(285) Beccare

Qua e là. Ho fatto così nella mia vita, ho trovato cibo neuronale (non troppo, mai troppo, scherziamo?) un po’ qua e un po’ là e finché mi nutriva ho continuato a beccare. Quando non ce n’era più, o non mi interessava più, cambiavo il qua e anche il là.

La Cultura (con C maiuscola) è altro, me ne rendo conto, ma nutrirsi di quel che c’è (anche augurandosi di meglio e quindi cercando di meglio) è stato il mio modo di crescere… se non in Cultura, in consapevolezza. Per quello che è il mondo, per come è il mondo, per quanto il mondo offre e toglie.

C’è ancora molto da beccare, per me, e non so se mi basterà una vita, ma sono sicura che finché terrò stretta questa filosofia avrò una possibilità di accrescere in consapevolezza. Della Cultura me ne occuperò nella prossima esistenza, mica posso fare tutto e tutto insieme!

 

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(284) Logica

A rigor di logica, questo si dice. Perché la Logica ha il suo rigore, no? Ecco, io mi fidavo. Io pensavo che il rigore delle Logica fosse il riferimento principe, quello a cui aggrapparsi quando l’emotività prende il sopravvento, quanto il buonsenso se ne va a remengo, quando l’intelligenza ti lascia a piedi.

Non c’è mica nulla su cui elucubrare tanto: usa la Logica, perdio!

Non è così semplice, di Logica ce n’è ben più di una e scegliere quella giusta ti manda ai matti. Quindi ognuno fa da sé con la propria e che sia corretta o meno, bé, chi può dirlo?

Mi ha sempre affascinata la Logica degli altri, se ci casco dentro mi posso convincere di quasi tutto e mando a quel paese la mia.

P-E-R-I-C-O-L-O-S-I-S-S-I-M-O.

Mi devo sempre fermare e riportarmi al mio paletto di rigor logico: combacia? Se no, allora stop e rewind.

A rigor di logica, dovrei rifarmi al mio buonsenso, perché lui ne ha sempre ben più di me di Logica, ma non sempre il buonsenso applicato mi riesce come dovrebbe perché va a cozzare con quello degli altri. Perdio, che complicazione inutile!

A rigor di logica non dovrebbe essere così. Ok, d’accordo, ma Logica di chi? Eh.

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(283) Principe

Ognuno ha quello che si merita, intendo dire il Principe che si merita. Che sia Azzurro, Verde, Rosso, Giallo, Blu, Rosa, Viola, Nero o Bianco, non fa differenza: è sempre un casino.

I peggiori sono quelli totalmente irreali, che diventano un pigiamino troppo stretto per chiunque debba respirare e ci si debba infilare dentro. A un certo punto le cuciture saltano e si scoprono cose che preferiremmo non vedere. Eppure, succede sempre. Un’esplosione di brutte sorprese.

Non ho mai sognato un Principe, piuttosto un Biker – che a voler andare per il sottile potrebbe assomigliare a un Principe, ma con meno credenziali – e mi sono sempre affidata agli eventi della vita. Fatto sta che un Principe non mi è mai interessato, e anche se mi sono chiesta spesso il perché non ho ancora trovato una risposta.

Forse perché alla plastica preferisco la carne, forse perché non ho cucito negli anni nessun pigiamino da far indossare a qualsivoglia pretendente, forse perché ho avuto altro da fare e ho sempre pensato che sono gli incontri e le persone che ti aprono o ti chiudono alla vita.

I Principi sono cose da Principesse e a una Rocker come me quel tipo di romanticismo dà fastidio. Perché ne parlo stasera quindi? Non lo so, stavo solo riflettendo sul fatto che se sei un uomo e vieni continuamente paragonato a un Principe… bé, un po’ di giramento di palle è anche da mettere in conto. No?

W i Bikers!!!

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(282) Visuale

I’m sittin’ on the dock of the bay/watching the tide roll away…

Sedersi lì, senza pensare a niente e magari pensare un po’ a tutto. Sedersi lì, come se non avessi nient’altro da fare, anche quando le cose da fare ti saltano addosso. Sedersi lì e fare in modo che quello stare lì sia l’unica cosa importante. Ecco, io lo so fare. Spesso me lo dimentico, ma lo so fare.

