(920) Bus

Conoscevo l’ombra di un uomo che saliva sui bus random e scendeva al capolinea. Qualsiasi capolinea fosse lui scendeva. Qualsiasi ora fosse lui scendeva. Non sapeva, spesso, dove si trovasse. Si risvegliava in un altro luogo e in un tempo che non controllava più. 

No, non è una storia inventata, ma potrebbe essere l’incipit di una bella storia. Terribile, ma bella. Questa storia prima o poi la scriverò, ricorderò ancora quell’uomo e la sua ombra e ne farò qualcosa di utile. No, non per lui, forse per me, per liberarmi di quell’ombra e di quell’uomo e forse di tutti gli uomini e di tutte le loro ombre che ancora mi occupano la mente. Quelli reali e quelli no. 

Un bel traffico, lo ammetto e lo constato con una malcelata costernazione. Come si sono potute sommare tutte queste ombre dentro di me? Perché non ci ho fatto caso prima? Consapevolezza, questa sconosciuta. 

I bus che ho preso e da cui sono scesa non li conto più, forse dovrei. Ma ho idea che mi sentirei ancora più vecchia di quel che già mi sento e al momento preferirei non focalizzarmi troppo sulle somme che con il peso mi sotterrerebbero prima del tempo.  Comunque è quello che faccio ancora, prendere e scendere dai bus, penso di non aver fatto altro per tutta la vita in effetti. Che sia un’abitudine o un per-forza-di-cose? Non è quello che facciamo tutti? E le nostre ombre che fanno?

Il dubbio che la mia ombra ormai ne abbia piene le palle di seguirmi mi resta. Specialmente in questo momento. Non so perché ma mi sento più sola. 

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(834) Gregge

Fare i bastian contrari a prescindere è idiota. Se lo fai con un certo criterio e ragioni solide ne possiamo parlare, ma se scopro che i tuoi bla-bla-bla sono aria fritta che mi spari in faccia perché ti pensi originale, bé… ti becchi quel che ti meriti. Scappa che è meglio.

Il gregge ha un suo perché: da soli si è più vulnerabili, insieme si fa massa difficilmente attaccabile. Nel gregge i bastian contrari danno fastidio. Punto.

Il gregge viene guidato da un pastore che ha il compito di prendersi cura di tutte le pecorelle – lo so cosa state pensando, ma non è un discorso religioso. Significa che qualcuno che non è una pecora si prende carico di tutte le pecore e fa in modo che vivano onorevolmente finché si può (to be continued).

Il gregge nel suo interno contiene teste matte e teste ordinarie, non è che tutte le pecore sono uguali. Eppure un certo equilibrio lo trovano. Sono piuttosto intelligenti le pecore, hanno comunque un ego per nulla ingombrante. In poche parole: il gregge è il gregge, le pecore sono pecore. Noi, credo, possiamo ambire ad altro. Credo.

Se da soli, noi uomini, siamo comunque più vulnerabili è pur vero che fare massa soltanto per non essere attaccati è da vigliacchi.

Scegliersi un pastore che non diventi il tuo carnefice, inoltre, potrebbe essere cosa alla nostra portata, basta far girare un po’ i neuroni e una alternativa la si trova.

Certe teste matte potrebbero pure restare matte se la smettessero di esserlo a spese delle altre teste. Neppure noi uomini siamo tutti uguali, non siamo costretti a sceglierci un gregge, possiamo imparare a autoproteggerci senza essere costretti a consegnarci a un padrone. No, non siamo pecore.

Resta il fatto che essere uomini comporta un certo rischio, una certa fatica, un certo marasma d’animo e che una pecora se la vive in modo decisamente più sereno. Vorrei ricordare però che le pecore vengono macellate e deprivate del loro manto. Ergo: a ognuno la sua croce.

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(766) Uomini

Perché parlare non basta, sono i fatti che dimostrano chi sei. Quando il dubbio su chi sia il migliore neppure ti sfiora, la gentilezza si spande soffice e uniforme senza squilli di trombe. Non ci sono sguardi stonati, non ci sono imposizioni. Nessun sottomesso e nessun padrone. Che a scriverlo sembra fantascienza, vero?

Non nasci per servire qualcuno, neppure l’uomo che hai scelto di accompagnare. E se tu accompagni lui, lui accompagna te.

L’ascolto segue binari fluidi, forse ritmi diversi e tonalità che fanno da contrasto, ma non è guerra, potrebbe piuttosto essere un concerto strampalato. Che quando si è in due a suonare, anche fosse la stessa canzone, qualche nota dallo spartito può scappare e se ritorna la si risuona meglio, più sicura, basta volere un’altra occasione.

Quando si sbaglia si chiede scusa, non perché la pensiamo diversamente però. Non ci si scusa per ciò in cui si crede, si spera, si sogna.

Gli uomini, quelli che vorresti incontrare, sono quelli che sanno chiedere pronti a ricevere risposte che non si aspettano eppure accettano perché nient’altro saprebbero fare se non comprendere. Sono quelli che non si fanno intrattenere  per non pensare, sanno condividere per approfondire quel che serve e capire meglio quello che non conoscono. Senza paura, senza inganno.

Noi donne amiamo volentieri anche gli uomini che dicono di non voler essere amati perché raramente ci fermiamo alla superficie. Le cose dette volano via nell’istante in cui si aprono al suono, i fatti si posano – per rimanere – sulle Persone e sulle Cose e sulla Vita e sulla Morte. Anche sull’Amore.

Soprattutto sull’Amore.

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(323) Inviolabile

Degno di massimo rispetto, ovvero sacro. Ciò che è inviolabile lo è per diritto naturale, lo è non perché frutto di un’opinione o di una moda o dell’estro di qualcuno. Lo è perché così deve essere.

Il diritto all’inviolabilità non si compra, non si mercanteggia, non si svende, non si mendica, non si regala e non si concede.

A noi questa cosa dà un fastidio ancestrale, ci opponiamo con tutte le nostre forze a ogni cosa che ci para di fronte questo stato d’essere inviolabile. Reagiamo con violenza, perpetriamo il sopruso perché l’inviolabilità ci disarma, ci fa sentire piccoli e insignificanti. E lo siamo. Di fronte al diritto naturale di Essere siamo ridicolmente inadeguati.

La vita è inviolabile. E noi appena ne scorgiamo la luce facciamo del nostro meglio per spegnerla. Calpestiamo l’inviolabilità perché pensiamo che in questo modo scomparirà, perderà di significato. Non è così. Lei rimane, perdura, persiste, granitica e magnifica.

Se facessimo come gli aborigeni, decretando l’inviolabilità dei nostri Luoghi ci renderemmo conto che non serve alzare la voce davanti al Sacro, ma alzare le braccia sì. E se alziamo anche gli occhi al Cielo il gesto si completerà.

Tu prova ad alzare le braccia e gli occhi al Cielo e al contempo impedirti di sorridere. Prova. Ci riesci? Io no.

 

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