(351) Lime

Perfetto per un mojito, una caipiroska alla fragola, una caipirinha, un cuba libre o un margarita: il lime. Che non è un limone, altrimenti non lo si chiamerebbe lime. Qui sta il punto: chiamare le cose con il nome giusto le diversifica.

Ci serve diversificare perché ci permette di notare le differenze e di procedere con le scelte che ci sembrano più opportune per noi stessi.

Non so quando questa cosa sia diventata sinonimo di demonizzare ciò che è diverso da quello che scelgo per me stesso perché lo ritengo o inferiore o sbagliato. Non lo so. Mi verrebbero in mente un paio di situazioni storiche e almeno un centinaio di declinazioni ripetute nei secoli, ma non credo sia importante.

Quello che è importante è che in una cotoletta alla milanese ci trovi una fettina di limone da spruzzarci sopra e non un lime. Questo perché è più adatto, è meno aspro – o che ne so io il perché – fatto sta che lo si preferisce al lime o all’arancia (tanto per allargare l’esempio). Così è, e nessuno si mette lì a pontificare o si scaglia contro la cotoletta perché non sceglie mai di sposarsi con il lime. E il lime stesso non se ne cura, a lui che gli frega se può sbronzarsi quando cavolo gli pare senza renderne conto a nessuno? Eh!

Dove voglio andare a parare con questa elucubrazione senza senso? Niente, che mi farei volentieri mezza tinozza di mojito. Ora. Grazie.

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(313) Emozioni

A sentire tutti, di emozioni è pieno il mondo. E poi ti viene voglia di lasciare morire un Essere Umano per strada perché hai altro a cui pensare. Sto dubitando del reale peso che un’emozione fa cascare dentro di noi.

Le andiamo a cercare correndo a 250 all’ora in autostrada, filmandoci per far vedere a tutti quanto siamo fighi su YouTube, e le scansiamo quando ci finiscono addosso – più per sbaglio che per volere.

Abbiamo grande considerazione di quelle forti, schiacciamo quelle leggere perché non ce ne facciamo niente di quello che è alla portata di tutti. E possiamo ridere delle emozioni altrui e nascondere le nostre quando ci scoprono meschini.

Ci fa rabbia che siano loro a decidere di noi, le sfidiamo continuamente e se prendono il sopravvento le affondiamo con il vino, così tacciono almeno per un po’.

Chi le vive in silenzio  le protegge, le nutre, le gusta. Anche quando sono troppe o troppo poche, quando sono troppo forti o evanescenti, quando sono opportune e quando fuori posto. Nominarle una ad una per domarle? No, forse solo per riconoscerle quando ci prendono nel buio e siamo senza difese.

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