Quando sai fare una cosa, anche se te la dimentichi, basta poco e la riprendi in mano senza alcun problema. Ci sono molte cose che so fare e che ho messo da parte – chissà perché – e che nel momento opportuno so usare per risolvere le cose. Soprattutto a livello emotivo perché il nostro sistema emotivo ricorda tutto, anche se fa finta di no per permetterci di sopravvivere.

Quindi, sei seduto lì e guardi le cose come se non fossero altro da te, anzi, come se le conoscessi tutte e le conoscessi bene, perché tu sei come loro, tu sei loro. Bene, arrivati a questo stato d’animo – che definirei illuminato – puoi capire molte cose della tua esistenza. Certe le capisci bene, altre meno, ma intanto qualcosa capisci. L’importante sarebbe non prendere quelle cose che stai capendo per verità finale. È soltanto un pezzettino di visuale, se le lasci modo di mostrarsi a te coi tempi giusti non rischi di fraintendere.

Ecco, questa è una cosa che bisognerebbe insegnare a chi non lo sa fare, solo che chi lo sa fare non ha idea del come fa e se fa giusto, quindi è un bel macello. Certe cose importanti sono praticamente impossibili da insegnare, credo.

Vabbé, oggi la visuale da qui non è affatto male, sto capendo poco, ma mi godo il paesaggio.

 

 

 

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(281) Intrico

Quando tutto è troppo ingarbugliato cosa si fa? Si prendono le forbici e zak, un bel taglio secco. Il buonsenso te lo dice, lo spirito pratico te lo ripete, il calcolo matematico (l’agoritmo delle rotture di balle) te lo conferma: zak.

E io, invece, lì a cercare di capire com’è stato, quand’è stato, che il tutto si è ingarbugliato… era partito così bene, liscio!

E perdo tempo, perdo la pazienza, perdo la voglia e l’entusiasmo (sembra una canzone di Vasco e forse lo è, non ho voglia di indagare proprio ora che se no perdo il filo). Fatto sta che anche quando capisco e trovo il perché e il dove dell’intrico, non serve a niente. Devo comunque usare le forbici e zak.

La questione irritante è che gli intrichi non seguono tutti la stessa logica, non sono fissati in una dinamica standard. Gli intrichi sono creativi. Ognuno ha il suo estro, ognuno ha i suoi motivi, ognuna ha i suoi nonsense e la matematica non può nulla contro di loro. La prevenzione è vana.

Ti ci trovi in mezzo e che tu sia stato poco accorto o semplicemente un idiota, il dato di fatto non cambia. Non hai altro modo per tirartene fuori, ovvero: Zak.

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(280) Dissociarsi

Prendere le distanze da quello che non ci piace, quello che ci ripugna, è un nostro preciso dovere e non un semplice diritto. Andare in piazza a manifestare è un modo per dirlo, per dichiararsi contrari e lontani da certe posizioni che ci indignano perché oltraggiose e ripugnanti. Eppure…

Ho sempre preferito dichiararmi e dissociarmi nel mio quotidiano dicendo NO a questo o a quello e mantenendo la mia posizione nonostante le conseguenze. Non partecipo a una manifestazione dal tempo della scuola e non lo faccio perché la folla mi rende nervosa (anche se festante).

Dico questo dopo essere stata apostrofata malamente perché non mi sembra fondamentale urlare in piazza il mio dissenso quando nel mio quotidiano porto addosso i segni di tale dissenso come conseguenza naturale, come mio dovere inalienabile. Tanti che urlano in piazza e si mostrano oltraggiati e ancora di più, nel quotidiano si gestiscono come topolini da laboratorio, fanno quello che gli si dice di fare per evitare conseguenze sgradevoli da portarsi addosso.

Però sanno lamentarsi. E non smettono mai.

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(279) Boomerang

Che le cose brutte fatte agli altri ritornino al mittente (e poi son cavoli amari), questo lo so fin da piccola. Me l’ha detto mia nonna e io a mia nonna ho sempre creduto ciecamente. Bon, si cresce così, con crudi e sani insegnamenti che una volta tatuati nella memoria non te li togli più. Un imprinting sacro.

