(1077) Potere

Chi vuole può. Questa regola non scritta dovrebbe essere la prima lezione da imparare, eppure ci vuole una vita (se va dritta) per capirne la portata. 

Oggi mi chiedo se sia davvero così. In linea di massima ci ho sempre creduto, ma forse mai del tutto. Convinta a metà. Forse è per questo che mi funziona a fasi alterne? Forse è un incantesimo che per rendersi efficace e dirompente deve partire da enormi presupposti di fede. Manco di fede, evidentemente.

[ecco, il post potrebbe tranquillamente finire qui, non ho altro da dire, la mia constatazione amara non mi porta altrove bensì dentro sé stessa – dove non ci sono risposte o nuove domande, dove lo stallo è reale, dove la voglia di uscirne e ridotta a zero – quindi perché non termino il post esattamente in questo preciso istante? Non lo so… le mani non si vogliono staccare dalla tastiera e forse hanno altro da aggiungere che non parte dalla testa… no, vabbé, come non detto, questo resterà il post più breve della storia dei ***Giorni Così***… perché no? Certe regole possono anche essere bypassate a volte… regole? Ma quali regole? Mah… ]

 

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(1054) Inesploso

Calma apparente. Tutto perfetto in superficie e da qualche parte nelle viscere c’è un countdown che provocherà un disastro. Solitamente i disastri succedono così. Ce lo dice la cronaca nera, ce lo dicono i crolli dei ghiacciai nell’Artico e lo sappiamo anche noi perché ognuno di noi sente il proprio conto alla rovescia senza sapere da che parte prendere la bomba. Vero?

Allora due opzioni interessanti ci si aprono davanti:  la numero uno prevede che anticipiamo il botto e facciamo quello che sentiqmo di dover fare, vada come vada; la numero due ci fa nascondere la testa sotto la sabbia mentre ci prepariamo alla deflagrazione e chi s’è visto s’è visto.

Una cosa è certa: l’inesploso, prima o poi, esploderà. Sta a noi maneggiarci come meglio crediamo e sta a noi prenderci in carico tutte le conseguenze del caso.

Le cose che non diciamo e che dovremmo dire, le cose che non facciamo e che dovremmo fare, le decisioni che rimandiamo, i desideri che bruciamo, le occasioni che lasciamo andare… mica penseremo di passarla liscia vero? Sono tutte lì che contano al rovescio e quel tic-tac ci martella le tempie e sovrasta anche il battito del nostro cuore. Resistere è inutile.

Se diciamo quando dobbiamo dire, facciamo quando dobbiamo fare, decidiamo prima che sia troppo tardi, curiamo i nostri desideri per farli realizzare, prendiamo al volo le occasioni che ci fanno vibrare anche se ci sono dei rischi da correre – ma alla fine che sarà mai? – forse, dico forse, anticipiamo il disastro e pilotiamo gli eventi per il meglio. Per noi, per tutti.

La calma apparente è paurosa, sussurra cose tremende, vero? Ecco, teniamo presente quel tic-tac laggiù in fondo e vediamo di farne qualcosa di utile, qualcosa di buono, qualcosa di coraggioso, qualcosa che ci renderà orgogliosi di esserci e di non esserci tirati indietro soprattutto. Non stavolta. Non adesso.

Tic-tac

tic-tac

tic-tac

(…)

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(1047) Noia

Davanti a me ho una pila di libri che devo leggere. Devo leggere perché l’ho deciso io, quindi non me la posso prendere con nessuno. Davanti a me ho anche il mio benamato Kindle che contiene almeno duecento ebook dagli argomenti più disparati e superinteressanti che ancora non ho letto, scelti e comprati dalla sottoscritta che si prende ogni responsabilità del caso.

Per leggere tutto avrei bisogno di almeno tre vite oltre a questa che sto vivendo.

Ho almeno una ventina di articoli che devo scrivere (perché lo voglio fare io, ovvio) per il mio sito e ho tre storie (significa tre romanzi lunghi) che non mi lasciano in pace e mi chiedono di uscire dalla testa. No, essere me non è semplice.

In tutto questo, le mie giornate si riempiono di progetti, pensieri, opere e giri su me stessa per capire dove andare e cosa fare per prima. E ho almeno una ventina di film che voglio vedere e altrettanti che voglio rivedere. Poi ci sono le due nuove attività di cui parlavo qualche post fa che voglio introdurre nella mia vita e la prima di queste ormai è già pronta e da domani si comincia!

Insomma: sono sempre stata così. Ormai so che faccio così di continuo, senza posa, sempre. E se per caso mi viene la febbre e non ho voglia di fare niente mi sembra che il mondo mi cadrà sopra seppellendomi viva perché inattiva e impegnata a piangermi addosso. Sì, essere me non è semplice.

Il paradosso? Eccolo: sono talmente annoiata di essere me che chiamerei un walk-in qualsiasi per farmi divertire in qualsiasi modo io non conosca. Pensa un po’ come sono messa.

È quasi la metà di agosto, fa un caldo porco, il sole preso oggi mi ha fatto alzare la temperatura corporea di mille gradi e… ora mi guardo un film.

