(1023) Gola

Quando un’emozione ti prende la gola è fatta, sai già che avrai la peggio. Perché lo stomaco lo puoi nascondere, la gola no. Neppure una sciarpa o un foulard potrebbero nascondere il tremito che la gola rivela – che sia di gioia, di dolore, di rabbia, di tristezza, di tutto-quello-che-vuoi non importa – e che è pronta a usare contro di te.

Il segreto per evitare la disfatta sarebbe: non provare alcuna emozione. Bingo.

I peccati di gola, d’altro canto, possono rivelarsi ben piacevoli e del tutto perdonabili, chissà perché.

Prendere per la gola qualcuno – che tu lo voglia sedurre o far fuori – è un’azione potente, che richiede una certa concentrazione. Non da tutti, non sempre, non con chiunque e non ovunque. Bisogna farci attenzione.

Tagliare la gola… ecco, i tagliatori di gole son brava gente dopotutto – gente che fa soltanto il proprio lavoro – e che crede nel proprio valore e nell’utilità che apportano alla comunità, ma è meglio tenerli a distanza, si rischia di avere la peggio.

Il nodo in gola fa parte delle cose mal digerite, che ti viene da piangere o da vomitare, e sempre di emozioni si tratta.

Quando riesci ancora a parlare, quando la voce non ti manca, quando il respiro ti regge, sii grata alla tua gola.

Ingoiare i rospi come pratica quotidiana non porta niente di buono, bisognerebbe ricordarlo.

Tutto questo per dire cosa? Che la gola è importante perché ci rivela.

Eh, sì. Un’altra imperdibile perla di saggezza… no, non ringraziatemi, e soprattutto state lontano dalla mia gola!

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(925) Intransigenza

Lo sono. Mea culpa. Sono fastidiosamente intrnsigente per certe questioni.

Molto probabilmente sono anche arrogante e presuntuosa, perché l’intransigenza può avere origine proprio lì. Non ne vado fiera, ma ogni volta che mi viene chiesto di adeguarmi e dentro sento un urlo feroce, io non mi adeguo. Mi prendo tutte le conseguenze del caso, ma non cedo facilmente, non cedo subito e non cedo volentieri.

Va bene? Probabilmente no. Probabilmente per niente. Probabilmente. Bhé, se fossi sicura che non va-davvero-bene-a- 100% probabilmente smetterei di esserlo, no?

La vita, quindi, mi ha messa di fronte a questa foto di me che non vorrei guardare, che non mi piace, che non mi rende fiera di me stessa, ma che è così. Senza i filtri di Instagram le nostre mancanze sembrano molto più orrende e imperdonabili, vero?

Fatto sta che il mio non riuscire ad adeguarmi a quello che “si è sempre fatto così” oppure “ha sempre funzionato così” oppure ancora “tanto non c’è niente da fare perché le cose stanno così”, crea fastidio e insofferenza in chi mi sta vicino. Me ne rendo conto, mi dispiace sinceramente. Non tanto per dire, mi dispiace davvero. Ma io sono una lenta: ho bisogno di tempo per ingoiare il rospo, per risettare i neuroni, per sistemarmi le cose dentro e poi trovare il modo di adattarmi. Poi mi adatto, quando me ne faccio una ragione, ma farmi una ragione non è cosa immediata. Anche di questo mi dispiace.

Sarò anche indisponente e presuntuosa con la mia posizione intransigente, ma me ne accorgo e cerco di risistemarmi. E mi comporta un dolore che difficilmente potrei descrivere quindi non ci provo neppure, ma non diventa mai più facile, è sempre lo stesso, fedele all’originale. Certe certezze sono disarmanti, vero?

Spezzarmi ogni volta e poi ritirarmi in piedi è faticoso, e il peggio è che non ho un altro modo. E mi dispiace. Anche di questo mi dispiace. Sinceramente.

 

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