(273) Indietreggiare

La cosa più difficile non è prendere una decisione, è mantenere quella posizione anche quando ti assalgono i dubbi più atroci e pensi di essertela giocata male. Ecco, in quel momento tenere botta non è da tutti.

Indietreggiare no, barcollare ci sta, ma indietreggiare no. Non per un fatto di orgoglio, ma perché è troppo presto, non sai ancora come andrà a finire, indietreggiare significa che non sei convinto, che ci hai pensato poco o male. Soprattutto che hai paura di prenderti le conseguenze del caso, non sei pronto, il che è peggio dell’aver preso la decisione sbagliato. Molto peggio.

Quindi devi startene lì, aspettare di vedere cosa succede e poi, nel caso, se le conseguenze sono più di quello che puoi sopportare, allora ritorni sui tuoi passi, ripensi tutta la faccenda e vedi di cambiare rotta.

Devi solo resistere nella sospensione, barcollare sì, ma non indietreggiare. Mancheresti di coraggio e questo difficilmente te lo potresti perdonare. Come lo so? Perché ti conosco. Se hai letto fino a qui significa che sei come me.

Adelante Sancho!

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(247) Tenerezza

Sfugge al controllo, può scaturire da qualsiasi situazione, può avere origine in un altro cuore o in un oggetto che pare inanimato e in realtà vive di ciò che si ripone in esso. Se ne scrivo anche la mia scrittura cambia, va alla ricerca di parole morbide, delicate.

Quando mi capita di scorgere una luce tenera sul viso di qualcuno mi si accende la speranza che quel qualcuno sia soltanto uno dei tanti milioni di esseri viventi capaci di provare un sentimento così delicato e così irruente. La tenerezza che nasce all’improvviso, e sorprende più te che gli altri, è un primo passo all’apertura, all’accoglienza, all’empatia.

Amo smisuratamente le persone capaci di donare la propria tenerezza a chi sta loro accanto. Ne vorrei incontrare mille al giorno.

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(192) Re

Non è che il titolo di Re lo si dà a tutti, così perché fa figo. Non funziona. Nessuno dovrebbe portarsi addosso un carico del genere senza esserselo almeno guadagnato e aver dimostrato di essere il migliore. In qualcosa, non in tutto, ma il migliore. Punto e basta.

Non è un titolo che si passa alla progenie, succede da sempre ma non è così che deve essere. Stiamo sbagliando.

Non è un vezzo per chi fa della vanità una virtù da sbattere in faccia agli altri. Un Re sa essere umile senza abbassare lo sguardo, sa essere sicuro di sé e determinato senza prevaricare sugli altri, sa essere saggio e lungimirante per guidare chi manca di visioni e di buonsenso. Un Re sa essere perché è. Sarebbe lo stesso anche senza titolo, senza corona, senza reame.

Un Re è un Uomo che può prendersi l’onere di esserlo perché consapevolezza e coraggio lo sorreggono anche quando le gambe gli cedono.

Una Regina? Lei molto di più. Ma davvero molto di più. Senza che nessuno lo sappia, senza che qualcuno glielo riconosca, senza bisogno di mostrarlo a tutti. E sempre. Instancabilmente sempre.

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(176) Occhi

Sono astigmatica, e manco poco, perciò vedo tutto sfocato come se fossi dentro il sogno di una favola. Non mi dispiace vedere così, l’ho scoperto a 17 anni e prima di allora le cose non erano diverse dal dopo. Quindi pace.

Certo, se mi metto gli occhiali e il difetto mi si corregge vedo meglio, tutto più nitido, addirittura brillante. Alle volte tanta brillantezza mi dà fastidio. Sono abituata alla mia confortante opacità ovattata e calibro l’uso degli occhiali dosando la brillantezza nella mia giornata con una certa attenzione.

Leggere mi obbliga a mettermi gli occhiali e io leggo molto, per cui gran parte della mia giornata gli occhiali mi colpiscono di brillantezza. Se voglio prendermi una pausa e farmi un caffè, però, mi tolgo gli occhiali. Stacco dalla brillantezza e mi rifugio dietro al mio velo.