Cia’

 

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(1031) Scollamento

Per la maggior parte del tempo abbiamo la consapevolezza di essere un pezzo unico. Corpo + mente + cuore = Persona Intera. Non fa una piega. 

Ci sono dei momenti, però, dove fatalmente ci si scolla e ci si scopre essere fatti di brandelli messi insieme, anche bene perlamordelcielo, ma che possono volersi staccare quando le condizioni spingono-tirano-premono-squassano. Mai capitato?

Il corpo va da una parte, la testa dall’altra, il cuore tace.

Oppure: il cuore è in tachicardia dura, il corpo non risponde, la testa pensa che i pisellini della Findus son ben più teneri di quelli freschi. 

Cose assure, surreali.

Ai momenti di piena compattezza, dove si va avanti con grande presenza e si affronta la giornata come se fossimo posseduti dallo spirito di Gandalf e oggettivamente saremmo capaci di conquistare il mondo terracqueo, a quelli dove ogni pezzo di cui siamo composti si fa i cazzi propri e non c’è verso di farli comunicare.

L’unica è dormire. No, davvero, bisogna soltanto raggiungere un posto al sicuro, stendersi su un materasso morbido e dormire. Dormire a lungo, ostinatamente, come se niente fosse più importante al mondo.

In realtà è proprio così. Perché se non stiamo incollati e ci scappiamo da tutte le parti, come possiamo affrontare il mondo che ci vuole fare a pezzi?

Non possiamo. Quindi: buon riposo e… spegnete la luce.

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(1016) Sogno

Nella nostra testa è tutto perfetto. Si chiama sogno. 

Ti immagini una situazione, ti immagini una persona, ti immagini un risultato. Costruisci il tuo sogno con dettagli che vanno a colmare ogni vuoto, ogni mancanza, ogni stortura. Perfetto. Nella nostra testa. Perfetto.

Nella realtà è il Caos. Si chiama proprio così: il Caos della Realtà. Che non è fantasioso, ma non ha niente a che vedere con la fantasia quindi pretenderlo è da idioti. La realtà è una mescolanza di variabili, incidenti e dio-solo-sa-che-diavolo che rende qualsiasi possibilità di sogno un disastro. Anche andasse tutto bene, ma proprio tutto alla grande, quando lo viviamo manca sempre qualcosa. È sempre meno bello di come sarebbe se fosse solo nella nostra testa. Manca di perfezione. 

Cosa facciamo? Lo buttiamo? Soltanto perché non è perfetto? Eh.

Quindi crescendo si impara a mettercela via, male che vada possiamo sempre rintanarci nella nostra testa e raccontarci il film perfetto che vogliamo. Quali sono le conseguenze? Eh. Lo sappiamo quali sono, anche se non lo vogliamo ammettere perché ci rode: lo scollamento. 

In poche parole, noi Esseri Umani siamo un branco di disadattati allo stato brado. Il Caos è questo. 

Cosa facciamo? Ci buttiamo via soltanto perché non siamo perfetti? Eh.

È come cavalcare un purosangue: ti immagini la perfetta simbiosi con il potente equino che sarai in grado di gestire e domare e ti ritrovi disarcionato steso a terra. Poteva essere la cavalcata della tua vita, poteva, lo era nella tua testa. 

Io stamattina ho in mente un sogno, una cosa che in tre-quattro passi posso realizzare, e lo realizzerò entro domani. Una cosa da nulla, ma alimenta quell’ambizione di perfezione che mi divora l’Anima. Ripeto, una cosa da poco, una cosa che ha significato soltanto per me, una cosa che una volta che la butterò fuori dalla mia testa potrebbe risultare ridicola. 

Ma che faccio? La butto soltanto perché rischia di essere un fallimento? Eh. Il fallimento, arrivata a questo punto, è un dettaglio. Il sogno ha vinto. 

Inshallah.

 

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(994) Effettivamente

Ok, sto giocando sporco sono passata agli avverbi. Quelli che non servono a niente, in pratica, se non a prendere tempo. È che proprio non riuscivo a trovare un titolo al post che non avessi già usato. Perdonatemi, ma mi rendo conto che mi stanno mancando le cartucce. 

Il pensiero di oggi è (in breve): effettivamente non si può mai sapere

Sembra una stupidata, ma fateci caso, ripetetevela più volte a bassa voce: effettivamente non si può mai sapere. Ancora una volta, come se fosse un mantra: EFFETTIVAMENTE-NON-SI-PUÒ-MAI-SAPERE-EFFETTIVAMENTE-NON-SI-PUÒ-MAI-SAPERE…

Mettiamocela via perché è proprio così. Anche quando sei sicuro che quella cosa lì è così, che non cambia, che è la stessa ecc… effettivamente non lo puoi davvero dare per scontato. Soltanto il tempo ti potrà dare torto o ragione, a prescindere dalle previsioni che ti sei fatto. Quante volte ci è successo? Troppe. Quante volte la questione ci ha sorpreso? Sempre. Perché abbiamo la memoria di Dory, non se ne esce. Facciamo esperienza e resettiamo la memoria. E ci stupiamo. Come fosse la prima volta che ci capita. Ma saremo scemi?

