzare i propri pensieri e da lì arrivare a qualcosa di utile, di efficace, di concreto.

Noi “creativi” dobbiamo essere più creattivi che meditativi. Quindi l’appiglio che trovi non è un arrivo, è soltanto una spinta per andare più su. Su dove? Fin sulle nuvole e oltre, naturalmente. Ma attenzione: il risultato deve essere concreto.

Se sai dove guardare di appigli ne trovi a milioni, non tutti però sono utili e non tutti sono efficaci. Devi trattenere soltanto quelli che da qui ti fanno andare lì. E questo rigore può essere doloroso. Quel “era tanto bello” o “era tanto interessante” te li devi mettere in tasca per andare oltre. L’esperienza te lo insegna, il buonsenso te lo impone, il tempo che non è mai abbastanza te lo ricorda costantemente.

Un appiglio valido è un’evocazione che ti accompagna per un po’ su un tragitto che, anche se c’era, prima non lo vedevi. Un appiglio ti fa andare al di là dello sguardo per darti un ulteriore pezzetto di reale che ti aiuti a disegnare meglio l’immagine e trovare – diolovoglia – le parole giuste per traghettarlo fino alla sponda designata.

Non ti affezionare a un appiglio, non si è fatto trovare per restarti appiccicato addosso. Non pretendere che ti faccia fare più strada di quella dovuta, non è tenuto a farlo e – molto probabilmente – non è in grado di farlo. Non trattarlo come se non contasse nulla, ascolta quello che ha da dirti e usalo al meglio, altrimenti sprechi una buona occasione per avanzare.

Detto questo: in giornate pigre e sfiancanti come oggi gli appigli mi schifano, e io non so perché. Dannazione!

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(989) Tragitto

Ci sono variabili e varianti da considerare, sempre. Ogni volta che qualcuno ti racconta la sua storia, individuare tra le righe l’origine della partenza del suo tragitto è indispensabile per comprendere le regole e le dinamiche di quel viaggio. È una cosa sottile sottile, delicata delicata, ma è necessaria. Se non lo fai rischi di fare danni, magari a chi non lo merita affatto.

Diamo per scontato che tutti noi percorriamo sentieri poco illuminati più che autostrade con lampioni equidistanti che ti accompagnano chilometro dopo chilometro. Diamo per scontato che si viaggia sempre di notte, non sappiamo chi siamo, ci conosciamo giusto quel pezzettino che di noi abbiamo già sperimentato vivendo fin lì, ma quel che abbiamo davanti lo ignoriamo bellamente. Diamo anche per scontato che certe cose te le scegli e altre ti vengono imposte, senza cattiveria perlamordelcielo ma la crudeltà in certi casi è inaudita.

Quindi, dicevo, il tragitto ha variabili e varianti, che o le intercetti e le guardi per bene o non capirai mai niente. Mai niente. 

Il mio primo dubbio: è proprio indispensabile che tutti capiscano tutto? 

Il mio secondo dubbio: è auspicabile?

Il mio terzo dubbio: è sano?

Credo di no. Credo proprio di no.

La cosa che però, ancora e ancora e ancora, mi riporta a casa è che questi tragitti se compresi davvero ti offrono talmente tante riflessioni e piccole-infinitesimali illuminazioni che sarebbe un peccato perdersele. 

Al momento sono ferma qui, la stazione è deserta, il bosco attorno filtra la luce di una luna piena che è più morbida di qualsiasi sole in qualsiasi stagione si possa immaginare. Il silenzio è apparente, ci sono voci sussurrate che ancora non so comprendere, ma ho tempo.

Credo ci sia ancora un po’ di tempo per me per riuscire a comprenderle.

Spero.

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(848) Binari

Ho preso molti treni, atteso in molte stazioni per coincidenze propizie, perso molte coincidenze propizie pure. I binari sempre lì, io deragliavo per cause a me estranee eppure invadenti. Ho incontrato altri passeggeri, tanti altri passeggeri, e li ho lasciati correre sui loro binari nella speranza di riprendere i miei. Bello viaggiare insieme, ma soltanto quando il viaggio è lo stesso altrimenti continui a pensare “dove-diavolo-sto-andando?” anziché goderti il tragitto. 

I binari sono quelli. Al massimo possono virare (destra o sinistra), al massimo possono incrociarsi con altri binari, ma o ne prendi uno o l’altro, impossibile percorrerne contemporaneamente tre o quattro o cinque o mille. Devi scegliere. Tornare indietro? Sì può, ma la strada ormai l’hai fatta e se hai una meta finisci soltanto con il moltiplicare i chilometri senza arrivare mai. Sei arrivato fin lì? Continua. Sempre avanti, curva a destra o a sinistra, ma non ritornare alla stazione che ti sei lasciato alle spalle. Quella ormai la conosci. Non cambierà per te, non ti accoglierà meglio di come ha già fatto e se te ne sei andato, se hai voluto proseguire è perché lì non ti sentivi comunque al posto giusto. Era un transito, non una destinazione. Semplice. 

Veniamo messi su dei binari e ci viene chiesto di farci guidare perché all’inizio siamo senza mappa, senza conoscenze tecniche (come diavolo si guida un treno?). Pensiamo che sia sempre qualcun altro a decidere, quando ci accorgiamo che siamo noi a pilotare in cabina ci prende un coccolone: oddio! A saperlo prima! Oddio! Perché me l’avete detto? Ora come faccio? Con chi me la prendo? Eh. Siamo animaletti complessi, contradditori, fastidiosi, disarmanti. Sui nostri binari facciamo di tutto fuorché ringraziare perché ci siamo.

La meta davanti, alcuni tragitti tra cui scegliere e un’ipotesi come direzione. 

E viaggiamo

viaggiamo

viaggiamo

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