(417) Dopo

Dopo c’è il calo d’adrenalina, il crollo della resistenza, la lobotomia. Ti sembra quasi che non riuscirai mai più a pensare di nuovo. Ti domandi come potrai cavartela, ma non ti interessa la risposta. Vuoi solo fare armi e bagagli e andartene in Tibet dove nessuno ti conosce. Sette anni? Di più.

Dopo c’è il feedback, che è sempre un tasto dolente e andare in Tibet sembra sempre più una buona idea.

Dopo c’è la presa di coscienza che poteva andare anche peggio, che hai dato il meglio di te e che alla fine l’hai spuntata tu. Ancora una volta. Non sono salti di gioia, perché la gioia è un’altra cosa, ma è sollievo. E il sollievo può essere una cosa ancora più rara e preziosa della gioia. Almeno in certi casi. Almeno in questo mio caso.

Dopo gli applausi e dopo che le luci si sono spente, ti aspetti un po’ di riposo. Nel senso che lo avevi proprio programmato, che è tuo per diritto, e lo sai tu  e lo sanno tutti, ma la notte dormi poco e male e al mattino inzia il nuovo giorno.

Dopo pensi che ne valeva la pena, dopo pensi che ne valeva la pena, dopo pensi che ne valeva la pena.

Allora ti accorgi che hai ricominciato a pensare e anche se non ti sai ancora spiegare come te la caverai, almeno saluti i tuoi due neuroni con una pacca amichevole perché sempre da lì devi ricominciare. Sempre da te.

Qui o in Tibet non fa differenza. Sette anni o mille, neppure. Rassegnati.

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