(342) Emergenza

Emergenza, sembra ormai che tutto sia diventato un’emergenza. Talmente tutto e talmente emergenza che registriamo la cosa come normale e passiamo oltre. Allucinante, vero? Vero, ma facciamo così.

Diamo per scontato che l’emergenza qualcuno la affronterà e che l’emergenza qualcuno la risolverà. Qualcuno. Ebbene, la notizia è che di solito le emergenze noi le affrontiamo ignorandole, sperando che non accada di peggio, ma senza la voglia di evitare concretamente la catastrofe. Al massimo preghiamo, se ci concediamo il lusso, beninteso. Ad ogni modo sarebbe bene ricordarsi come vanno le cose, e non per cattiveria, ma semplicemente perché così le cose devono andare.

Se la terra trema, non smetterà di tremare solo perché lo ha già fatto e noi ci abbiamo già pianto sopra.

Se qualcuno si lancia con un Tir sulla gente che passeggia spensierata, non smetterà di succedere solo perché è già successo e noi siamo già stati traumatizzati abbastanza.

Se qualcuno salta in aria su una mina antiuomo, non smetteranno le mine antiuomo di far saltare in aria Esseri Umani solo perché noi non ci vogliamo pensare.

Emergenza significa condizione di gravissimo rischio, gravissimo pericolo, gravissima minaccia. Si affronta con grande lucidità, preparazione, coraggio, determinazione. E lo si fa per risolvere l’emergenza, per rientrare nella normalità, per ritornare in zona sicurezza.

Emergency lo sa, sa come si fa, sa che deve fare e non delegare a chi non c’è e a chi non vuole esserci. Ecco, ascoltare chi fa e chi c’è per fronteggiare un’emergenza che vogliamo curare è una cosa saggia.

Un’emergenza è per definizione uno stato di cose che ha vita breve, non è fatta per restare, non è fatta per sopravviverci. Un’emergenza lo sa, siamo noi che non vogliamo prenderci la responsabilità di gestirla. Siamo veramente patetici.

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(341) Vortice

Cose da fare fare fare fare fare fare… cose da vedere vedere vedere vedere… cose da dire dire dire dire dire dire dire dire… o da scrivere scrivere scrivere. Una spirale senza fine che ti fa cadere giù, sempre più giù.

Me ne sono resa conto spesso e ci sono ricascata ogni volta. Non riesco neppure a immaginarmi come si può stare quando non fai niente. Voglio dire proprio niente, neppure un pensiero. Niente di niente. Non lo so.

Ho già ribadito il concetto che la meditazione non è contemplata nel mio database, come non lo è il golf, e ritorno proprio lì. Il vortice è quella cosa che tu lo sai che c’è, sai che ci sei dentro, sai che dovresti uscirne, sai che se non ne esci tu nessun’altro può farlo al posto tuo… tu sai. Eppure cadi giù.

Ora, non è che pretendo di non finirci dentro (spesso ci entro tirata per i capelli da qualcuno), ma vorrei farmi almeno furba di quel tanto che mi eviti di rimanerci troppo a lungo. QB. Ecco, se fosse per me io passerei una giornata a settimana a dormire e basta. Dormire e basta. Un altro paio a fare le cose che voglio fare e basta. Il resto della settimana a lavorare. Non mi sembra di chiedere poi molto, eppure non ce n’è, non è mai successo di farmi un mese del genere.

Mi devo impegnare di più. Tsé.

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(340) Lamentela

La lamentela è quella cosa che ti scappa quando: sei infastidito o annoiato o esasperato o arrabbiato o sei in vena di menar le mani, insomma quando sei infelice.

Se stai bene non ti lamenti, neppure se qualcosa ti dà noia. Non lo fai, hai un altro modo di guardare la situazione e ci passi sopra.

Ecco, però, c’è un’altra condizione umana che prende vigorosamente le distanze dalla lamentela perché ne sarebbe sporcata, perché le energie verrebbero succhiate via e non resterebbe che morire, ovvero: il dolore. Intendo quello vero. Quello che ti spacca il cuore, quello che non ti fa respirare, quello che ti toglie le parole e ti congela i pensieri. Il dolore che annichilisce, quello che annienta.