Se siamo affetti da cinismo cronico, invece, ci ripetiamo che effettivamente-già-lo-so-come-andrà-a-finire e, per non darci torto, agiamo in modo che la realtà ci sostenga nella disgrazia. Guai a chi cede all’ottimismo, siamo matti?!

Quindi questo avverbio che sembrava inutile, o per lo meno innocuo, si va a scoprire che potrebbe cambiarci la vita. A seconda che lo si usi in positivo (per accogliere con stupore le piccole sorprese della vita) o che lo si usi in negativo (per dare conferma ai nostri più cupi presagi), effettivamente le cose cambiano. Dentro la nostra testa, innanzitutto, e nel nostro agire. Effettivamente può cambiare tutto.

È vero che tutto è relativo, ma è anche vero che la casualità gioca un ruolo marginale quando si tratta di Esseri Viventi, e rileggiamoci ogni tanto La Profezia di Celestino perdio!

E poi, ci rendiamo conto di quanto può fare un solo avverbio?

Ve lo dico: gli avverbi hanno un potere che manco Dio se l’era immaginato quando li ha messi in terra. Provate a usarli meglio e scoprirete che un senso ‘sto post ce l’ha. 

Effettivamente…

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(980) Fissa

Ti metti al volante e prendi il controllo del tuo mezzo. Sai quando cambiare le marce, lo senti dalla voce del motore, sai come prendere le curve, sai quando dare gas e quando scalare. Lo sai, lo hai imparato. Lo sai fare. Anche discretamente.

Poi arriva il giorno in cui non senti bene, perdi colpi, pensi di essere in quarta e sei in terza (e chissà per quanto sei lì a tirare fino allo spasmo quella povera auto), e prendi male una curva (che per poco finisci fuori strada) e al semaforo dai poco gas e ti muore il motore. Cosa diavolo ti sta succedendo?

Basta una giornata storta, dove sei fuori tono e viaggi altrove con la testa e il cuore chissà dov’è andato e il corpo fa quello che può per starti appresso, anche se è difficile starti appresso e non puoi biasimarlo. Basta una giornata storta e ti sembra di valere la metà di quello che valevi. Ti sembra che prima eri e ora non sei più. E il resto del mondo ti dice che sei la stessa e che non è il caso di prenderla così male. Ma a te sembra che non sei più quella, sembra che qualcosa sia andato fuori posto decisamente per sempre. Ti sembra ma non hai prove in mano, hai solo quella maledetta sensazione. Soltanto perché il dubbio si è infilato nella tua testa e non riesci a metterlo da parte.

Come si fa a ritornare come prima? Ma prima quando? Prima. Quando ero quella che ero. Ma com’eri prima? Ero diversa, migliore. Migliore come? Ero più viva, ero più viva. Forse prima avevi più vita, ora ne hai di meno e forse te ne occupi in modo diverso… forse prima ti mangiavi il mondo perché non sapevi le conseguenze della bulimia, forse ora scegli le tue pietanze e le assapori meglio… forse prima guidavi una Lamborghini che ti sembrava uno Shuttle e ora con la bicicletta vai più lenta, però almeno ti sei accorta di quanto paesaggio ti vive attorno.

Sì, ma prima era meglio. Prima ero più viva. 

[quando mi fisso su un dubbio non ce n’è per nessuno]

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(973) Stormo

Uno stormo fa effetto. Quelli belli diventano nastro o nuvola o fuoco d’artificio che quando esplode sfarfalla. Quando si posa uno stormo sui rami degli alberi sembra di stare dentro il film di Hitchcock, un brivido ti scorre. E il casino? Indicibile. Mille e mille voci squillanti che si dicono chissà che cosa e ti immagini che si stiano mettendo d’accordo per attaccarti insieme senza pietà. 

Uno stormo è fatto di tanti cuori, fatti ognuno a modo suo se lo stormo è umano.

Volare in stormo ti dà una certa sicurezza, sei meno attaccabile e meno individuabile come singolo. Ti puoi nascondere bene. E nel contempo ti senti invincibile. Questo fa uno stormo, ti rende temibile agli occhi di chi vola in solitaria. Ma uno stormo può esplodere. Basta che uno o due si dimenino un po’ di più e già la compattezza va a farsi friggere. Non è semplice stare in stormo, ci sono dei precisi segnali da seguire, non puoi fare di testa tua. E se non hai voglia di volare, ma l’ordine è quello, non puoi fare altro che sbattere le alucce e volare.

Cosa voglio dire? Niente. È una riflessione come le altre, le mie solite, che mi porta qui o lì per vedere se c’è qualcosa di più di quello che sospetto. E c’è sempre. Arrivata a questo punto penso che la compattezza di uno stormo denunci una debolezza dei singoli. Da soli volerebbero insicuri, disorientati, vulnerabili. Da soli si perderebbero. Da soli andrebbero a sbattere contro muri che conoscono o immaginano soltanto, ma che comunque temono. Da soli sarebbero vittime di predatori, reali o di fantasia, che in stormo pensano di poter vincere. 

Chi vola sicuro e sereno da solo si accompagna volentieri, di tanto in tanto, ad altri compagni di viaggi e magari si unisce a uno stormo per divertirsi un po’, per farsi solidali e resistere a certi attacchi, ma non ha bisogno di uno stormo per sentirsi invincibile. Sa di non esserlo mai. Basta un niente per volare giù e sfracellarsi al suolo. 

