(995) Tè

Per chi manca di fantasia il tè è quello pomeridiano accompagnato dai pasticcini. Per chi manca di fantasia il tè è quello verde o al gelsomino o quello nero (quasi imbevibile). Per chi manca di fantasia il tè lo prendi con lo zucchero, magari un goccio di latte (ma perché?!). 

Per chi abbonda di fantasia il tè è un concetto e te lo prendi quando hai voglia tu e come ne hai voglia tu, anche avessi voglia di farti un frullato di prosciutto e melone, se per te quello è il tè, allora quello è. E nessuno fiati.

È una questione di visione. Il tè è la pausa. La pausa per ogni idiozia ti venisse in mente perché ti serve per staccarti dalla realtà. Entri in una sorta di sospensione meditativa (che non è l’abbiocco) e ti concedi una fuga. Il tè è una filosofia che sottende ogni desiderio, perché i desideri prendono forma lì, nella sospensione del tè. 

Questa cosa che il tè lo devi consumare con un ospite è fuorviante. Non è una riunione di pettegolezzi e fiumi di lamentele che ci si butta addosso l’un l’altro, il tè è leggerezza. E se sei stanca dopo che hai fatto ‘sto meeting, che chiami tè con le amiche, è perché il tè non si prende così. Così si fa un aperitivo, con tanto alcool in programma, non un tè! È l’alcool che ti permette di sopravvivere alle miserie messe sul piatto (le tue e quelle non tue). Bisogna rendersi conto che non ci si può sommergere di miserie tutto il giorno e il tè ti permette di sottrarti per un po’ a quel flusso disumanizzante. Chiaro?

Quindi, ripetiamo tutti insieme: il tè è quello che pare a me, e nessuno fiati.

 

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(727) Estensione

Mi piace creare collegamenti, estensioni di pensieri-relazioni-progetti. Lo faccio in modo naturale, non ci penso e non faccio calcoli, eppure quando sono coinvolta collego le cose, le persone, le occasioni, le opportunità. Spesso viene bene, a volte non troppo, ma niente di irreparabile.

Quando ero più giovane, e più entusiasta delle cose e delle persone, non vedevo l’ora di trascinare tutti nelle mie passioni e nei miei interessi del momento, rischiavo di risultare piuttosto invadente, ma avevo molti amici con cui condividere il mio mondo e si lasciavano trasportare volentieri – fino a un certo punto, poi mi mandavano al diavolo (ma senza cattiveria). Tanto per far capire il tenore delle mie uscite: una volta organizzai un corso di ballo liscio e li costrinsi a parteciparvi in gruppo… fu molto divertente vederli impegnarsi tra mazurke e polke e valzer e tanghi, mi fu poi impossibile convincerli a seguirmi nelle sagre paesane a ballare in pista. Rimasero miei amici nonostante tutto e non è poco.

Quindi, andando per logica: se mi piaceva ballare cercavo il modo di ballare con i miei amici. Per estensione mi aspettavo che loro lo facessero non perché amici miei ma perché piaceva ballare anche a loro almeno quanto a me piaceva. Follia. Ecco, non lo faccio più, sono diventata più sensata e moderata e tengo per me fisse e ossessioni – passeggere o durature che siano – senza pretendere da chi mi sta attorno particolare entusiasmo al riguardo.

Ammetto che smettendo di fare la rompipalle, e vivendomi le cose in privato, a volte mi manca “quel” modo di spartire il divertimento con gli altri. Per estensione, va da sé, questo mio restare-nel-mio comporta una certa solitudine. Per estensione questa solitudine ha trasformato il divertimento in soddisfazione perché non c’è nessuno che mi rovina la festa (con lamentele e critiche inopportune). Per estensione, quel che ho combinato da adolescente lo rifarei un milione di volte, ma non mi cambierei per nulla al mondo con quella squinternata perché la mia attuale condizione è di gran lunga più equilibrata.

Ora che ho posato gran parte delle scioccherie, posso estraniarmi dal resto del mondo e, per estensione pure da me stessa, e lanciarmi ad occhi chiusi in quei piccoli universi dove scoprire variegate profondità diventa nutrimento. E basta, una volta per tutte, dare perle ai porci. Senza cattiveria, neh, ma quando ci vuole ci vuole. Eh!

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