(985) Rituale

Ognuno di noi ha i propri rituali. Da quando ci svegliamo al mattino a quando ci corichiamo la sera facciamo in automatico dei gesti che abbiamo a un certo punto deciso che per noi così andavano bene. Il nostro cervello e il nostro corpo li hanno memorizzati, in questo modo non dobbiamo più preoccuparci di ricordarli, sono loro a ricordarsi di fare ciò che è stato deciso debbano fare.

Ogni tanto ci faccio caso. Mi sono adeguata a quanto ho ritenuto essere più comodo per farne un gesto abitudinario, automatico, che mi solleva i pensieri.

Dovrebbe essere così, poi alle volte il meccanismo si inceppa: sicura di aver messo le chiavi nella tasca esterna della borsetta, vado a cercarle lì e non le trovo. Panico. Le ho messe in quella interna, perché mi sembrava in quel momento più sicuro. Sono stata scema? No, sono stata brava perché ci ho pensato, solo che poi ho dimenticato il mio lampo di genio e… vabbé… mica si può pretendere più di tanto da me.

Ci sono dei rituali che mi sono costruita nel tempo che rendono i “miei” momenti piacevoli. Non sono moltissimi, ma quei cinque che ormai si sono consolidati se li salto mi mancano. Quindi non li salto. Anche quando sono stanca, anche quando sembra li faccia sovrappensiero. Non li salto mai.

Il mio scrivere ***Giorni Così*** è diventato un rito. Sto iniziando nella mia testa il countdown, perché a settembre scadranno i tre anni di impegno/scrittura e dovrò sostituire questo mio ritrovarmi qui con qualcos’altro. Mi è stato chiesto se sia proprio necessario concludere questo progetto e ho risposto sì. In automatico. Avevo deciso così e così farò. Però.

Però a pensarci è proprio necessario? Rituali a parte, che è sempre un dolore lasciarli, penso che il motivo per cui ho deciso di far durare i miei ***Giorni Così*** tre anni e non di più aveva un senso e quel senso ce l’ha ancora. Nel frattempo la mia vita si è ribaltata più di qualche volta, ma lei lo farà comunque anche se non condividerò i miei pensieri quotidiani qui dentro. Volevo dimostrare qualcosa e credo di averlo dimostrato. Prima di tutto a me stessa. 

Per chi si fosse perso dei pezzi posso solo dire che a fine settembre ribadirò le mie motivazioni e condividerò con tutte le Anime Belle che mi stanno leggendo giorno dopo giorno tutto quello che ***Giorni Così*** è stato ed è per me. 

Promesso.

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(580) Pulitzer

Presentalo brevemente così che possano leggerlo, in modo chiaro così che possano capirlo, in maniera pittoresca perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto così che possano essere guidati dalla sua luce. (Joseph Pulitzer)

Mi sarebbe piaciuto incontrare Joseph, mi sarebbe piaciuto poterci parlare per qualche minuto, capire di che pasta era fatto veramente. Quando leggi una frase come questa e ne fai una bandiera affinché sia chiaro a tutti l’ispirazione a cui attingi, due domande ti si possono concedere, no?

Riuscirei a essere breve e chiara, pittoresca ed esatta, e riuscirei anche a far trapelare l’emozione di quelli che sono stati i miei anni di scrittura. Avrei per lui ascolto totale e immensa gratitudine, il rispetto estatico che si riserva ai Maestri. E c’è un altro Maestro a cui vorrei consegnare tutto questo, non molto lontano da me eppure lontanissimo, e vorrei che lui potesse sentire quanto è riuscito a regalarmi da ogni riga che ha scritto. Ogni giorno, penna in mano e mano che poggia sulla carta, ho tenuto fede al mio impegno per assomigliare a lui almeno un po’. Non importa quanto io sia diventata brava nel fallire, importa che io abbia ancora fede e ancora lo stesso impegno che mi porterà a fallire meglio (Beckett docet). Cos’altro potrebbe essere la mia vita?