Chi vola da solo sa che è da solo che deve saper volare. Lo stormo è la famiglia a cui guardare e a cui tornare, non è il motivo per sentirsi superiore né intoccabile. 

Volare da solo è una conquista di pochi. Bisognerebbe almeno provarci, però, perché ridimensiona tutto.

 

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(960) Pendenza

Presente quando cerchi di stare dritta ma ti senti un pesetto da niente dentro che scivola e impercettibilmente e inesorabilmente si presenta quella pendenza da niente che fa slittare da un lato o l’altro un sacco di roba che pensavi magari di aver buttato e invece no? Presente? Ecco.

Ce la metto tutta e tenere impilate le cose lì, in ordine. Basta un niente, ma proprio un niente, e un peso minuscolo si sposta. Da lì so che è solo questione di qualche secondo e sbotto.

Si dice “pendere da una parte o dall’altra”, non si può pendere in su o in giù. È già qualcosa… eh.

Faccio fatica a scrivere stasera, scrivere in pendenza non è mica facile… eh.

Faccio anche fatica a pensare, i neuroni si sono spostati da un lato appesantendomi la testa che sta piegando il collo… eh.

Ho idea che mi sveglierò domani mattina con una cervicale da paura, e domani è venerdì, e domani è un giorno impegnativo, e domani tra poco è qui.

Quindi…

Niente. Quindi niente.

‘notte.

 

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(942) Stallo

Calma piatta. E questo mi fa innervosire all’inverosimile perché so che è preludio di qualcosa e so che quel qualcosa potrebbe non piacermi. Al terzo giorno (sa di biblico, lo so, ma non ci posso fare nulla è così) il nervoso diventa incazzatura perché ogni atomo utile di creatività se n’è andato a quel paese sbattendo la porta e senza salutare. Dovrei stare calma, ci sono già passata. E invece no.

Mi sento la più miserabile anima di questa terra, senza alcuna speranza di elevarmi a creatura meritevole di compassione da qui all’Eternità (e l’Eternità può durare un sacco di tempo, lo sappiamo tutti).

Non piango, non parlo, non do segni di vita. Solo mi incazzo ancora di più. E la calma piatta si è ormai trasformata in stallo. Grande. Enorme. E-N-O-R-M-E. E non è che ho voglia di parlarne, non è che ho voglia di sviscerare la questione, non è che ho voglia di incontrare gente e fare cose. Voglio solo dormire. Dormire in un oblìo total black, che sta bene su tutto e comunque slancia.

Mentre dormo, molto probabilmente, gli incubi proliferano facendomi alzare al mattino con un mal di testa epocale e le ossa rotte. L’umore non migliora di certo in queste condizioni, e chiunque mi si avvicini rischia la vita. Sono arrivata all’ultimo stadio, chiamato: il-mondo-non-mi-merita.

Badate bene, potrebbe sembrare una cosa orrenda, ma è il segno che qualcosa sta per sbloccarsi. Parte con la presa di coscienza che il mio genio non sia riconosciuto da questa società pusillanime e quindi è inutile che io mi prodighi per aiutare il mondo a fare un salto quantico. Tutto inutile e anche doloroso.

Ripeto: sembra orrendo come sentimento, ma non lo è del tutto. Ovvio che non ci credo, però è un modo per buttare fuori l’incazzatura. Ok? Ognuno c’ha il suo, io ho questo (che è meglio che tirare pugni in faccia al primo che capita). A questo punto della storia mi metto davanti a un foglio con i miei pennarelli e duemila penne diverse (tutte nere e viola, ma diverse per tratto e sfumature) e butto giù quello che per giorni ha intasato le mie sinapsi esaurite. Tutto. Tutto quanto.

Dopo due/tre ore di lavoro forsennato e benedetto, come se non ci fosse un domani, alzo la testa e penso che questo è un mondo meraviglioso in cui vivere. Un mondo dove pennarelli e penne e carta e pensieri possono trovare una via per congiungersi e lasciare traccia di sé.

Lo so, sono pazza. Però anche ‘sto giro ho superato lo stallo.

Daje.

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(878) Genio

Non sono nata genio, ma lo so riconoscere quando lo incontro. Anche per questo ci vuole un certo genio, concedetemelo.

Mi va a genio, generalmente, chi mi guarda negli occhi riconoscendomi come essere pensante – no non è cosa ovvia – e sa ascoltare anche quando dico cose noiose (succede raramente, ma succede) (detto con una certa ironia, ovviamente).

Mi vanno a genio i libri che mi fanno scoprire il mondo – no non lo fanno tutti – e quelli che mi fanno scoprire piccoli pezzettini di me che ancora non avevo focalizzato per bene.

Mi va a genio chi sorride per darti il benvenuto, chi ti offre da bere solo per poter trascorrere del tempo con te e nient’altro. 