Mi sono, però, sempre domandata perché per le cose belle fatte agli altri non funzionasse allo stesso modo. Se è una legge fisica allora va al di là del giudizio morale bene/male o giusto/sbagliato: fai una cosa agli altri e questa cosa – prima o poi – ritorna al mittente. Stop.

Se è fisica è fisica, se è legge è legge, e la legge è uguale per tutti – ci hanno detto e lo hanno anche scritto – invece no, non è così.

Fai del bene e dimentica, ecco un altro insegnamento della nonna. Ma come? Mi devo aspettare che il boomerang mi colpisca in testa se faccio una cavolata, ma non se faccio una cosa bella? Ma nonna! Non è giusto!

Risposta: non c’è niente di giusto a questo mondo.

Eh, e se lo dice la nonna, io le credo. La nonna, su queste cose, la sapeva lunga anche se neppure a lei questa legge fisica farlocca piaceva e forse proprio per questo non andava in chiesa ad ascoltare il prete predicare.

Certe cose ti rimangono tatuate nel cuore oltre che nella mente e scoprire quanto le assomiglio – ora donna fatta – mi riempie di orgoglio. Comunque, non vorrei risultare pedante, ma vi avverto: occhio al boomerang!

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(278) Peso

Farsi beffa del peso si può. E quando succede è magnifico. Sollevarsi senza peso nonostante il tuo peso è la magia che solo gli animali sanno fare. Dando per scontato che sia possibile lo fanno. Semplice.

Ogni tanto mi riscopro animale e non è affatto cosa da poco. Peso o non peso do per scontato che la cosa sia già fatta. Bisogna solo aggiungere un paio di dettagli… et voilà!

Mi riusciva meglio anni fa, poi ho iniziato a dubitare, ho iniziato a considerare il peso una cosa seria e sono rimasta un po’ schiacciata da questo pregiudizio. Mi sono lasciata convincere da una realtà opprimente che il peso fosse qui per restare e invece… voilà!

So bene che non durerà per sempre (e cosa mai dura per sempre?) quindi faccio in modo di gustarmi la mia condizione aerea, leggera e passeggera.

Solo un po’ di attenzione nell’atterraggio, questo lo devo ricordare, tanto per evitarmi ossa rotte e lividi. Ma è un dettaglio. Come il mio peso… et voilà!

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(277) Effetto

Dimmi, che effetto ti fa? Me lo sto domandando da qualche giorno, perché non sono abituata a una situazione come questa. Quindi mi chiedo: che effetto ti fa? L’hai sognato e ora è qui, è quello che avevi immaginato?

Sorprendentemente, la risposta è: sì.

Esattamente così, è proprio questo che voglio per me nei prossimi trent’anni. Così mi voglio sentire, così voglio che sia la mia strada e sempre meglio, sempre meglio, sempre meglio. E non nascondo che il lavoro fatto negli ultimi vent’anni sia stato forsennato e disperato, che avevo paura fosse inutile, che pensavo a un certo punto di essere una povera deficiente e che…

L’effetto che mi fa ora è quello di un’enorme magnifica consapevolezza di senso. Non si tratta di urlare Eureka! o di adagiarsi sugli allori, no. Si tratta di fare sempre meglio, sempre meglio, sempre meglio. Ambizione sfrenata? Forse. Ma, lo ammetto, la curiosità vince su tutto: chissà come sarà quando sarà meglio di così!

Testa bassa e di nuovo al lavoro.

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(276) Colpi

Si danno e si prendono, dicono. Credo sia così. Quando li prendi te ne accorgi subito, quando li dai potresti non esserne proprio consapevole e chiedere scusa diventa difficile se uno non te lo fa notare. Se te lo fa notare,  quel qualcuno a te ci tiene. Pensa che valga la pena affrontare il nodo che si è formato per scioglierlo, in un modo o nell’altro. Se non lo fa, allora reputa che tu non valga il suo tempo, la sua energia. Questo è il colpo finale. Quello che resta. Può far male anche dopo millenni, s’imprime dentro di te e lì continua a bruciare.