Lì c’è silenzio, c’è immobilità, non c’è lamentela.

Sperimentato questo stato la mia visione sulle cose della vita si è ribaltata. Mi lamento per le stupidate, mai per le cose serie. Le cose serie meritano rispetto, meritano quel silenzio che permette loro di posarsi, dolcemente per non spaccare il cuore che si è fatto di cristallo e minaccia di andare in pezzi.

Bisogna guardare bene le persone silenziose, bisogna ascoltare con attenzione i loro silenzi, bisogna piano piano avvicinarsi e prendere loro la mano. Non serve dire niente, perché in certe circostanze le parole si annullano, perdono consistenza e valore. Anche quelle di consolazione, che è un attimo sentirle di plastica e finire con l’odiarle.

Le lamentele, ripeto, sono per le cose da nulla e la vita è piena di cose da nulla, per questo ci lamentiamo. Però, facciamolo ridendo di noi perché ce lo meritiamo proprio. Ridicoli che siamo.

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(339) Hula Hoop

L’impressione è quella di star giostrando un centinaio di hula hoops e non poter fermarmi altrimenti cadono tutti. Ogni hula hoop, ovviamente, è un pensiero. Santo cielo che razza di fatica!

Quando ero ragazzina ero una campionessa di hula hoop (era giallo), minuti e minuti senza mai farlo cadere a terra, dalle ginocchia su fino alla gola. Non so se fossi brava perché avevo solo un pensiero in testa o se ero soltanto più in forma. Non voglio indagare.

La questione che mi si pone ora è: quale hula hoop devo far cadere per non rimetterci la salute mentale?

Non è una decisione difficile, a prima vista, ovvero: tutti quelli che non mi servono. Ok, ma quelli che non mi servono ora mi potrebbero servire tra un po’ e una volta che sono caduti recuperarli è un casino. Senza contare che molti di quelli che ora mi servono spero che non mi serviranno da qui a una settimana, quindi perché dannarsi l’anima per tenerli su?

Posso far cadere quelli che hanno poca forza per andare d’inerzia, certo. Credo che quelli cederanno appena mi cala l’energie, naturalmente. Mi dispiacerà perderli, per quanto siano inutili mi dispiacerà.

Sono fatta così: mi lamento e poi tengo duro finché non crollo. Che fastidio!

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(338) Offerta

Mi sconvolge sempre quando davanti a un’offerta senza alcun doppio fine le persone reagiscono con sospetto. Specialmente se l’offerta viene fatta a persone conosciute (non estranei).

Partendo dal presupposto che non si offre qualcosa che ritieni essere una fregatura – mai, neppure agli sconosciuti – mi offende parecchio il pensiero che mi vuole in malafede mentre propongo qualcosa a qualcuno.

Credo sia il sospetto uno dei mali peggiori di questi tempi. Non dico sia ingiustificato, visto i costumi e gli usi che si sono sistemati piuttosto male negli ultimi trent’anni, ma adottarlo a prescindere e usarlo random penso sia incauto e possa creare danni quanto o più del procedere innocentemente dando per scontata la buonafede del nostro prossimo.

Saper accettare un’offerta non è cosa da poco, forse non ci viene insegnato, ma bisognerebbe impararlo. Sono certa sia un’occasione per farci umili e per provare quel sentimento illuminante che è la gratitudine.

Nutro profonda gratitudine per tutte le persone – benedette – che mi hanno offerto il loro aiuto, il loro sostegno, la loro stima, il loro rispetto in tutti questi miei anni di vita. Quando ho avuto bisogno di aiuto ho ricevuto un’offerta che mi ha sollevato e dato speranza. Anche se all’inizio mi risultava difficile per il mio spiccato orgoglio friulano, ho iniziato a capire davvero molte cose di me e della vita quando mi sono aperta ad accogliere le offerte, i doni.

Se ci penso mi commuovo.

 

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(337) Decompressione

Una cosa che dovrei proprio imparare a fare è la decompressione del mio stato emotivo. Questo concetto mi si è palesato tre minuti fa quando stavo pensando a cosa diavolo scrivere stasera.