Mi vanno a genio le mug perché non sono tutte uguali, anche se tutte nascono con la stessa funzione. Caffè, tè, me? (cit. Una donna in carriera – film)

Mi vanno a genio le noci brasiliane, i frutti rossi, le candele e gli incensi, lo smalto per unghie, il chinotto, le mappe mentali, gli abbracci sinceri, le corse in bicicletta nella mia pianura/campagna natìa, il mare…

Mi piacciono le persone geniali, ma solo quelle che non sanno di esserlo. L’umiltà colma certi vuoti d’anima delle menti troppo illuminate. Perché anche essere troppo illuminati non è che sia proprio il massimo (secondo me, e non parlo per invidia). Mi piacciono di più, però, le persone di cuore. Quelle superano il genio perché hanno capito cosa significa amare.

In tutto questo vorrei che ci fosse un senso, ma non sono giorni sensati questi per me, sono giorni scoperti, dove gli appigli scivolano via e il rotolare mi fa cadere la testa. Vorrei essere più forte. Più saggia. Anzi, geniale. Magari riuscirei a risolvere questa vita-rebus che mi supplica di essere risolta.

Eh. Mica è cattiveria. Sono soltanto limitata. Maledizione.

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(864) Musical

Nel bel mezzo della scena parte la musica e – zaaaaak – occhio di bue su di te mentre spieghi al mondo, cantando ovviamente, cosa ti passa per la testa e come stanno andando le cose. Il mondo a quel punto non può fare finta di nulla, ti deve per forza dare retta e tu gliela dici tutta, come dovrebbe essere sempre, finché l’ultima nota non si spegne e con un ultimo acuto dell’ostrega si spegne anche l’occhio di bue e si ritorna alla normalità. Così dovrebbe essere anche nella vita reale. Una sospensione dove puoi cantare quel diavolo-che-ti-pare e poi, quando hai finito, si riprende la normalità.

Immaginiamo che fosse veramente così, che funzionasse in questo modo, io starei sempre lì a cantare e ballare. In pratica non farei altro. Non ci arriverei neppure al secondo atto, schiatterei prima.

Ecco, in certi momenti della mia giornata però vorrei davvero poter fare ‘sto benedetto fermo immagine per mettermi a cantare a tutti quello che si meritano. Nel bene e nel male, neh. Che ne so: sono in coda alla cassa del supermercato, finisce il rotolo della carta-scontrini e la fila si blocca. No problem, parte la musica (un bel Rockabilly stile Stray Cats) e con un balletto saltato di cassa in cassa si passa il tempo finché la fila si sblocca. Sarebbe divertente no? Potrebbe succedere nel bel mezzo di una discussione, o di una riunione importante, o di un incontro imbarazzante… millemilamodi si possono trovare per infilarci dentro un inframmezzo musicale. Basta averne voglia. Perché no?

Ok, anche se sembra un po’ estrema ‘sta cosa volevo confessarla perché è sempre stato un mio sogno. Mi piacerebbe che qualche volta la vita fosse come un film. Un musical, anzi. E che ballare e cantare quello che ci sta attraversando dentro fosse normale, fosse il modo per comunicare agli altri quello che dovrebbe uscire allo scoperto prima di farci implodere malamente. Ci sarebbe un po’ di caos in più, vero, ma il morale ne gioverebbe parecchio.

Comunque è giusto dirlo: nonostante non sia così con tutto il casino che facciamo è sempre difficile capire cosa ci capita dentro, figuriamoci capire al volo cosa capita dentro agli altri. E qui ce ne sarebbero di cose da dire.

Stacco musicale.

(…)

 

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(823) Puntine

Siamo arrivati a quel punto dell’anno (la fine) dedicato al tirare le somme. Davanti a me ho – proprio fisicamente – un pannello di polistirolo bianco e in mano una bella quantità di puntine. Andrò nelle prossime righe a scrivere tutte le cose che le puntine fisseranno sul pannello (che è il mio 2018). Siamo pronti? Via!

Il buono del mio 2018:

  • la mia famiglia
  • i miei amici
  • il mio lavoro
  • la mia salute (che sto recuperando)
  • il mio amor proprio (che sto recuperando)
  • la mia voglia di scoprire, conoscere, imparare (che non si ferma mai)
  • i miei progetti (ben lungi dall’essersi esauriti)
  • le mie sconfitte e le mie piccole vittorie
  • il mio esserci senza sconti (croce e delizia di chi mi sta attorno)

Tutto questo è il malloppo che nel 2018 ho mantenuto e accresciuto e che sono intenzionata a portarmi anche nel 2019. Perché è facile dire ora che l’anno appena trascorso è stato un delirio – e lo è stato senza il minimo dubbio –  bisognerebbe anche avere il coraggio di nominare il delirio pezzo dopo pezzo per capire se ne è valsa la pena. Direi, nel mio caso, sì. La fatica, le incazzature, i buchi nell’acqua, gli scivoloni, le botte in testa e quelle all’orgoglio, le cantonate, le speranze spezzate, le illusioni polverizzate: ne valeva la pena.

E non è che adesso io pensi che il 2019 sarà tanto diverso dal suo predecessore… ne sarà la giusta conseguenza: una serie di cunette, muri, precipizi a non finire. Perché è sempre stato così per me e sto iniziando a pensare che è così per tutti, quindi perché lamentarsi?