Insomma: gestisco i miei occhi come meglio credo. Come tutti, immagino.

Da qui può partire la mia riflessione serale: decido io cosa i miei occhi devono vedere, che io ne sia consapevole o meno. No, non si tratta solo degli occhi, si tratta anche di comprensione, di ascolto, di attenzione, di coraggio (o mancanza di coraggio), di voglia di verità (più che si può, ben sapendo che più in là di una certa percentuale non si va).

Oggi i miei occhi hanno visto tutto quello che potevo vedere. Anche ieri, anche l’altro ieri, anche il giorno prima. Tutto quello che posso vedere i miei occhi lo afferrano. Mi domando quanto sia l’ammontare di ciò che non posso ancora vedere. Mi domando se sia meglio non poter vedere tutto. Mi domando se il vedere di più aiuterebbe i miei occhi e il mio cuore.

Forse no.

Benedetto astigmatismo!

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(145) Decifrare

Perdiamo molto molto tempo nel decifrare i messaggi che ci arrivano dagli altri. Troppo tempo. Ne risparmieremmo a quintali se mettessimo da parte il nostro orgoglio e la presupponenza limitandoci a chiedere.

Chiedere il come e il perché, per esempio.

Le risposte che riceveremmo ci aprirebbero la porta alla sorpresa, alla meraviglia.

Mi succede con i ragazzi. Chiedere il perché e il come fa tutta la differenza, in loro – per le risposte che cercano dentro di sé – e in me.

Una cosa ho imparato, però: se non sai ricambiare a dovere le risposte che ricevi (con apertura mentale e senso dell’umorismo) rischi di bruciarti l’unica possibilità di costruire un ponte tra te e loro.

Coi ragazzi è così. Anche con gli adulti è così. Tra Esseri Viventi è così: le domande si fanno se si è pronti a ricevere le risposte, di qualsiasi tenore siano. Siamo abbastanza coraggiosi per affrontare tutto questo?

L’unica risposta ammessa è: .

Sì, dunque.

Sì.

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(132) Sogni

Da dove io provengo, i sogni non sono stimati come valore aggiunto della persona, tutt’altro: sono una perdita di tempo. Da dove io sono partita, nessuno mai ti chiederà se e che cosa sogni o come immagini la tua vita futura, di cosa vorresti fosse fatta la tua felicità. Da dove io arrivo, era per tutti così e così abbiamo imparato che deve essere. 

Infatti, non ho mai pensato che qualcuno fosse tenuto a interessarsi ai miei sogni, o alla mia felicità e neppure a me, se devo dirla tutta.

I sogni, questo l’ho sempre saputo senza bisogno che qualcuno me lo spiegasse, non te li porta Babbo Natale, i sogni non ti cadono tra le braccia come manna dal cielo, i sogni non se li può inventare qualcun’altro al posto tuo. Sta a te farlo: se ti va e se sai osare.

Io credo che chi vive senza darsi la possibilità di sognare, togliendosi in un colpo solo la magia della vita da dentro il petto e cadendo inevitabilmente nel baratro del cinismo, lo faccia per ragioni diverse, sì, ma tutte con la stessa origine: la paura.

Paura delle delusioni, del fallimento, di cadere nel ridicolo, di perdere il controllo, di che-ne-so-cosa-ma-dev’essere-terribile.

Dare la colpa agli altri perché i nostri sogni sono morti non serve a nessuno e diventa con il tempo piuttosto patetico. Non riceverai mai le scuse di qualcuno, soltanto perché lo incolpi di averti ucciso i sogni. Se i tuoi sogni muoiono è perché tu hai smesso di sognarli. Il mondo non ne è responsabile perché il mondo non ti deve nulla. Tu devi qualcosa al mondo, alla vita, a guardare per bene la realtà delle cose.

La vita ci è stata donata come possibilità per rendere il mondo migliore. Non è realistico e non è granché utile per nessuno pensare che per il solo fatto che esistiamo il vivere deve esserci facile, comodo e indolore. Il fraintendimento si è palesato, credo, nel cuore della mia generazione ed è la mia generazione quella che ha mollato i propri sogni arrendendosi al cinismo e al disfattismo programmato.

No, nessuno ci ha rubato nulla, siamo noi ad aver permesso a noi stessi di lasciarci andare, assistendo inermi alla morte dei nostri sogni. Incapaci di sognare, ora, insegniamo ai nostri figli a rinunciare ancora prima di averci provato, perché? Perché la vita è dura, la vita è sacrificio, la vita è ostacoli-problemi-dolore. Colpa di chi? Del resto del mondo.

Facile, vero? Dovremmo fermarci un attimo e recuperare noi stessi, quel che rimane dei nostri sogni, e metterci seriamente al lavoro. Abbiamo una vita da sistemare. Subito.

PS: facciamoci pure aiutare dai ragazzi, loro si ricordano ancora cosa significa essere felici soltanto immaginandosi una vita migliore. E smettiamola di rompere loro le scatole quando vagano con la testa tra le nuvole. Stanno costruendosi una bella immagine del mondo per vivere meglio.

immagine presa dal web (come tutte quelle presenti su questo blog)
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(107) Soglia

Resta sulla soglia chi non vuole vedere. Resta sulla soglia chi non vuole capire. Resta sulla soglia chi non vuole sentire. Resta sulla soglia chi ha paura.

Oltre la soglia c’è il rischio di vedere cose che potresti non voler vedere, capire cose che vorresti non dover capire, sentire cose che vorresti evitare di sentire. Preferisci avere paura. Una cosa che conosci ti mette meno in crisi, è più rassicurante.

Varcare quella soglia ti fa comunque cadere nel vuoto e se non ami il vuoto chi te lo fa fare? Varcare quella soglia ti potrebbe far cambiare per sempre, se non ami i cambiamenti non ci pensare nemmeno.

Eppure, oltre la soglia c’è un nuovo te che ti aspetta. Quello coraggioso dei due, non farlo aspettare troppo a lungo potrebbe stancarsi e smettere di credere che ce la puoi fare.

Io, penso, di avercela fatta. Solo perché ho creduto che la me più coraggiosa era quella che valeva di più delle due. Meno male che mi sono fidata di lei.

Meno male.

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(9) Posizione

Da bambina ho imparato una cosa importante: non si può avere tutto. O questo o quello. Tutto non si può. Credo sia stato l’insegnamento che più ha aiutato la mia resistenza alle avversità. O questo. O quello.

Va da sé che ogni volta mi sono trovata a scegliere tra quello che era giusto per me e quello che per me non era giusto, abbracciando sempre la prima ho capito presto che avrei dovuto rinunciare a un bel po’ di cose. Non ho cambiato la mia posizione neppure quando si trattava di perdere tutto quello per cui avevo lavorato. Se la mia pancia urla lo fa perché quello che vede non può accettarlo. Io seguo la mia pancia, anche se il cervello mi dice che non è saggio rischiare una perdita del genere.

Non è giusto essere calpestati. Non è giusto essere manipolati. Non è giusto essere usati. Non è giusto. Semplicemente non è giusto.

Mantengo la mia posizione.

Ho perso lavori importanti per questo. Ho perso persone importanti per questo. Eppure, dopo anni, posso affermare che forse non erano così importanti perché io sono ancora qui e la mia vita è migliore adesso.

Nel tempo ho notato che mantenere la mia posizione è sempre meno difficile. Insomma, so come si fa, so come si sta durante e come si sta dopo. So che poi troverò qualcosa che mi confermerà che quel giusto che mancava non poteva essere sopportato, accettato, ingoiato giorno dopo giorno per timore di ritrovarmi senza niente.

Io per me sono tutto, non niente. E da lì si riparte.

Si tratta di sentire dove inizia quel “non giusto” e metterci uno stop. L’ascolto ti può evitare tanta sofferenza gratuita.

Basta saperlo, no? Anche se sceglierai la sofferenza gratuita, sarà pur sempre una tua scelta e di nessun altro. Basta saperlo.

b__

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