Un colpo che tiri, nove volte su dieci, ti torna indietro. Su la guardia, quindi.

Vivere senza prenderne e senza tirarne, di colpi intendo, non sembra sia possibile. Mi hanno detto che non lo è. Io ci credo.

I colpi ti mettono davanti a due possibilità: o soccombi o reagisci. E qui ti si svela l’essenza del tuo esserci. Reagire sempre? Soccombere sempre? Impegnativo. Troppo per me, lo ammetto. A volte soccombo, mi ci vuole un po’ di tempo per capirne l’origine e quantificare il danno che mi ha causato, quindi soccombo. Mi accascio e stringo i denti. La reazione che segue non è mai di vendetta, lascio andare e passo oltre. Quando reagisco, invece, diventa tutto più veloce, tutto più duro, tutto più faticoso. Sento il mio dolore e anche quello di chi riceve il mio colpo, non lo so perché ma hanno la stessa portata, la stessa intensità.

Preferisco non reagire ai colpi sferrando colpi, ma se lo faccio è perché non vedo altra scelta. Ci sono opzioni alternative, ma io non le vedo. Succede quando sento l’inutilità di affrontare snervanti confronti che non porterebbero a nulla. Sempre dal mio punto di vista, che è sempre e solo il mio punto di vista.

Le nocche bruciano, le mani stridono. E si passa oltre. Chissà come, chissà perché. Appena lo capisco scriverò una storia.

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(275) Fumo

A far andare in fumo un progetto, un sogno, è un attimo. Ricominciare daccapo potrebbe richiedere una vita. Un’altra vita. Più che altro ti  costringe a chiederti se lo vuoi veramente, se puoi farcela o se è solo una storia che ti racconti.

Trascorrere così gli anni e vederli andare in fumo senza aver nulla tra le mani, se non te stesso, è disarmante. Ti toglie le forze.

Ho sempre pensato, però, che le cose che volevo avere non mi fossero dovute, che visto che valevano tanto dovevano per forza avere un prezzo alto e che non potevo delegare qualcun altro per il pagamento. Questo mi dicevo, ecco perché ho sempre trovato il modo di ricominciare, di progettare piantando bene i piedi per terra, sognando puntando alla Luna però.

Avevo ragione. Ora, in questo preciso istante, voglio scriverlo qui e dirlo a chiunque si trovasse a passare da qui (per abitudine o per caso): avevo ragione. Quindi se vi mancano le forze, se vi sentite stropicciati e state pensando di abbandonare i vostri progetti e di negare i vostri sogni: non fatelo, non ancora.

Aspettate ancora un po’, ricominciate ancora un po’, progettate ancora un po’, sognate ancora un po’. La vita vi darà ragione. Fidatevi di me. Fidatevi di quello che sentite in fondo al vostro stomaco: seguite quella cosa lì e rimandate la resa.

Avete ragione voi, solo che ancora non potete saperlo, ma io lo so. Non è fumo quello che vedete, è solo un po’ di nebbia, ma quella prima o poi si stanca e si ritrae. Rimanete lì e vedrete che bel paesaggio c’è sotto. Se è così per me può esserlo per tutti. Per tutti.

 

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(274) Minaccia

Capita, a volte, di sentire il mondo come una minaccia. Capita a tutti. Poi deve passare, però. Vivere in perenne stato di allerta perché il mondo è una minaccia continua ti porta ai matti. Devi farci i conti e trovare un accomodamento vivibile. Prepara un bel giaciglio per la tua ansia e portati appresso un fischietto, che in caso di necessità la chiami e lei arriva.

Per il resto del tempo: scordatela. L’ansia c’è e rimarrà con te per sempre, anche se pensi che lei se ne sia andata, non è così. Sta a riposo, ecco tutto.

Fondamentalmente tutto quello che esiste in questo mondo può essere fonte di ansia e può tramutarsi prima o poi in minaccia tangibile. Spesso letale. Eppure, nonostante tutto, si va avanti. Gestire la propria giornata piegati in due dalla minaccia che incombe sul nostro collo è ingiusto. Ci togliamo il respiro.