La cosa migliore di quest’anno, che ormai è quello vecchio, è che ha saputo cambiarmi. A differenza di altri suoi colleghi, che in passato ci hanno provato – santocielo se ci hanno provato – ma che hanno anche fallito miseramente, questo 2018 mi ha messa davanti a me stessa e mi ha urlato: “Ti svegli o no?!”. Ecco, non sarà stato molto carino, né tantomeno gentile, ma l’ho trovato appropriato e del tutto efficace. Pur di farlo smettere di gridare come un ossesso ho iniziato a fare in modo diverso, addirittura a pensarmi in modo diverso da come mi pensavo. Ho proprio provato a pensare di me qualcosa d’altro. Non necessariamente migliore, ma ho varcato certi confini che prima neppure vedevo. Non so come spiegarlo, so che ha funzionato. Ho cambiato idea su me stessa. Già a scriverlo mi fa paura, accorgermi che è la pura verità mi fa tremare le gambe. E adesso come farò?

Boh. Sono certa che il 2019 avrà le risposte che merito. E si salvi chi può!

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(812) Nido

Non è ovvio, il tuo nido potresti averlo ben lontano dalla tua terra d’origine – quella che ti porti dentro intendo, non necessariamente quella reale – e ritornarci per trovare riparo potrebbe non essere così facile. Ci si può far stritolare da una struggente nostalgia che non sempre trova ragioni nella ragione. Siamo esseri strani noi umani, mente e cuore seguono logiche diverse e contrastanti spesso.

Credo di essere fortunata per aver un nido, credo questa fortuna dovrebbe appartenere e chiunque. Ci sarebbe meno rabbia in giro, più comprensione.

In queste ultime ventiquattro ore ho attraversato talmente tanti stati d’animo diversi che mi sento ubriaca. Eppure lucida. Com’è possibile? Eh, il contrasto è parte integrante di tutto quello che faccio, figuriamoci di quello che penso. E quando dico ubriaca e quando dico lucida, semplicemente, dico di me. Perché le affermazioni autoreferenziali, le asserzioni ego-riferite, mi divertono parecchio. Fanno scatenare reazioni interessanti in chi mi sta attorno. Ormai, però, non le condivido volentieri, mi sono stancata anche di suscitare reazioni interessanti. Mi viene l’istinto di affermare/asserire, ma mi censuro.

Sembra folle, ma se si entra in questa logica si scoprono molti angoli interessanti del nostro cerebro che non credevamo di avere. Sorpresa!

Per farla breve, avendo un nido, tutto lo stordimento va a combaciare con la lucidità quando si ritorna al proprio rifugio. Credo che un rifugio serva a questo. A cos’altro sennò? Valuterò tra qualche tempo (fra un anno), se il rifugio che mi sono costruita è stato abbastanza solido da sapermi riparare dal maltempo e dalle bufere della vita. Valuterò dopo, evitando di fasciarmi la testa anzitempo. Cosa piuttosto insolita per me – ovvio sono ubriaca – e bella sfida da affrontare. Se poi mi si chiedesse cosa diavolo significa questo sproloquio di stasera… dovrei appellarmi al mio senso del pudore e rassicurarvi sul fatto che – nonostante tutto, l’apparenza soprattutto – va tutto bene.

Appena il mio cervello se ne accorge lo dirà al cuore e in men che non si dica le cose andranno a posto. Ognuna al proprio posto. Crediamoci.

 

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(802) Data

Lo diamo per scontato, pensiamo che sia facile, invece fissare una data non è mai facile. Mai. Né fissarla in calendario né nella memoria, a meno che non sia segnata prima nella tua carne perché importante per te. Così importante da non potertela dimenticare.

Odiavo studiare storia per la sfilza senza senso di date da imparare a memoria, battaglie e conquiste e sconfitte, ognuna di loro sembrava fondamentale e poi scoprivi che era solo una delle tante e che di lei nessuno se ne faceva più nulla. Andiamo per balzi, fatemene memorizzare un paio per secolo e vedrete che saprò fissarne una ventina senza troppi scompensi neuronali, tranquilli prof. Niente da fare. Insensato.

Le date si fissano e per qualche motivo slittano, come se la superficie su cui le punti fosse cosparsa d’olio. Più ti fissi nel fissarle e più sfuggono al controllo, manco avessero un proprio volere da imporre. Vincono sempre loro, comunque.

La data mi è vitale per tenere conto dei giorni che mi stanno triturando, faccio fatica al mattino a ricordare che giorno è quello che sto per affrontare e vivere, come se nella mia testa ci fosse un giorno ininterrotto dove il presente è un ripetersi di un qualche passato e il futuro sia soltanto un breve passaggio da qui a lì. Boh.

E i lunedì sono come i venerdì, ma più pigri anche se meno stanchi. I martedì hanno poco peso perà sommati al peso dei mercoledì e del giovedì fan venire il mal di schiena. Ecco, la data è un ancoraggio che a volte vorrei togliere per provare a non avere ieri e neppure oggi e figuriamoci domani, avere solo l’adesso e vedere come va. Come potrebbe funzionare?

Forse non funzionerebbe, forse ogni mia data è la ragione per cui ancora sto qui. E scrivo.