Sono stanca stravolta e, per quanto possa sembrare inverosimile, più sono stanca e più sono suscettibile di illuminazioni illuminanti. Poi a saperle tradurre in linguaggio comprensibile ce ne passa, ma nella mia testa è tutto illuminato e splendente.

Riprendendo l’assunto iniziale, mi sono accorta ora (anche a seguito di una telefonata importante con una mia cara amica) che il mio stato emotivo in perenne compressione non mi sta facendo un gran servizio. Col tempo la cosa mi è sfuggita di mano e ora non so più come gestirlo.

Inabissandomi in questa fulminea presa di coscienza m’è subito scattato il meccanismo abituale: problema? = trovare soluzione. E da lì è stato un attimo, ecco di cosa voglio scrivere stasera! Di decompressione. Allora apro il post e scrivo la prima frase che mi viene in mente sperando che le cose mi si chiariscano nel mentre. Non è così. Non so nello specifico come mi sarà possibile decomprimere il mio stato emotivo, non so neppure se sia possibile o se ormai è troppo tardi e così sia.

La soluzione l’ho trovata, non so ancora come concretizzarla. Ho il sospetto che questo non farà che implementare la costipazione del mio stato emotivo.

Brutta miseria! E adesso?

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(336) Cosmopolita

È sempre stata la mia massima ambizione: essere parte del mondo. Non solo per diritto di nascita, in quanto Essere Umano, ma riuscire a comunicare con chiunque, in ogni nazione sotto ogni cielo che si possa contemplare.

Andare in Germania e poter parlare tedesco come fosse la mia lingua, andare in Francia e parlare francese, andare in Olanda e parlare l’olandese, andare in Kenya e parlare lo Swahili…

O-V-U-N-Q-U-E poter comunicare con C-H-I-U-N-Q-U-E!

Mi piacerebbe imparare il linguaggio dei segni, mi piacerebbe imparare il Braille, mi piacerebbe avere questa magica porta spalancata davanti a me e saperla varcare con educazione, con grazia e rispetto (con il solito insano entusiasmo per le cose da scoprire che mi caratterizza) e tutto questo sarebbe meravigliosamente più intenso usando la lingua locale.

Nella realtà non mi è andata malissimo perché l’inglese, il francese e lo spagnolo li ho studiati, e digeriti abbastanza da renderli accessibili, e mi rendo conto che la mia predisposizione a sintonizzarmi con i suoni mi ha aiutata moltissimo, ma cosa dire del portoghese e del giapponese e dell’arabo e del russo e dell’inuit… sì, una vita non mi basterebbe!!!

Quindi, per quanto mi riguarda, chiunque veda nello straniero [estero, estraneo, strano, invasore, nemico] un pericolo, per me è pianeta troppo lontano per azzardare un qualsiasi tipo di comunicazione. Mi chiamo Barbara, che deriva dal greco e in origine designava il balbettare di chi greco non era (e si trovava in una condizione di schiavitù), in poche parole significa S-T-R-A-N-I-E-R-A. Questo ha un peso, ha un enorme peso in tutto quello che penso e che faccio. Anche quando mi capita, se sono sotto esame o se sono stanca o super stressata, di incespicare nelle parole come se non mi appartenessero nonostante io stia usando la mia amata lingua d’origine.

Sì, sono sempre io e ne vado fiera.

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(335) Neuroni

Sembra abbiano ricominciato a funzionare. Non so per quanto durerà, ma finché dura sono intenzionata a cavalcare l’onda. Tanto nulla è per sempre e bla bla bla bla.

Detto questo, posso garantire che il fatto che abbiano ricominciato a funzionare non era né scontato né in previsione, una parte di me si era realmente rassegnata alla perdita – l’età che avanza e bla bla bla bla.

Ora che, invece, c’è stata LA sorpresa, non posso evitare di analizzare la situazione per capire il motivo di questa rinascita. Fatti un paio di conti, abbastanza facile considerata la vita che conduco, la realtà parla chiaro: è merito del lavoro.

Credo che il mio essere stakanovista, cosa non del tutto sana (tutt’altro) lo so, giochi un ruolo fondamentale nella personale elucubrazione di questa sera, ma una le cose le deve guardare in faccia, non è che facendo finta di niente bla bla bla bla.

Quindi, affermo con risolutezza che anche se dovessi vincere un milione di dollari alla lotteria – che lo voglia Iddio! – non potrei rinunciare a lavorare. Mi troverei nuovi modi per lavorare, per creare, per non dormire la notte presa dai pensieri ossessivi – tipo: cosa diavolo mi invento per risolvere ‘sta cosa – e per svegliarmi intontita e reattiva zero fino a metà mattina almeno. Una barca di soldi mi permetterebbe solamente di pensare a una nuova e folgorante eventuale avventura lavorativa da intraprendere. Certo farei shopping, ma neanche poi tanto – ah, sì mi compro un’auto nuova, poco ma sicuro.

Chiarito questo concetto, sarei proprio curiosa di scoprire cosa mi potrei inventare se fossi io la vincitrice di chili di milioni di dollari (come le statunitensi della scorsa settimana), i miei neuroni vivrebbero dei giorni indimenticabili, darebbero davvero il meglio di sé in diversi settori.

Sì, sognare non costa nulla e bla bla bla bla, però essere proiettata di punto in bianco proprio ora in una dimensione dorata farebbe una grossa grossa differenza.

I soldi non fanno la felicità e bla bla bla bla. Non mi importa, non chiedo di essere felice, c’ho messo una pietra sopra – non sono stata programmata per quello – ma solo su quello sta la pietra.

Ok, vado a giocare al superenalotto. E smettiamola con i bla bla bla bla!

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(334) Tenebre

Te le porti dentro, sono parte di te che tu lo voglia o no. Addirittura preferisci anziché farci i conti, morire di paura davanti a un film horror perché inconsciamente pensi che le tue tenebre sono di sicuro più spaventose e col cavolo che le affronterai.

Certo, è una possibilità, ma non una certezza. Magari continuiamo a temere le nostre profondità oscure credendole tana di mostri disumani e nella realtà si tratta solo di fantasiose ombre cinesi. Siamo ben ridicoli noi Esseri Umani, vero?

Poi ci sono quelli che “siccome le mie tenebre sono il top le voglio condividere con il resto del mondo!” e così pensando fanno danni. Le tenebre celano, ma a svelarne il contenuto dovremmo andare cauti. Foss’anche un’ombra cinese quella che vi troviamo, è pur sempre affare nostro, mica del nostro vicino o della nostra famiglia o dei nostri amici!

Non è detto che il mondo si debba curare delle nostre tenebre, anche e soprattutto perché c’ha pure lui le sue e ne deve scendere a patti ogni sacrosanto giorno (e notte). Chi lo aiuta? No, di certo non noi, anzi siamo pronti a darci il carico appena possiamo, vero?

Eh!

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(333) Ballerina

Sognavo di fare la ballerina da piccola. Nessuna possibilità, mi è stato detto. Allora, da adolescente mi sono data al sogno di diventare una cantante rock. Anche questo è stato ben calpestato e ridotto in brandelli e da quel momento ho smesso di sognare di essere e ho iniziato a fare.

Ho iniziato a scrivere, ma senza altri scopi se non quello di scrivere. Finché ho pensato che scrivere potesse essere un modo per guadagnarmi da vivere. E sono trascorsi 30 anni da allora, così tanti da farmi venire le vertigini, ma io ora sto scrivendo guadagnandomi il pane e così la mia storia ha trovato un senso.

Negli anni ho continuato a ballare e ho continuato a cantare, non su un palco, ma nel mio privato (più o meno). Il mondo non sente di certo la mancanza di una ballerina mancata e di una rock star illusa, il mondo non ha perso nulla e non me ne farà una colpa – forse me ne è grato.

Il mondo non ha neppure bisogno di una scrittrice in più, me ne rendo conto, ma da qualche parte dovrò pure stare. Ho deciso che resto qui e scrivo.

Fattelo andare bene lo stesso, mondo, prometto che non ti darò fastidio.

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(332) Crimine

Ogni Essere Umano dovrebbe considerarsi alla stregua di un luogo del delitto e transennarsi in modo da non permettere che nessuno oltrepassi i limiti. Perché? Perché tutti noi siamo vittime di un crimine, più o meno grave non fa alcuna differenza. Lo siamo tutti, senza distinzione di razza, di credo, di ceto sociale. Tutti.

Non ce ne rendiamo conto, ma siamo sempre così incazzati perché nel nostro subconscio lo sappiamo. Lo sappiamo, soffriamo, eppure non abbiamo il coraggio di denunciarlo: “Sono vittima di un efferato crimine e nessuno se n’è mai accorto!“.

Siamo incazzati per questo, tutti senza distinzioni di sorta. Quelli che lo sanno sono quelli che hanno subito i crimini più evidenti, dove i segni si vedono sulla pelle e ben oltre la pelle. Quando il crimine è sotto gli occhi di tutti, la società lo riconosce e la rabbia un po’ si attenua. Quel non-puoi-fare-finta-di-nulla non ti viene ributtato addosso con scherno e la tua rabbia trova un istante di pace. Se il crimine non viene percepito, riconosciuto, condannato dalla società… è come se non fosse mai successo. E qui la rabbia cova e s’ingigantisce fino a farti implodere o esplodere.

So con certezza che se non iniziamo a considerarci tutte vittime non potremmo mai provare vicinanza nei confronti degli altri. Chi si prende in carico il proprio dolore, smette di odiare, smette di covare rabbia, smette di augurare dolore al suo prossimo. Perché sa di cosa sta parlando, sa il peso di quella sofferenza.

Sto male e pertanto odio tutti? No, sto male e quindi auguro a tutti di non provare il mio stesso dolore. Tutto qui. Pertanto consideriamoci luoghi del crimine e proteggiamoci digerendo come si deve le nostre ferite. Siamo ancora qui, dopo tutto, giusto? Appunto.

 

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(331) Glifo

Nascondere significati all’interno di un’immagine: geniale. Se poi l’immagine è semplice, quasi brutta, quasi ridicola, quasi assurda, ancora meglio.

Si tratta di catturare l’attenzione – in qualsiasi modo ti venga in mente – e arpionarla lì e farla prigioniera. A tempo indeterminato. Diventa un’ossessione, diventa una sorta di viaggio a spirale dove cadi cadi cadi e non ti chiedi neppure il perché o dove sei diretto perché non te ne frega niente.

Mentre cadi non c’è sofferenza, c’è movimento e nel movimento la mente suggerisce e scandaglia ogni spazio che le si apre davanti. Quello spazio dura un istante e viene sostituito con un altro spazio, forse più piccolo o più grande – che importa? – e la velocità può rallentare o schizzare oltre ogni limite senza scalfire la superficie del tuo enigma. Resti comunque lì, qualsiasi cosa succeda.

Ecco, se dovessi proprio scegliere cosa essere, sceglierei di essere un glifo.

 

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(330) Registrare

La mia mente registra tutto, cose che neppure mi accorgo siano accadute, cose che in fin dei conti non mi servirebbero a niente eppure le registro. 

Il punto è che ho poca memoria e, mano a mano che registro, per farci stare dentro le nuove cose, mi si cancellano quelle più datate.

Mi si cancellano random, non è una questione di importanza, si cancellano senza che io me ne renda conto e non posso bloccare il processo. Questo è un bel problema. Mi capita di ricordarmi di punto in bianco un particolare che si riferisce a una situazione vissuta mille anni fa e che potrei pure dimenticare e di non ricordarmi di un episodio importante che mi è accaduto, e che ha fatto per me la differenza, tenendo tra le mani soltanto dei brandelli senza senso.

Mi piacerebbe ci fosse un modo per evitare che questa enorme massa di cose che registro sovrasti i ricordi più lontani, ma non credo sia possibile. Prima di tutto perché non amo vivere nel passato, piuttosto amo proiettarmi nel futuro. Seconda cosa è che il cervello umano risolve certi ricordi troppo grevi in modo da non farteli risultare così dolorosi affinché tu possa sopravvivere.

In poche parole, mi sto sfogando qui per nulla. O soltanto per mettere un po’ le mani avanti: se non ricordo tutto quello che ricordi tu e lo abbiamo vissuto insieme e me lo stai raccontando, non odiarmi. Non mi funziona benissimo la registrazione. Scusami.

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(329) Benessere

Me lo sto domandando spesso: di che cosa è fatto il mio benessere? Non ho ancora trovato una risposta univoca, solida, pacifica. Si forma una specie di entità multiforme, che vortica su se stessa e travolge tutto, ogni volta che ci penso.

Scoprire, per esempio, che trovo un profondo benessere nello stare sola e poco dopo guardare il cellulare per controllare se ci sono state chiamate o messaggi, non è sintomo di raggiunto equilibrio. E ‘sta cosa mi disturba.

In ogni circostanza, in effetti, in cui mi sento a disagio o infastidita o distonica mi si rende evidente quanto il sacrosanto stare bene con se stessi sia lontano da me. Proprio un altro pianeta! Eppure, se sono sola non succede. Quando sono sola non mi sento a disagio, non sono infastidita da me stessa, non sento distonia… questo equivale a uno stato di benessere. Quindi si ritorna punto e accapo: cos’è per me uno stato di benessere?

Non lo so. Non ne ho idea. Molto probabilmente non lo so perché non l’ho mai provato. O forse perché non sono proprio stata programmata per provare uno stato di benessere.

Sarà mica obbligatorio? Sarà mica qualcosa che se non ce l’hai è meglio che la fai finita?

Ci sto pensando.

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(328) Finestra

Mi piace affacciarmi alla finestra, anzi: alle finestre. Mi piace l’aria che respiro appena apro una finestra, fosse anche al piano terra, perché è diversa. Come se non fosse mia, la sto rubando all’esterno e ha un sapore migliore.

Mi rendo conto che certe assurdità una volta che le scrivi risultano vere e proprie idiozie, ma la cosa non mi spaventa quindi procedo.

L’aria che ho respirato ieri dal settimo piano sapeva di viaggio. Il vento era forte, come a volermi spingere via. Avessi avuto le ali mi sarei buttata. Ho questa natura ballerina io: dentro a una stanza posso volare, ma una volta fuori non mi volto, procedo dritta fino all’orizzonte. E poi faccio fatica a rientrare. Eppure dentro sto bene, so costruirmi un buon nido in cui vivermi, ma non riesco a smettere di guardare il mondo dalla mia finestra struggendomi di nostalgia.

Mi ripeto che va bene così, che non è per sempre, che ogni cosa ha un suo peso e un suo valore e che non si può avere tutto in contemporanea. Mi convinto anche, mai del tutto però. Resto ipnotizzata alla finestra, il vento vorrebbe spingermi oltre eppure so resistergli. Eppure la cosa non mi fa stare bene. Eppure quel vento, quel-vento, è un respiro che quando manca… manca e basta.

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(327) Appunti

Sono quella cosa che faccio in automatico. Non è che qualcuno me lo abbia insegnato, sono proprio io che a un certo punto ho iniziato a farlo (a scuola, ovviamente) e non mi sono più fermata. Trovo che sia un’attività indispensabile per agevolare il mio cervello nel suo barcamenarsi quotidiano.

Non ho un gran cervello, diciamo che ha misure standard, insomma è quello che è e non l’ho visto crescere tanto negli ultimi 40 anni, giusto quel che bastava per adeguarsi all’età. Significa che, conoscendone i limiti, ho dovuto inventarmi qualcosa per rendergli il lavoro meno pesante. Prendendo appunti… giustappunto!

(ho sempre desiderato usare giustappunto in un mio scritto e ora l’ho fatto: bellissimo!)

Ritornando al topic del post, riflettevo sul fatto che un’attività privata, silenziosa e, per certi versi, poco divertente come questa, mi ha permesso di gestire una traballante emotività e un poco brillante Q.I. in modo decente, quel che basta per farmi sopravvivere e non è poco. Posso affermare serenamente che non mi è andata male, anche se non ho ancora imparato a vivere alla grande (e mi piacerebbe, ma ci vuole troppa energia e temo di non averne a sufficienza).

Il mio vivere umilmente – non lo dico per vantarmi, ma per focalizzare meglio la riflessione – non è dovuto a una scelta illuminata bensì a una mancanza di mezzi (intellettivi e fisici), eppure scartare le mancanze per creare onorevoli sostituti ha origine proprio nel mio geniale diletto del prendere appunti.

Su di me, sugli altri, su quello che vedo, su quello che non riesco a vedere… la lista può continuare all’infinito perché seppure il mio mondo sia nettamente delimitato da confini e orizzonti troppo vicini, la possibilità di prendere appunti su tutto il resto non vede, e non ha, fine. Me ne sorprendo pure io, ma è così.

Questo mi fa stare bene. Lo dico senza un grammo di umilità: ben fatto Babs!

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(326) Talismano

La forza ogni tanto manca. Manca il coraggio, manca la voglia. Manca una meta, manca una motivazione. Manchi tu e per quanto tu faccia non riesci a trovarti.

Bisognerebbe farlo: scegliersi un talismano, un portafortuna, una sorta di caricabatterie della presenza d’anima e usarlo secondo necessità. Bisognerebbe farlo in modo intelligente, senza rendersi schiavi, con la consapevolezza che quell’oggetto è solo una prova di quello che tu non puoi vedere perché è dentro di te. Nascosto ma presente.

La vita periodicamente cerca di farmi imparare la lezione: l’attaccamento alle cose, alle persone, non è una buona idea. E la mia testa lo ha imparato, il cuore sta ancora sanguinando per le ultime perdite, ma l’Anima non si rassegna. Non so che farci.

Quindi scelgo periodicamente un talismano, lo tengo con me finché non mi abbandona e quello che posso fare è dare per scontato che mi abbandonerà e nonostante questo tenerlo stretto affidando a lui una parte di me.

Lo so, non è una buona idea, ma la mia Anima non si rassegna e io non so cosa farci.

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(325) Spammare

C’è una logica sotto, in tutto, anche quando la logica si rivela essere illogica e – soprattutto – fastidiosa. Perché ricordiamocelo: il fastidio è lo scopo. Sì, provocare fastidio. Quella cosa che ti punge e poi ti fa grattare: fastidio.

Ora, che io sia di mio una persona piuttosto fastidiosa – mio malgrado – è un dato di fatto che si è andato ad esplicitare in più di un’occasione e non di rado – ok, diciamo spesso. Lo sono per un sacco di ragioni, tutte buone, ma tutte piuttosto indegne della mia considerazione perché risalgono a un’origine – la mia – che non posso cambiare – neanche volendo e sia ben chiaro che non voglio.

Detto questo, però, mi preme precisare che con gli anni il mio essere suscettibile ai pungolamenti e pungolature e alle conseguenze pruriginose è andato via via aumentando fino a raggiungere vette inaspettate. In certi periodi mi dà fastidio tutto. Tutto. Tutti. Senza distinzione, random, senza logica se non quella del fastidio che si basta, si compiace e si autoalimenta.

In siffatti periodi ambisco ad un eremo.

Sto attraversando uno di questi periodi (da due settimane) e so il perché, so esattamente il motivo e anche l’iter che si va a ripetere ormai da decenni. A differenza di un tempo, me lo vivo con un certo distacco. Il fastidio in alcuni momenti rasenta la follia, ma non per questo mi lascio andare, no! Ci parlo con il fastidio, ci discuto, ci trovo del buono nel suo spammarsi a destra e a manca e apprezzo l’opera che compie su di me. Questa esasperazione autoindotta, lo so che è così perché ormai mi conosco, dipende da quel maledetto meccanismo che si mette in atto ogni volta che devo sfornare un’idea e che… non c’ho voglia.

Non ne ho voglia, solitamente, perché mi credo incapace di farlo. No, non veramente, per finta… quasi per scaramanzia. Cioé, mi dico che non ce la farò mai e me lo ripeto per giorni e giorni così il fastidio si sparge in me e io lo spargo ovunque e lo esaspero finché non avviene l’implosione. Mi metto lì, butto giù l’idea, mi rendo conto che ce l’ho fatta, mi compiaccio, ammetto che lo sapevo che ce l’avrei fatta, mi faccio una bella dormita (finalmente) e poi… il fastidio sparisce.

O meglio: il fastidio non è più ovunque, è localizzato, è sotto controllo, è innocuo ormai. E ogni volta la stessa storia. Essere me? Bell’affare!

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(324) Calendario

Li guardo passare e li sto vivendo, ma li sento lontani. I giorni non si fermano – grazie al cielo – sono io che mi fermo ogni giorno a guardare il calendario. 

Primo pensiero del mattino: che giorno è?

Secondo pensiero del mattino: cosa devo fare?

Terzo pensiero del mattino: quanto posso ancora dormire?

E mi alzo per far iniziare la giornata, per rispetto al calendario, per restare al passo con la vita – la mia? – o soltanto per non essere calpestata dalla vita degli altri. Sono prigioniera anche quando il calendario urla vacanza. Ci sarebbe da riderne, ma è venerdì e il proverbio recita:

Chi ride di venerdì piange per tre dì.

Che trappola mortale.

 

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(323) Inviolabile

Degno di massimo rispetto, ovvero sacro. Ciò che è inviolabile lo è per diritto naturale, lo è non perché frutto di un’opinione o di una moda o dell’estro di qualcuno. Lo è perché così deve essere.

Il diritto all’inviolabilità non si compra, non si mercanteggia, non si svende, non si mendica, non si regala e non si concede.

A noi questa cosa dà un fastidio ancestrale, ci opponiamo con tutte le nostre forze a ogni cosa che ci para di fronte questo stato d’essere inviolabile. Reagiamo con violenza, perpetriamo il sopruso perché l’inviolabilità ci disarma, ci fa sentire piccoli e insignificanti. E lo siamo. Di fronte al diritto naturale di Essere siamo ridicolmente inadeguati.

La vita è inviolabile. E noi appena ne scorgiamo la luce facciamo del nostro meglio per spegnerla. Calpestiamo l’inviolabilità perché pensiamo che in questo modo scomparirà, perderà di significato. Non è così. Lei rimane, perdura, persiste, granitica e magnifica.

Se facessimo come gli aborigeni, decretando l’inviolabilità dei nostri Luoghi ci renderemmo conto che non serve alzare la voce davanti al Sacro, ma alzare le braccia sì. E se alziamo anche gli occhi al Cielo il gesto si completerà.

Tu prova ad alzare le braccia e gli occhi al Cielo e al contempo impedirti di sorridere. Prova. Ci riesci? Io no.

 

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(322) Vino

La terra da cui provengo è terra di vigne e ottimi vini. Sono cresciuta in un ambiente dove si mangia e si beve in compagnia, non solo nei momenti di festa, ma sempre. Con moderazione nel quotidiano e smisuratamente se si festeggia.

Di fondo sono astemia, bevo un po’ e mi fermo. Mi autoregolo naturalmente, senza bisogno di pensarci, sono fatta così. Non so se sia perché ho visto da troppo vicino cosa succede quando si oltrepassa il limite, il limite dello stare bene. Basta poco e sei già al di là e lo stare bene si trasforma in stare male.

Crescendo ho scoperto un altro modo di gustare il vino, quello degli esperti. Ho visto il business e ho visto la magnificenza della comunicazione legata a questo prodotto della terra. Assaggiare, mi piace ma rimango comunque io e non vado oltre – anche a rischio di risultare poco conviviale.

Perché mi sono infognata in questo discorso? Forse perché rimango sempre molto colpita dalla capacità di andare oltre nonostante lo stare male che ci infliggiamo. Mi domando sempre il perché. Ho sempre creduto di difettare di amore nei confronti di me stessa, ma forse mi amo più di quello che penso e lo dimostro autoregolandomi.

Eppure, agli occhi degli altri non è così. Le cose sono due: o mi so nascondere un gran bene o manco di lucida percezione del reale. Rimango basita a prescindere.

 

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