(861) Museo

A un certo punto della nostra vita scopriamo – con sgomento – che la nostra vita è diventata un museo. Cose vecchie messe in mostra per spaventare chi si avvicina a noi, un monito: “Io sono questa cosa qui, risultanza di tutto il mio passato, se entri sappi che dovrai studiare un bel po’ per capirci qualcosa. No, non sei proprio il benvenuto, ti tollererò per un po’ e valuterò col tempo se meriti di restare o te ne devi andare al diavolo”. 

Più o meno è quello che ho scritto nel cartello che sta fuori al mio museo. Spaventoso vero? Lo spero tanto, è pensato apposta per esserlo. 

Devo specificare che non è che l’ho scritto tutto di un botto, ci sono arrivata con gli anni. E non mi immaginavo potessi arrivare a pensare e quindi scrivere una cosa del genere perché da giovane il mio motto era “mi casa es tu casa”. Presente il salto quantico che la vita mi ha obbligata a fare. A volte non mi riconosco. Momenti di sconnessione a parte, la questione del ti-devi-guadagnare-il-privilegio-di-frequentare-il-mio-museo è nata da poco. Qualche mese penso. Penso, perché altrimenti mi suonerebbe nuova oggi che ne scrivo, invece mi girava dentro da un po’. Non è che le cose mi compaiono suonando il campanello, spesso sgattaiolano dentro da una finestra che ho lasciato incautamente aperta o dalla porta approfittando di chi entra e chi esce nella mia testa. C’è un bel po’ di movimento nel mio museo (nonostante il cartello, figuriamoci quanto so essere assertiva nelle mie posizioni… no comment), sembra di essere in stazione centrale, e non è che posso sempre chiedere chi-è?, ho anche altro da fare.

Ritornando al topic di questo post, i musei non mi hanno mai messo a mio agio e non credo siano stati pensati per farlo (né con me né con nessuno), quindi non capisco come ‘sta cosa sia nata in me. Esasperazione suppongo. Fatto sta che ora mi si pone la questione del come-fare-a-trasformare-un-museo-in-un-posto-meno-respingente. Non ho intenzione di farlo diventare un locale da happy hour, ma una sorta di salotto accogliente, forse sarebbe il caso. Non mi fa impazzire l’idea, il solo pensiero delle tracce che i miei ospiti lasceranno in giro mi fa ritornare immediatamente sui miei passi, ma morire dentro a un museo mi sembra eccessivo anche per un’introversa del cavolo come me.

Santiddddddio! Ma perché devo essere sempre così complicata? Non posso per una volta prendere le cose con meno impeto? Non sarebbe ora di darmi una calmata? In fin dei conti sono una donna matura (ahahahahahah!) che sa quello che vuole (ahahahahahah!) e sa dove vuole andare (ahahahahahah!)…

almeno da qui a tre minuti… 

Ehmmmm… certo! 

A letto. 

Buonanotte.

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(848) Binari

Ho preso molti treni, atteso in molte stazioni per coincidenze propizie, perso molte coincidenze propizie pure. I binari sempre lì, io deragliavo per cause a me estranee eppure invadenti. Ho incontrato altri passeggeri, tanti altri passeggeri, e li ho lasciati correre sui loro binari nella speranza di riprendere i miei. Bello viaggiare insieme, ma soltanto quando il viaggio è lo stesso altrimenti continui a pensare “dove-diavolo-sto-andando?” anziché goderti il tragitto. 

I binari sono quelli. Al massimo possono virare (destra o sinistra), al massimo possono incrociarsi con altri binari, ma o ne prendi uno o l’altro, impossibile percorrerne contemporaneamente tre o quattro o cinque o mille. Devi scegliere. Tornare indietro? Sì può, ma la strada ormai l’hai fatta e se hai una meta finisci soltanto con il moltiplicare i chilometri senza arrivare mai. Sei arrivato fin lì? Continua. Sempre avanti, curva a destra o a sinistra, ma non ritornare alla stazione che ti sei lasciato alle spalle. Quella ormai la conosci. Non cambierà per te, non ti accoglierà meglio di come ha già fatto e se te ne sei andato, se hai voluto proseguire è perché lì non ti sentivi comunque al posto giusto. Era un transito, non una destinazione. Semplice. 

Veniamo messi su dei binari e ci viene chiesto di farci guidare perché all’inizio siamo senza mappa, senza conoscenze tecniche (come diavolo si guida un treno?). Pensiamo che sia sempre qualcun altro a decidere, quando ci accorgiamo che siamo noi a pilotare in cabina ci prende un coccolone: oddio! A saperlo prima! Oddio! Perché me l’avete detto? Ora come faccio? Con chi me la prendo? Eh. Siamo animaletti complessi, contradditori, fastidiosi, disarmanti. Sui nostri binari facciamo di tutto fuorché ringraziare perché ci siamo.

La meta davanti, alcuni tragitti tra cui scegliere e un’ipotesi come direzione. 

E viaggiamo

viaggiamo

viaggiamo

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(387) Ombrelli

Credo che gli ombrelli siano un’invenzione splendida. Davvero. Sono utili, sono colorati – volendo – sono pratici, sono belli. Un’invenzione splendida, ripeto. Gli ombrelli sono quelle cose che ho disseminato un po’ per tutto il tratto Udine-Brescia, o Milano – Brescia, o Torino – Brescia, nei miei anni da pendolare. Li ho dimenticati ovunque: nelle stazioni, nei bar, nei negozi, negli uffici postali… ovunque.

Certe volte, mentre corro sotto la pioggia in cerca di un riparo per non prendermi una polmonite fulminante, vedo perfetti sconosciuti che passeggiano tranquillamente perché portatori sani di bellissimi-utili-colorati ombrelli. Ogni tanto mi è pure sembrato che uno di questi ombrelli somigliasse paurosamente al mio, quello appena perso chissà dove, ma forse è stato solo un inganno della mente.

Non perdo tante cose, almeno non con questa frequenza e questa costanza da Guinness dei Primati, solitamente sto attenta. Ho perso una volta – inspiegabilmente, se ve lo raccontassi non ci credereste neppure voi – le chiavi dell’auto. Fu una giornata disastrosa, da non augurare neppure al tuo peggior nemico. Un’altra volta ho perso la borsetta, anzi, quella volta me la sono proprio dimenticata nella sala d’aspetto del medico condotto e quando l’ho ritrovata – grazie al suddetto medico – era stata ben svuotata di tutti i miei averi. Mi succede, solitamente, quando sono piena di cose in testa, ed è assurdo pretendere che ci stiano troppe cose nella mia testa. Come posso anche ricordarmi di riprendere l’ombrello che ho lasciato all’entrata soltanto dieci minuti prima?!

Non mi piace quando perdo le cose. Peggio quando perdo le persone. Ma se per le persone perse la colpa è da dividere a metà, per le cose me la devo prendere soltanto con me stessa. Eh.

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