Boh.

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(798) Apertura

Si procede a testa bassa, di solito. La testa te la fanno abbassare per forza di cose gli eventi che cadendoti addosso si fanno trasportare da una parte all’altra a tempo indeterminato. Cose che non si risolvono e che per quanto tu faccia non si risolvono e che per quanto tu t’ingegni non si risolvono e che per quanto tu ti incazzi non si risolvono e per quanto tu le gestica in modo-Zen non si risolvono. In poche parole: l’inutilità d’azione e di pensiero. L’annichilimento.

Certo, ci sono dei periodi in cui ‘ste bastarde cose che non si risolvono e che non riesci a risolvere (che non è la stessa cosa, lo sappiamo benissimo) sembrano avere meno peso, sei distratta a fare altro e smetti di proiettare la tua energia in quel punto. Bellissimo. Perfetto. Ma dura poco. 

A conti fatti rimane soltanto una cosa da fare: fottersene. Ma non è da tutti. Perché se sei una che le cose le vuole risolvere, girarti dall’altra parte come se la questione non ti riguardasse non è facile. A volte non è neppure difficile, è semplicemente impossibile. Eh. Quindi? Niente. Quindi niente.

Però.

Però se appena appena vedi una piccola apertura, basta soltanto un raggio di sole che sbuca inaspettato, allora pensi: va bene, vedrai che anche questa maledizione che sembra eterna, eterna non è. Nulla è eterno. Certo, sarebbe bello risolverla prima di tirare le cuoia, ma alla fine se non deve essere così io comunque potrò dichiararmi un fottuto osso duro che nonostante non sia riuscito a piegare gli eventi a suo favore non s’è fatto neppure spezzare da loro, mica è poco. Eh.

Quindi? Quindi valutando che ci sono aperture, ci sono sempre aperture, allora viaggiare perennemente a testa bassa potrebbe farci perdere quel raggio di sole improvviso e fugace che ci fa tirare un respiro e ci fa procedere ancora per un po’. E adottare la filosofia del sticazzi potrebbe poi non essere una cattiva idea. Se non si risolve, sticazzi. Non suona mica male.

Sticazzi potrebbe essere la soluzione. Crediamoci.

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(750) Barca

Durante la mia giornata le cose si ribaltano ogni mezz’ora. Come stare in barca, praticamente. Ci sono momenti in cui vorrei urlare “fatemi scendere subito!”, ma mi rendo conto che scendere se ti trovi in mezzo all’oceano non è proprio un’idea brillante. Ecco, io sto in mezzo all’oceano (tanto per rendere il quadro della situazione), quindi di scendere non se ne parla, l’unica cosa che posso fare è imparare a mantenere più che posso l’equilibrio. Questo posso e questo cerco di fare.

E se è pur vero che “finché la barca va, tu lasciala andare”, è anche vero che se la barca la lasci andare e basta – cioé di lei te ne freghi – non puoi neppure pretendere che ti porti dove vuoi tu. Quindi bisogna se non remare per lo meno approfittare del vento più che si può. Questo posso e questo faccio.

Non è che so sempre dove voglio andare, ma mi sono sempre imposta una meta perché girare a vuoto mi rende nervosa. Non pretendo di domare il Destino, ma voglio comunque dire la mia anche se per la maggior parte del tempo vengo bellamente ignorata. A volte essere ignorati è una benedizione, puoi farti i cavoli tuoi senza che nessuno ci metta il naso perché a nessuno frega niente di quello che stai facendo. Se diventa la norma, però, ti rende alieno nella tua terra e una o due domande bisogna pur farsele.

Si è notato che stasera non so bene dove voglio andare a parare con questo post? Bene, è la prova che andare così a naso può farti girare in tondo e se la testa ti gira una buona ragione c’è. Sono comunque partita da una parola, barca, e tutto sommato di barche so ben poco, conosco soltanto la mia ma forse la mia è, in fondo, un po’ come quella di tutti. Tutte le barche hanno un paio di funzioni da assolvere, restare a galla e trasportare qualcuno – spesso con qualcosa, tutte hanno una prua e una poppa, tutte si nutrono di acqua e vento, tutte sognano oceani blu e cieli azzurri spazzati di fresco. In fin dei conti cosa c’è da sapere di una barca se non questo? Il resto son dettagli.

Esattamente come ogni Essere Umano.

 

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(743) Maestosa

Ho un’idea Maestosa della Vita. Di come la Vita è – nonostante tutto quello che di Lei possiamo farci (che non è granché perché non siamo capaci di azioni maestose se non di rado). Eppure la Vita porta in sé – e per sé – questa maestosità in ogni sua espressione. Basta solo farci caso e avremo davanti ai nostri occhi tutte le prove che ci servono.

Questa mia convinzione va contro ogni cosa che affronto quotidianamente perché la Maestosità in gioco non è sempre quella che ti porta carichi di felicità, e forse è ora di sfatare questo mito: la Vita ci vuole vivi ma non necessariamente felici, la scelta sta a noi.