Nessuno di noi sa quanto tempo gli è dato da vivere (quasi nessuno) – neppure se abbiamo una condanna esplicita marchiata a fuoco addosso – può sempre accadere qualcosa, in qualsiasi momento e ovunque. Quindi: AMEN. Che sta a significare: non ci possiamo fare nulla. Nonostante le precauzioni, le paranoie, i salti mortali. NIENTE. Te ne vai esattamente quando è il tuo momento d’andartene (al diavolo o in paradiso non fa differenza).

Credo che l’unica minaccia davvero temibile sia quella di avere una mente che gioca al terrore con noi. Un bel respiro, quindi, e sempre avanti – senza perdere il fischietto (sia mai!).

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(273) Indietreggiare

La cosa più difficile non è prendere una decisione, è mantenere quella posizione anche quando ti assalgono i dubbi più atroci e pensi di essertela giocata male. Ecco, in quel momento tenere botta non è da tutti.

Indietreggiare no, barcollare ci sta, ma indietreggiare no. Non per un fatto di orgoglio, ma perché è troppo presto, non sai ancora come andrà a finire, indietreggiare significa che non sei convinto, che ci hai pensato poco o male. Soprattutto che hai paura di prenderti le conseguenze del caso, non sei pronto, il che è peggio dell’aver preso la decisione sbagliato. Molto peggio.

Quindi devi startene lì, aspettare di vedere cosa succede e poi, nel caso, se le conseguenze sono più di quello che puoi sopportare, allora ritorni sui tuoi passi, ripensi tutta la faccenda e vedi di cambiare rotta.

Devi solo resistere nella sospensione, barcollare sì, ma non indietreggiare. Mancheresti di coraggio e questo difficilmente te lo potresti perdonare. Come lo so? Perché ti conosco. Se hai letto fino a qui significa che sei come me.

Adelante Sancho!

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(272) Scrittore

Ogni volta che mi trovo davanti a qualcuno che mi fa dono della sua storia non posso far altro che ascoltare. Non sovrappensiero, non infastidita, non già sapendo come va a finire. Ascolto e basta.

Lo faccio da sempre, forse è per questo che ho fatto di questo il mio lavoro.

Scrivere, infatti, non è altro che continuo e attento ascolto. Di sé, dell’altro, del mondo. Di quello che c’è e quello che non c’è, di quello che si vede e quello che non si vede, di quello che sarà e di quello che non sarà mai, di quello che è stato e che può continuare a essere perché certe cose non finiscono a meno che tu non voglia proprio dimenticarle.

Ci sono molti mestieri che fanno dell’ascolto l’arte su cui svilupparsi, ma lo scrivere le supera tutte. Ecco perché ogni volta che qualcuno che vuole diventare uno scrittore viene da me e mi chiede cosa fare non rispondo. Non c’è una formula magica per diventare uno scrittore. Lo devi essere da sempre, anche se non hai mai scritto una riga in vita tua. L’ascolto fa lo scrittore.

Ma se la vita, il mondo, l’Essere Umano non ti piacciono, allora non scrivere, non saresti utile a nessuno, neppure a te stesso.

 

 

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(271) Follia

A un certo punto diventi grande e pensi: adesso posso fare quello che voglio e nessuno si permetterà più di mettersi tra me e la mia vita. Questo pensiero meraviglioso (lo è davvero, ironia a parte) sarebbe l’inizio di una bella storia se fossimo abbastanza saggi da gestircelo. Non lo siamo. Forse, se siamo fortunati, lo saremo. Quando ci ritroveremo più vecchi, vecchi abbastanza da aver capito che fare quello che vuoi – quando quello che vuoi muta forma e significato ogni tre secondi – è come rimbalzare tra un ostacolo e l’altro sugli autoscontri.

Odio gli autoscontri, mai capito chi ci va matto, ma adoro guidare l’auto. Non mi piace sbattere contro qualcosa, mi piace guidare senza andarmi a cercare il colpo della strega – che quando lo cerchi arriva sempre puntuale.

Le righe sopra non sono scritte a casaccio, prendiamole come una metafora: guidare alla cavolo perché ti diverte lo fai se sei al Luna Park e basta. E basta. Pensare che possiamo andare alla cavolo mentre conduciamo la nostra vita di qua e di là a seconda del nostro umorale volere è per lo meno folle.

