(1015) Cristallo

L’Essere Umano viaggia mediamente su frequenze torbide: difficile capire quello che pensa e le sue intenzioni. Spesso non perché in malafede, semplicemente perché confuso. Questo detto senza alcun tipo di giudizio, mantenendo uno sguardo scientifico sulla faccenda (io scienziata, mi viene da ridere).

Andando oltre, ci sono degli istanti – istanti da nulla  che se non ci fai attenzione scappano via e fan sembrare tutto un’illusione – in cui si scopre la purezza del cristallo che sta alla base di un’Anima. 

Potrebbe essere che lo noti in uno sguardo, in un gesto della mano, in un sospiro, in un voltare la testa o in una parola a cui la voce dà forma magari sopra pensiero. Il cristallo che c’è lancia un luccichìo riflettendo la luce che è nascosta dentro, in fondo. L’ho detto, questione di un istante. Se te lo perdi peggio per te.

Se, però, decidi di farci attenzione mentre interagisci con le persone che ti stanno attorno, potresti essere invaso da raggi di luce che – random – squarciano il tuo momentaneo buio. Per risonanza uscirà anche la tua luce, dal tuo cristallo che tieni ben protetto laggiù nelle tue viscere.

È necessaria una disinteressata disponibilità per far sì che si palesi questa piccola alchimia, è necessaria una predisposizione alla felicità. Credo.

Il cristallo è trasparente, ciò comporta una serie di preoccupanti conseguenze, per questo va tenuto al riparo. Ma al buio non può fare il suo lavoro: espandere la luce per illuminare tutto. È un peccato, vero?

Urge trovare un compromesso, sono d’accordo.

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(449) Deontologia

Non tollero un testo scritto con i piedi, il che significa senza criterio, senza logica, senza cura, senza anima. Se c’è anima, ma è di scarsa consistenza, non vale.

Non tollero un parlare violento, che è la conseguenza di un pensiero violento. Se mantieni un tono mellifluo, ma il senso di quello che dici è comunque violento, non vale.

Non tollero il millantare conoscenza che non si possiede, che è la risultanza di una posizione mentale arrogante. Se fingi di abbassarti ai miei livelli per poter conversare con me, ma il tuo sguardo supponente non riesci a frenarlo, non vale.

Non tollero il fare a metà, il fare tanto per fare, almeno quanto il dire a metà e il dire tano per dire. Se fingi disponibilità e generosità, ma il tuo cuore è arido, non vale.

E la lista potrebbe continuare per un bel po’, più ci penso e più si allunga. Questo fa di me un’estremista del senso etico? Forse. Sarebbe preoccupante se fossi convinta di attenermi fortemente a queste regole, perché a volte mi scappa qualcosa che non va bene e poi lì a darmi giù bastonate morali ripetendomi “fake fake fake!”.

Eppure, ho scelto di fare un mestiere che è strettamente legato al dire, al fare, al sentire, all’essere, al conoscere, al sondare, all’onestà di pensiero. La sua guida mi aiuta a essere una persona migliore, il più delle volte. Grata alla deontologia professionale che ho abbracciato molti anni fa, posso cadere e ricadere, ma non per restare a terra. Credo che questo faccia la differenza. Anzi, questo fa la differenza per me. E mi basta.

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