(623) Conti

Bisogna saper fare i conti. Detto da me, diplomata fantozziana che ha ben pensato di fare altro nella vita, è tutto un dire. Fare i conti e farli bene, questo ti fa fare passi in avanti costanti e solidi. 

Forse il Perdite e Profitti che alle superiori mi ha fatto sputare sorci verdi, grazie a una prof che voleva farmi capire per bene che quella non era la mia strada, mi è entrato così bene nel sangue che circola-oggi-circola-domani mi ha aiutato a fare i passi giusti, anche se non sempre consapevolmente. La mia coscienza si è rifiutata più volte di mettersi lì con il pallottoliere a spostare di qua quel che andava spostato di qua e di là quello che stava di qua e non doveva starci, eppure alla fine ‘sto lavoro infame si è rivelato utile.

La parte mortificante, per me, arriva quando devo portare a terra i progetti e capire quanto sono effettivamente geniali come io mi racconto e, soprattutto, quanto sono fattibili come io auspico. I conti non tornano mai come dovrebbero, come io vorrei che tornassero. Da lì la caterva di problematiche da risolvere, che può semplicemente mandare all’aria entusiasmo, buoni propositi, fiducia nella tua buona stella, speranza nell’aiuto Divino, offerte di sangue all’altare della botta di culo. Tutto quanto in un colpo solo.

Mi ritrovo, pertanto, sempre lì con lo Stato Patrimoniale del Dare e Avere, a capire dove posso dare di più (come cantava il trio Raf-Ruggeri-Tozzi) e dove di meno, dove è il caso di Avere e dove scordarselo proprio. Non riesce a piacermi, è sempre la parte peggiore di tutte, eppure è necessario. Far tornare i conti  è necessario. Ti fa capire quello che c’è e quello che manca. Ti rende evidente dove manca qualcosa e dove ce n’è troppo. Ti svela arcani interessanti tipo: perché sono sempre al verde-dove sono sparite le risorse-cosa mi resta da fare ora? Cose così, di poco conto, vita-o-morte.

No, niente da fare, neppure a scriverla ‘sta cosa riesco a digerirla. Puah!

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(382) Varie

… et eventuali.

Non nascondo che certe volte mi siedo qui, davanti alla mia tastiera consumata dai polpastrelli, pronta per scrivere e mi blocco. Faccio fatica a decidere l’argomento. Il titolo di questi post non è scelto alla selvaggia, c’è una logica di finto disordine alla quale sottostanno – a volte malvolentieri – e questo mi impone un certo rigore nel trovare qualcosa di blandamente intelligente da buttar giù anche quando parto dal niente.

Se parti dal niente e un’idea compare non devi far altro che seguirla. La osservi mentre si espande e mentre la traduci in parole ne ammiri la forma. Anche quando è bislacca o addirittura brutta, non sei nelle condizioni di ragionarla con obiettività quindi conviene evitare la zona giudizio e pubblicarla.

Un salto nel vuoto senza paracadute? No, non esattamente. Se non mi fossero spuntate le piume sulle ali non mi ci metterei neppure. Ho due alette da pollo, niente di che, non faccio voli lunghi né raggiungo quote impressionanti, ma due/tre metri li faccio. Comunque, saltando dal trespolo dell’aia attutisco la botta dell’atterraggio senza colpo ferire.

Se parti, invece, dal troppo – quindi troppe cose da dire – anziché farsi più facile si fa ben più spinosa la situazione. Tutto sembra urgente, tutto preme per uscire in contemporanea e permetterlo sarebbe un suicidio inutile quindi si va per esclusione. Il titolo s’impone. Regole che ho fatto io e, per quanto me ne possa pentire ogni sacrosanto giorno, le regole non si cambiano in corso d’opera. Non si fa e basta.

Scegliendo il titolo Varie, ho cercato di fare una furbata, non credo mi riuscirà tirare fuori qualcosa di decente. Un argomento troppo vasto ti boicotta la focalizzazione. Io funziono per focalizzazione, le cose vaghe mi mettono a disagio. Amo le parole per questo, definiscono e circoscrivono, quindi mi tranquillizzano.

Credo che la vastità sia cosa ingestibile per un Essere Umano. La Natura può, noi no. Dovremmo affidarci a Lei di più, noi limitiamo ciò che non dev’essere limitato soltanto perché non sappiamo gestirlo. Siamo patetici. Piuttosto di ammettere la nostra finitezza costruiamo muri e confini per spezzettare il disegno che ci contiene. Poveri noi.

Tutto questo mi riporta a un’origine lontana, lontanissima, dove varie cose si sono sistemate per permetterci di far parte del Tutto, dandoci il beneficio del dubbio. Non ci siamo meritati nulla, sia ben chiaro. Stiamo abusando del beneficio e la nostra arroganza è cresciuta smisuratamente. Abbiamo varcato ogni confine del buonsenso, abbiamo calpestato ogni dono riducendolo in polvere. (…)

Mai più titoli aperti. Mannaggia a me.

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