Le proposte che la Vita ci mette a disposizione hanno un miliardo di variabili l’una, cambiano a seconda delle circostanze e degli intrecci e degli incontri e degli incidenti e degli imprevisti e delle sfighe o delle fortune. Variabili a non finire, variabili da perderci il sonno, variabili da sbattere la testa contro il muro. Talmente tanto e talmente tutto insieme che non lo si potrebbe definire se non nel modo che ho scelto io: Maestoso. Un dannatissimo Maestoso modo di farci attraversare ogni atomo dell’Universo con i nostri poveri sensi martoriati.

Come fare per non restare schiacciati da tutta questa Maestosità? Riconoscerla e rispettarla, credo. Non possiamo fare altro se non cavalcarla e sperare che non ci disarcioni. Non dobbiamo fare altro se non affidarci a quello che deve essere senza mai smettere di fare quello che dobbiamo fare: cercare e scoprire, cercare e provare, cercare e trovare. Pezzo dopo pezzo ci faremo un bel puzzle e ce lo guarderemo una volta diventati vecchi, ricordando un po’ e il resto inventando come fanno i bambini. Guarderemo il cielo invidiando le stelle che nonostante la mancanza di vita ancora sanno brillare. E saremo grati per tutto quello che di Maestoso ci avrà attraversato, perché la Vita avrà saputo prendersi cura di noi – nonostante tutto, nonostante noi.

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(725) Testa

Se ti parte la testa son cazzi amari. In tutti i sensi. Conviene tenersela stretta e comunque attaccata al collo. Sarà pure un’affermazione banale, ma tutti la perdono prima o poi e non tutti riescono a ritrovarla, perciò ricordarci dei cazzi amari che ci siamo smazzati a suo tempo – e ringraziare per essere riusciti a ritornare interi – non è poi così banale. 

Perdi la testa quando sei in urgenza di lucidità e quella s’è data perché le circostanze sono tumultuose. Non riesci a controllare quello che ti sta cadendo addosso e neppure te stesso, indifferente che si tratti di catastrofe naturale o innamoramento, le conseguenze sono le stesse: fai e dici cose che non stanno né in cielo né in terra.

Quando la ritrovi, la testa, ti auguri di non aver detto e non aver fatto quello che invece hai detto e fatto e speri che i testimoni superstiti siano stati colpiti da amnesia totale e non tengano memoria alcuna di te sul luogo del misfatto. Non è mai così. Ci saranno sempre foto e video ad immortalare certi momenti, che tu lo voglia o no.

Perdere la testa non è un gioco, non lo fai apposta, ti capita e basta. Non è nelle tue intenzioni, vorresti proprio scansarlo, ti capita e basta. E per quanto tu possa evitare di infilarti in situazioni maledette, non sei mai al sicuro. Certe cose non sono preannunciate da messaggeri dell’Olimpo, ti piombano addosso e ti atterrano. E basta.

E non ti sarà sufficiente l’intelligenza, la sensibilità, la compostezza, l’indifferenza e neppure la saggezza quando ti ci troverai in mezzo, in quel momento sarà la disperazione a spingerti oltre per farti sopravvivere. Sì, anche quando ti innamori.

Detto questo: si salvi chi può.

 

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(722) Soliloquio

Non sono solita bere alcolici, mi sarò sbronzata un paio di volte in tutta la mia vita, eppure oggi ho riletto a casaccio alcuni dei post di questo mio blog e mi sono impressionata. Sembro un’alcolizzata all’ultimo stadio. 

Sto qui a scrivere di pensieri e cose che hanno forma solida soltanto nella mia mente da quasi due anni. Una sbronza bella lunga direi.

Non mi sono mai soffermata sul fatto che chi non mi conosce e passa di qui per caso a leggermi potrebbe farsi un’idea piuttosto squinternata di me – e molto probabilmente succede anche a chi mi conosce nella vita reale. Quindi, visto che non l’ho mai considerato un rischio fino a ora, ho deciso che continuerò a non pensarci. Mi viene più facile.

Quest’ennesimo soliloquio non è che una conferma di tutto quello che il mio stato perenne d’inebriamento comporta: pensieri concatenati che solitamente mi portano a zonzo senza alcuna meta e poi mi lasciano a un angolo o l’altro della strada. Strada deserta, il più delle volte. Che senso ha? Averceli, i pensieri, potrebbe non essere molto sensato ma non posso impedire loro di comparirmi in testa, non scriverli avrebbe ancora meno senso perché mi illudo ancora che uno di questi scritti potrebbe – col senno si poi – rivelarsi illuminante. Non tanto per gli altri quanto per me. Metti che a un certo punto mi viene un pensiero straordinario e poi me lo dimentico… ma scherziamo?!

Chi pensa troppo corre il rischio di intortarsi avvoltolandosi in se stesso. Perdi la bussola, perdi la misura, perdi il controllo. Bisogna ancorarsi a terra in qualche modo e ognuno trova il suo modo. Ecco, il mio modo è pressocché innocuo. Riguarda soltanto me, nessun danno collaterale. Non è mica poco.

Comunque stasera sono in ritardo rispetto al solito e sto crollando dalla stanchezza… questo soliloquio risulterà più alcolico che mai. Quasi quasi me ne faccio un altro. Anzi, ne prendo due. Due on the rocks, ovviamente.

Buonanotte.

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