Ci sono Maestri e ci sono Allievi, raramente gli Allievi riescono a superare i Maestri e sicuramente non ci riescono se nutrono tale ambizione. Essere Allievo è un grande privilegio, essere ispirato è un grande dono. E, forse, le parole a un certo punto cadrebbero sfinite a metà strada se potessi trascorrere alcuni minuti in compagnia dei miei Maestri. Il silenzio s’imporrebbe come unica via e – forse – come unico grazie possibile. Con commozione, ovviamente. Profonda commozione.

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(365) Trecentosessantacinque

365: i *Giorni Così* che ho scritto, i giorni che ho vissuto, i giorni che sono passati da quel 28 settembre 2016 in cui ho voluto iniziare questa piccola cosa senza senso. Fa impressione, no?

Devo ammettere che non è la prima cosa senza senso che ho fatto, e che le precedenti son durate parecchio, però questa ha un elemento che la rende inaccessibile a qualsiasi altro genio volesse farmi concorrenza: è completamente e assolutamente inutile. Non solo: non viene minimamente pubblicizzata né da me né da alcuno. Provate a fare di meglio se ci riuscite!

La confessione scoop che oggi voglio offrire a chi si fermasse qui per festeggiare è che *Giorni Così* è il mio egoistico modo per tenere traccia di me. Lo faccio già sul cartaceo, è vero, ma lì le cose diventano più psicoanalisi da lettino: dico cosa ho fatto durante la giornata, dico cosa mi ha fatto girare le palle, dico cosa mi propongo di fare il giorno seguente. Una noia da guinness dei primati. Invece, qui sul diario virtuale, mi impongo di parlare d’altro. Parlare di tutto quello di cui di solito non voglio parlare perché mi sembra che sia ovvio, visto che lo penso.

Ho scoperto che quello che penso non è ovvio neppure per me stessa. Una scoperta sconvolgente e nel contempo affascinante, ve lo assicuro. Significa che finché non lo scrivo non so che lo sto pensando. Il che la dice lunga sulla mia presenza mentale in questa dimensione terrestre, ma anche su un altro aspetto della mia persona che viene spesso giudicata malamente.

Mi spiego: quando parto per la tangente e mi infervoro su un concetto, la gente spesso si infastidisce, o si spaventa, perché pensa che io mi voglia mettere in cattedra per fare lezione. Ergo, la gente mi pensa una presuntuosa-a-tratti-arrogante che crede di avere la verità in mano e vuole imporla al resto del mondo. Non dico che non sia così, perlamordelcielo, dico solo che ragionando ad alta voce il pensiero prende una forma che riesco a vedere, che riesco a riconoscere, che riesco a tenere in mano per rigirarmelo per bene e capire un po’ di più. Più trovo davanti a me contrapposizione di veduta e più il pensiero è stimolato a farsi solido, a farsi specifico, a farsi spesso anche ingombrante. E io capisco meglio. Da lì inizio un percorso a ritroso, molto intimo, in cui mi faccio domande pungenti e imbarazzanti (Perché la pensi così? Perché t’incazzi così? Perché parli troppo? E via dicendo… ) e vengo a capo un po’ del mistero che sono.

Ecco, questa cosa qui non ho mai avuto la possibilità di dirla a nessuno. Nessuno me l’ha mai chiesto e nessuno ha mai pensato che al di là di ciò che si vede e si sente può esserci una me piuttosto diversa. Piuttosto in bilico, piuttosto in ricerca, piuttosto vulnerabile. E non è che sia così importante che nessuno se lo chieda, diventa invece di vitale importanza per me perché io ho il dovere di chiedermelo e di non scappare davanti alla risposta. Le risposte che riproducono la realtà delle cose, fanno risultare il mistero che sono meno mostruoso. Più umano. Non per gli altri, no, ma per me stessa sì.

Buon primo anniversario *Giorni Così*!!!