Se trovi un certo equilibrio nella gestione del tuo umore e del tuo volere, scopri anche che volere quello che va bene per te è come fare 6 al SuperEnalotto: pressocché impossibile. Eppure, soltanto quella cosa che davvero va bene per te vale la pena dello struggimento che il volere senza ancora l’ottenere si porta appresso.

Cosa voglio dire con tutto questo? Bah! Forse soltanto che siamo tutti folli e che i Cappellai Matti sono gli unici a vederci chiaro. Pertanto quando ne trovi uno, uno vero, ascoltalo attentamente.

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(270) Deserto

Tra tutti i deserti non so decidere quale sia il più terribile. A modo mio credo di averli attraversati tutti. L’unica cosa che mi renderebbe il ricordo insopportabile sarebbe accorgermi che il mio passaggio non ha lasciato tracce, che la sabbia, il ghiaccio o la terra hanno già cancellato il mio cammino. Come non fosse mai successo.

Mi rendo conto che è ridicolo, ma mi sembrerebbe di aver sofferto-lottato-sanguinato per nulla, come se non fosse mai stato. Solo me stessa come testimone, come prova, come memoria. Potrei anche dubitare, a un certo punto, che sia accaduto davvero. Che quel deserto sia davvero esistito. Come fare per uscirne? La pazzia.

Di ogni deserto ho apprezzato la durezza, senza cedimenti. Anche se sei sul punto di soccombere, un deserto non si muove a compassione, ti toglierebbe la possibilità di farcela con le tue sole forze. D’altro canto lui è lì per quello. Un deserto ti dà dei segnali di vita, ma non te la offre come se ti fosse dovuto qualcosa. Quale verità può fare più male se non quella che ti sbatte in faccia che niente ti è dovuto e che sei qui per guadagnarti i privilegi che stai reclamando?

Ogni deserto fa di te un niente, tu a quel punto devi scegliere: arrenderti all’evidenza o immaginarti migliore e quindi capace di arrivare all’oasi? Dipende tutto dalla storia che ti stai raccontando, viaggiatore.

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(269) Assurdità

Importante recuperare il significato di assurdità, apre nuovi orizzonti:

assurdità s. f. [dal lat. tardo absurdĭtas -atis]. – 1. [l’essere assurdo] ≈ illogicità, incoerenza, incongruenza, incredibilità, irrazionalità, paradossalità, sconclusionatezza, stramberia. ↑ follia, pazzia. 2. [cosa, affermazione assurda] ≈ assurdo, (fam.) bestialità, controsenso, follia, idiozia, nonsenso, paradosso, sciocchezza, stramberia, stupidaggine.

La cosa più interessante è che ormai non ci facciamo più caso. Siamo talmente bombardati da cose assurde che ci sembrano quasi intelligenti. Potrei fare una lista impressionante di assurdità che ci vengono ripetute, e che noi ripetiamo come lobotomizzati, soltanto perché lo si dice, lo dicono, e dev’essere così. Ma è assurdo! Ah… davvero? Non lo so, se lo dicono, se si dice, se è così non può essere assurdo, ci dev’essere almeno qualcosa di intelligente anche se non è così evidente… no?

NO!

Una cosa assurda rimane assurda anche se tutto il mondo pensa che non lo sia. Il buonsenso che abbiamo preso a martellate per secoli non ha neppure più la forza di alzare la testa per ricordarci che esiste, lo abbiamo detronizzato e lui s’è arreso. E così l’assurdo ha preso il controllo, le bestialità si sono allargate, e noi non ci facciamo più caso o se lo facciamo dura al massimo due secondi e poi passiamo oltre.

Quello che ancora non abbiamo realizzato, sarebbe ora di farlo ma non è che certe cose accadono con una randellata in testa – sfortunatamente, è che assurdità + assurdità = assurdità (n)  e questo è sempre sinonimo di disastro. So che si fa fatica ad ammettere di stare pensando delle assurdità, ma riprendiamo il controllo sant’Iddio! Adesso! Subito!

Quando qualcuno sta dicendo una bestialità (o la sta facendo) è nostro dovere bloccarci e farglielo presente: quello che stai dicendo è assurdo. Punto e basta. Non serve discutere, spiegare per far comprendere, non serve, ma dirlo potrebbe essere utile. Senza neppure incazzarti, soltanto lo dici: sei assurdo. Stop.

Io lo faccio. Non ho molti amici, ma almeno non sono circondata da folli imbecilli privi di buonsenso. Amen.

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(268) Umanità

In generale, tutta insieme mi fa paura. La evito proprio. Tutta insieme è troppa, diventa una minaccia anche se c’è aria di festa. Non lo so, sarò stata traumatizzata dalle volte in cui mi sono trovata schiacciata tra la folla senza poter respirare (concerti). Quindi resto ben distante dalle situazioni dove l’Umanità può avere la meglio su di me.

Eppure, quella che esce dagli Esseri Umani in situazioni di incontro one-to-one è ancora fonte di grande fascinazione per me. Entrare in sintonia con chi ho di fronte per trovare il modo di comunicare a un livello più profondo, quasi viscerale, credo sia la sola possibilità per vivere il legame. Può durare un’ora o solo dieci secondi, a volte non servono neppure le parole, basta uno sguardo, basta un tocco, basta un nulla perché il varco si apra e avvenga l’incontro.

Essere Umano che incontra Essere Umano.

Tutto molto semplice, molto naturale, molto… molto. Sono assolutamente fortunata perché mi capita spesso, molto fortunata perché il programma che era nato senza altro pensiero se non quello di immortalare quei momenti delicati e intensi continua a darmi ragione. Ormai non dubito più.

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(267) Gal

Ce l’ho tatuato sul polso destro. Non sapevo il suo significato, ho scelto due simboli che per me sono importantissimi per quello che contengono e ho scoperto solo dopo anni che quelle due lettere formano una parola e quella parola significa: onda.

M’è andata bene. Poteva esserci di tutto lì sotto, di tutto. Mi vengono i brividi se ci penso.

Fatto sta che quest’onda che mi guarda dal mio polso, in modo piuttosto elegante e misterioso, sembra parlarmi. Mi ricorda che l’acqua è l’elemento da cui proveniamo, di cui siamo fatti, da cui dobbiamo imparare.

L’onda arriva e si ritrae portandosi addosso la sua musica, la senti anche se ti tappi le orecchie. L’onda ti trasporta o ti ostacola. L’onda si solleva e ti sovrasta, se è di buonumore ti culla. L’onda sul mio polso ha un suono straniero: Gal.

Lo ripeto: m’è proprio andata bene.

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(266) Esplosioni

Parlare oggi di esplosioni mette a disagio. Fa pensare a quelle che ti cadono addosso e ti fanno finire al Creatore senza che tu abbia colpe da espiare o logica in grado di capire. Metterlo come tag mi fa sentire come una iena ridens che si nutre di carogne.

Eppure, più ci pensavo e più dovevo parlarne perché nella mia vita ce ne sono state talmente tante che forse se ora do loro una qualche forma queste si chetano un po’ e mi lasciano respirare.

Tu stai lì e già fai fatica a starci perché è sempre troppo quello che devi gestire e… qualcosa ti esplode. Dentro o fuori, non fa differenza. Non è che puoi far finta di niente, ti giri dall’altra parte e alzi le spalle. Un’esplosione ti sconvolge anche se è minima, anche se la senti solo tu, anche se il buonsenso ti dice di fregartene, anche se i danni non sono così evidenti…

Un’esplosione ti sconvolge.

La dinamica, però, ha chiaro in sé ogni passaggio: un’origine, un’alimentazione silente, una miccia d’accensione, lo scoppio e la raccolta dei cocci. E certe esplosioni lasciano pezzettini sparsi davvero belli, li guardi e pensi “Toh!” sembra di stare a Disneyworld. No, non sono pro-esplosioni, ma so – ormai mi è chiaro – che non le posso evitare, neppure quando le sento arrivare. E io le sento arrivare, sempre, ma ho dei riflessi da bradipo ottuagenario.

Attendo rassegnata la prossima————————— eh.

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