(1002) Dichiarazione

A nessuno fa piacere ammetterlo, ma abbiamo bisogno che le cose ci siano dichiarate. Nel bene e nel male. O bianco o nero. O su o giù. O dentro o fuori. Tutto quello che sta in mezzo ci fa stare in sospeso. Ci rende insicuri. Vulnerabili.

E ci viene l’ansia.

Il sollievo dato da un feedback positivo smaccatamente dichiarato è come una botta di vento che gonfia le ali e ti permette di librarti in volo. Quando arriva (come oggi) e lo puoi condividere perché appartiene a chi ha rischiato con te è una gioia incredibile.

Lo scoramento di un fallimento dichiarato, senza appello, è duro ma è salutare. Te ne fai una ragione e vai avanti, cercando di fare meglio. I “non-lo-so”, “non-mi-convince-pienamente” e compagnia bella sono la morte cerebrale aggrappata a un corpo intubato a cui non è permesso mollare. Agonia.

Quindi benvenga una dichiarazione senza giri di parole, senza false attenzioni, senza dire-senza-dire. Ci vuole coraggio per farle, è vero, ma ripaga sempre bene.

In tutto questo dichiaro che oggi (dopo quanto scritto nel precedente post) è andata talmente bene da non crederci e noi (tutti noi) siamo stanchi morti, ma assolutamente appagati dal nostro lavoro e dal feedback ricevuto. Che è stato diretto e senza possibilità di fraintendimento: avanti tutta che ora si fa sul serio!

Insomma: una bella dormita e si riparte.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(260) Vulnerabilità

Mi sono sempre impedita di colpire un punto vulnerabile del mio avversario. Forse perché non mi sono mai misurata con nessuno che volessi definitivamente far fuori, ma ho ricevuto parecchi colpi quasi-letali a cui sono sopravvissuta (certo) e che mi hanno fatto capire che dall’altra parte la voglia di farmi fuori c’era eccome.

Lo dico davvero: credo fermamente che quando ci si trova faccia a faccia con un antagonista esiste il lecito e il non-più-lecito. Qualcosa che assomiglia al fair play, ma che è ancora più profondo. Più sacro.

Quando il tempo ha fatto il suo lavoro e la ferita quasi letale si è cicatrizzata, ogni tanto il ricordo si affievolisce, diventa meno duro. Di solito. Eppure, mi risulta impossibile offrire una seconda possibilità. Mancherò di spirito cristiano (ma non è mai stato un mio cruccio dimostrarmi o meno cristiana), ma dare a chiunque la possibilità di colpirmi per la seconda volta – considerato che il mio punto debole si è rivelato – mi sembra una dichiarazione di imbecillità. Un suicidio.

Ecco, preferisco andare cauta. Grazie.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(257) Neutro

Fino a qualche tempo fa, tutto ciò che si presentava come neutro mi metteva a disagio, anzi, mi faceva arrabbiare. Neutro non era una condizione che ritenevo dignitosa, neppure per un sapone.

Come si cambia per non morire, canta la Fiorella nostrana. Eh!

Da un po’, e non so dire neppure da quanto, tutto ciò che si dichiara essere neutro mi mette addosso un senso di delicata cura, qualcosa che va a colmare un bisogno evidentemente forte che mi è nato: quello di non essere attaccata da un lato o l’altro dello schieramento.

Ho scoperto che non sempre so da che parte stare. Ci sono questioni talmente complicate che mantenere una posizione neutra per me significa ammettere con umiltà che non ho capito abbastanza per decidere se stare da una parte o dall’altra. Mi dichiaro insufficiente, inadeguata, non all’altezza, questo per non millantare una preparazione che non ho.

Dire “non lo so” una volta per me equivaleva a dichiarare una manchevolezza che mi feriva. Ora mi suona come una ammissione di finitezza, magari non definitiva, ma pur sempre in essere e di cui tenere conto.

Neutro è quel colore che ti permette di osservare le cose finché non ne capisci il senso. Solo dopo puoi onestamente prendere una posizione e dire o agire di conseguenza. Perché le cose sono spazi immensi da esplorare, specialmente in relazione agli Esseri Viventi, ora lo so. Almeno questo lo so.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF