(1077) Potere

Chi vuole può. Questa regola non scritta dovrebbe essere la prima lezione da imparare, eppure ci vuole una vita (se va dritta) per capirne la portata. 

Oggi mi chiedo se sia davvero così. In linea di massima ci ho sempre creduto, ma forse mai del tutto. Convinta a metà. Forse è per questo che mi funziona a fasi alterne? Forse è un incantesimo che per rendersi efficace e dirompente deve partire da enormi presupposti di fede. Manco di fede, evidentemente.

[ecco, il post potrebbe tranquillamente finire qui, non ho altro da dire, la mia constatazione amara non mi porta altrove bensì dentro sé stessa – dove non ci sono risposte o nuove domande, dove lo stallo è reale, dove la voglia di uscirne e ridotta a zero – quindi perché non termino il post esattamente in questo preciso istante? Non lo so… le mani non si vogliono staccare dalla tastiera e forse hanno altro da aggiungere che non parte dalla testa… no, vabbé, come non detto, questo resterà il post più breve della storia dei ***Giorni Così***… perché no? Certe regole possono anche essere bypassate a volte… regole? Ma quali regole? Mah… ]

 

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(1041) Musica

Mi rimane dentro le orecchie l’ultimo pezzo musicale che ascolto (volontariamente o accidentalmente), come fosse inciso sul mio vinile mentale e non se ne dovesse più andare. Quindi se spegnendo la tv mi imbatto nel jingle dei grissini-vattelapesca o nel concerto di Jova è la fine. Sono segnata. Devo per forza sostituire quei suoni con altri, quelli che amo, o mi parte il mal di testa.

La musica conta. Conta eccome.

Quand’ero giovane la prima cosa che chiedevo per fare amicizia con qualche nuovo arrivo era: che musica ascolti? Sapevo già (in linea di massima) cosa aspettarmi e mi sbagliavo raramente, sapevo anche che se mi rispondevano “un po’ di tutto” dovevo per forza evitare da lì in avanti l’argomento perché sarei andata a litigarci di brutto. Ammettevo addirittura di confrontarmi con un fan di Nino D’Angelo, ben motivato poteva trasformarsi in un dialogo interessante, ma con chi ascoltava di tutto e non ci capiva un cazzo no. Era troppo per i miei nervi.

Non so se io sia cambiata negli anni, ma non chiedo più “che musica ascolti” a nessuno. Glielo leggo negli occhi immediatamente e bypasso (sto ridendo).

Stamattina salgo in auto e mi parte il cd che mi sono fatta un paio di mesi fa e che ascolto in loop come se non ci fosse un domani. Mi arriva sparata nelle orecchie un vecchissimo pezzo di Meredith Brooks, “I’m a bitch” che tradotto significa “Sono una Stronza”, e come presa di coscienza di prima mattina (ore 6:45) non è male, dà un certo tono a tutta la giornata. 

E non dico com’è andata oggi perché non è così importante, basti sapere che per tutto il giorno mi sono data della stronza e – forse – questo mi ha aiutato ad arrivare a sera. Lo so, le vie della musica sono infinite e io, piano piano, le voglio percorrere tutte.

Che gusto c’è se no?

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(952) Ospitalità

Dare accoglienza è uno dei grandi piaceri dell’incontro tra gli Esseri Umani. Noi  contemporanei ce lo siamo dimenticato. Sono cresciuta in una famiglia dove all’ospite veniva riservato il cibo migliore, i sorrisi migliori, e il tempo che lui stesso decideva bastasse. Ti mettevi a disposizione di qualcuno che poteva fregarsene di quanto risultava inopportuno o invadente, tu facevi comunque il tuo dovere. Se l’ospite ne approfittava, non riceveva più alcun invito. Ognuno a casa sua.

Questo imprinting è difficile da bypassare, ma non mi dispiace. Parla di totale rispetto dell’altro, in quanto persona ospitata, senza condizioni. Una cosa proprio generosa, una cosa senza senso per i criteri odierni. Ripeto: non mi dispiace affatto di aver imparato a tenere questa posizione, credo sia una grande lezione.

Ho anche imparato, sempre grazie alla mia famiglia, a come ci si deve comportare a casa degli altri: non toccare niente, non parlare ad alta voce, non occupare troppo spazio e non restare per troppo tempo. Il giusto. Seguendo ancora oggi queste semplici regole mi sento a posto con me stessa. Il rispetto non è una parola di concetto, ma di fatti. Piena di piccoli fatti che costruiscono e danno sostanza al concetto.

Sono stata fortunata a crescere in una famiglia che mi ha saputo guidare in questa visione dell’altro-che-non-sono-io. Molto fortunata.

Riflettendo su questo è ovvio che altre culture, altre usanze, altre tradizioni, altre teste possono seguire altre vie –  chi più pudiche, chi più sfacciate – e queste differenze possono causare tensioni e fraintendimenti con conseguenze spiacevoli. Possono. Eppure, se mi rifaccio al mio benedetto imprinting, lo posso comprendere e lo posso maneggiare senza per questo pensare che io sono nella ragione e gli altri – quelli diversi da me – nel torto. Perché il mio spazio me lo curo e me lo proteggo senza fare drammi, per piccoli spostamenti. Perché sono un Essere Vivente e in quanto tale sono in perenne movimento, perché la vita si muove dentro di me e con me (a volte anche contro il mio volere, ma sono una pigra, ormai è risaputo).

In poche parole: benvenuti a voi, chiunque voi siate… ma non sbattete la porta, parlate a volume normale e siate discreti, così che io vi possa accogliere sempre con enorme piacere. 

 

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(912) Show

Il mondo è pieno di Fenomeni. I Fenomeni stancano. Davvero, stancano. Cioè, tu li vedi arrivare e la loro energia rallegra l’ambiente. Sono addirittura luminosi. Tutto molto molto molto bello. Davvero, molto molto molto bello.

Tu li guardi, affascinata, e li lasci fare. 

Aspetti

aspetti

aspetti

e intanto osservi, valuti, sorridi, accondiscendi, fai mente locale

schivi i colpetti che ti arrivano

bypassi le cadute di stile a cui sei costretta ad assistere tuo malgrado

intercetti malcontenti sparsi attorno a te

registri una certa tensione che si va ad accumulare negli angoli

e piano piano

piano

ti rendi conto che sei stanca

davvero stanca

e ti domandi: ma perché?

E la risposta è: il Fenomeno, è lui/lei che mi ha sfinita.

Lo Show ha perso i luccichii, ha perso i colori, ha perso il mordente. Ti stai annoiando, sai già come andrà a finire e soprattutto: senti che sta finendo. O addirittura è già bella che finita, ma ancora nessuno se ne è davvero reso conto. Tu sì.

La nausea da gestire diventa pesante. Eppure sai che piano piano

piano

aspettando

respirando

ironizzando

bestemmiando (all’occorrenza)

il sipario si chiuderà

e tu potrai andartene a dormire soddisfatta. Hai superato un altro tornado.

Bye bye Fenomeno.

 

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(810) Taglio

Dare un taglio si può. Pensa te… una vita per capire questa regola salvavita, questa quisquiglia, questa piccola idiozia. Una vita. Meglio tardi che mai, si dice no? Ecco, io sempre tardi. Sempre. Tardi.

Vabbé, se considero il fatto da niente che prima di dare un taglio ai capelli devo farmi mesi di training autogeno non è che mi posso stupire della mia incapacità di valutare quest’azione per tutto il resto che mi concerne. Non è proprio segnato nel mio DNA, si tratta di una dimenticanza al momento del concepimento. Rimarchevole n’evvero? Eh.

Quindi la notizia di questi giorni è che ne sono capace pure io. So dare un taglio. E questa è una rivelazione di un certo tenore, specialmente perché mi consideravo una causa persa (in tutto e per tutto), invece sembra non sia così.

In poche parole, anch’io mi posso rompere le palle di una situazione/cosa/persona, anch’io posso decidere che non mi interessa più, anch’io posso pensare che – nonostante tutto e tutti – è mio diritto darci un taglio. Netto, definitivo. Yes I can. Mica poco, no?

Come ci sono arrivata? Semplice, per sfinimento. Perché è l’unico modo che mi permette di bypassare i contraccolpi dei sensi di colpa e fottermene. Perché quando è troppo è troppo e bla bla bla. Lo so, lo so, ma una cosa è sapere e un’altra è mettere in atto, pertanto: è arrivato il momento di passare all’azione.

Sto cercando un’ascia, una di quelle che sanno avere la meglio sui tronchi più coriacei. Ecco, si tratterà di un leggero disboscamento dei terreni che mi circondano, forse non sarà indolore (cosa lo è d’altro canto?), ma me ne farò una ragione.

Fare spazio, questa è la priorità.

Pronti, attenti… via!

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(208) Immobile

Puoi darti un gran daffare, puoi avere una vita sociale vivace e essere un master del multitasking, ma se ti imponi l’immobilità dell’anima sei finito.

In un certo qual modo, l’anima che si muove ti provoca controindicazioni fastidiose, ma imbalsamarla non puoi – per quanto tu faccia – e lei appena appena riesce a ripigliarsi si vendica.

Immobile non ci so stare. Non a lungo, almeno.

Certo che non è facile starmi accanto, comporta un certo impegno, ma immobile non ci sto soltanto per non restare sola. Che gioco idiota sarebbe?

Non fa parte di me l’immobilità d’anima. E non mi dispiace.

Quella, però, del corpo è curiosa: se mi viene imposta, trovo il modo di bypassarla, se me la vado a cercare mi riesce benissimo. A meno che non mi trovi in situazioni di meditazione di gruppo, ma di quello mi sembra di aver già parlato.

Ad ogni modo, cosa succede quando tu non ti muovi fisicamente? Scopri che è tutto il resto che si muove. Osservare questo movimento può risultare illuminante. Ogni tanto lo faccio, resto lì immobile di corpo e in piena forsennata mobilità d’anima e il contrasto è curioso. Il corpo perde il suo peso e potresti essere un’aquila in quel momento. Potresti, davvero.

Immobile lo si può essere in molti modi, il migliore è quello che ti tieni per te, probabilmente, quindi ora dovrò cercarmi un nuovo modo per applicare l’immobilità, questo me lo sono bruciato.

Eh.

 

 

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