(959) Fluttuare

Fluttuare leggera come un cavalluccio marino, una specie di danza che scivola e si confonde con l’ambiente. Così mi piacerebbe vivere. Mi ritrovo, invece, a muovermi a balzi e frenate, accelerate e virate, come stessi sugli autoscontri. Tutto perfetto.

È soprattutto l’umore che mi disturba, che non si riesce mai a stabilizzarlo per più di mezz’ora. Cioè: parto bene, col sorriso, poi per un qualcosa o un qualcuno o soltanto un pensiero… track, crolla tutto. Positività addio, benvenuto dramma. In loop.

Ho provato a tenere conto delle cose che mi fanno sorridere e sono tante, stesso vale per le cose che mi fanno incazzare (una bella lista, lo ammetto), e poi ho provato a contare tutti i cambiamenti emotivi che durante mezza giornata (manco una intera, soltanto mezza) si succedono dentro di me. Impressionante. So benissimo che con un po’ d’impegno si può curare quasi tutto, ma il punto è un altro: da dove iniziare? Da quello che provo? O dai motivi per cui lo provo? O dal fatto stesso che provo in questo modo anziché un altro? O dal solo dato che “provo” e che dovrei smetterla una volta per tutte?.

Si attaccano i pensieri a quello che sentiamo dentro. Non è solo questione di stomaco che si chiude, è che ci sono dieci pensieri da un lato e dieci dall’altro che spingendo lo chiudono. Tu dovresti parlarci con ognuno di questi venti pensieri e ridurli alla ragione: fa niente, lascia stare, vai avanti, stai tranquillo, fatti una dormita, rimanda a domani… insomma, terapia bella e buona. Personalizzata, o non serve a niente.

Una fatica disumana. Ignorare tutto viene più facile e forse viene meglio.

Siamo ormai assuefatti da decenni di psicologia e affini, sembra davvero che una volta che apri il tuo benedetto/maledetto subconscio per far pulizia, tiri fuori tutto, spolveri, sistemi ordinatamente tutte le tue miserie, una volta che lo richiudi sei come nuovo. Hai fatto l’inventario, sei a posto. E ti affidi a qualcuno che ti sviscera miseria per miseria e ci mette del suo, il suo carico di miseria, che si va a confondere con il tuo. Tutto questo sembra che aiuti. Non so chi di preciso, non voglio neppure saperlo. Fatto sta che quando si è in balìa di una mente e di un corpo che ti parlano no-stop e che ti danno anche messaggi discordanti, magari avresti voglia di avere tra le mani una mappa o di far partire il gps. Funziona fino alla prima rotatoria, poi le indicazioni si confondono e devi votarti ai santi o al tuo senso dell’orientamento.

Al momento il mio funziona discretamente. Sperando che le batterie reggano. Ma di fluttuare elegantemente non c’è proprio verso. Mai una gioia.

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(747) Oggetti

Ogni cosa può essere un contenitore, così come di certo ogni persona è contenitore. Gli oggetti possono contenere ed essere contenuti, le persone è meglio se non si fanno contenere troppo – a mio avviso.

Il potere che certi oggetti hanno su di noi è impressionante, uno su tutti: le fotografie. Una foto come quella che ho scelto per questo post, che con me non ha nulla a che vedere, mi ha uncinato un ricordo. Mi sono rivista seduta in un teatro, al buio, ipnotizzata dalla danza di fine corso di bambine in tutù bianchi e scarpette rosa che non erano proprio leggerissime, ma sembravano felici. Io le guardavo e le vedevo belle e felici come fossero farfalle, avevo forse sette/otto anni. Volevo essere una farfalla anch’io.

L’avevo messo da parte questo ricordo, quasi non fosse importante, ma ora che l’ho attraversato con questa fotografia mi sembra fondamentale per raccontarmi, per rivedere chi sono sempre stata. E se guardo meglio mi riconosco meglio. E penso che dovrei smettere di guardare, ma non ci riesco. Un sortilegio che ti ruba l’anima (avevano ragione i Nativi Americani).

E davanti a me, ora, ho la pin di Jon Bon Jovi che era attaccata al mio giubbino di jeans di sedicenne, una candela enorme a forma di gufo che mi è stata regalata da un’amica, le barchette brucia-incenso che uso spessissimo, la moleskine dove scrivo quotidianamente… ogni cosa parla di me, qui. Potrei vivere senza? Sì, certo che potrei, ma mi sentirei un po’ persa e forse più vulnerabile.

Abbiamo bisogno di ancorarci a delle cose – piccole o grandi – per non volare via come farfalle. Anche se le farfalle sono belle e felici. Belle e felici.

 

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