 

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(179) Gratitudine

Si era avvicinato a me timidamente chiedendomi se volessi insegnargli a scrivere nonostante la sua non più verde età: aveva 82 anni. Gli risposi che non avrei potuto insegnargli nulla, ma che avremmo potuto parlare di scrittura e avrei potuto accompagnarlo durante il percorso – voleva scrivere dei racconti.

Diventammo amici e diventai la sua editor per dieci anni.

Dopo un intervento piuttosto deciso su un racconto giallo che, però, risultava essere più un sgambetto al lettore che un guizzo geniale, lui non mi parlò per un mese. Finalmente poi mi chiamò e mi disse: “Hai ragione tu, riscrivo il finale”. Il racconto fu un piccolo capolavoro. Fui orgogliosa di lui, ancora una volta, e lui di se stesso.

“Scrivo perché così non posso morire finché non ho finito di scrivere”, mi disse un giorno.

Da qualche tempo le sue storie facevano fatica a uscire, e a un certo punto fui consapevole che avrebbe mollato le redini poco a poco, discretamente come era stato il suo vivere.

Non è un addio questo, è un pensiero che mi permetterà di stargli vicino e accompagnarlo comunque, anche se da lontano. Quest’amicizia così inaspettata e speciale non finirà solo per uno stupido sfasamento dimensionale.

Grazie Giorgio. Grazie.

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(83) Curioso

E’ curioso il mio modo di affrontare il mio lavoro. Dico “mio lavoro” perché me lo sono scelta io e potrebbe sembrare sia stata una scelta oculata. No, non lo è stata. La potrei definire una scelta azzardata, piuttosto.

Non sono una giocatrice d’azzardo, è una attività che non mi ha mai attirata. Eppure, lo so è strano, nella mia vita ho azzardato parecchio.

Dal mollare tutto per scoprire se la scrittura poteva diventare una cosa seria al mollare tutto per scoprire se in Scozia potevo rifarmi una vita.

(mi accorgo ora che il comune denominatore del mio azzardo è “il mollare tutto”… inquietante)

E sono solo i casi più clamorosi, in realtà azzardo ogni giorno e lo faccio a random. Senza un apparente criterio, solo seguendo una forte intuizione.

Dicevo che trovo curioso questo mio modo di affrontare il mio lavoro, ma forse avrei dovuto confessarlo subito: è curioso il mio modo di affrontare la vita. La mia vita, che è un azzardo e che non so immaginare diversamente.

Curioso, sì.

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(37) Istante

Quell’istante prima che le dita inizino a galoppare sulla tastiera: il vuoto. Avevi in testa tutto per bene e poi ti metti lì in posizione e… niente.

Se fossi meno vissuta dagli eventi della vita penserei che non fa per me. Dovrebbe venirmi naturale no? Diamine lo faccio da troppo tempo per avere questi blackout neuronali!

No, non è così. L’istante prima della scrittura per me è vuoto. Solo respiri e attesa. Se tutto va bene, un nanosecondo dopo la galoppata inizia. Se va male, distraggo la mente con qualsiasi cosa di stupido mi passi davanti (o mi rimbambisco con BubbleShooter) e quando sono esausta da tutta quella stupidità mi rimetto in posizione e via.

Non credo funzioni così per tutti, per me sì.

Il punto è che cavalcare il tempo della scrittura pensando che tu sia il cavaliere è ingenuo. Tu sei il cavallo e il cavaliere-tempo tiene le redini. Se ti ordina di andare ti muovi, se ti ordina di fermarti tu resti lì.  Il cavaliere-tempo è un meccanismo delicato che a sua volta viene governato dall’energia sottile che soffia come un vento tiepido. Con vento contro il cavaliere-tempo si ferma, con vento a favore il cavaliere-tempo va. Se si ferma tu ti fermi, se va tu vai.

Credo che il cavallo sia un animale superbo, ma che spesso dà di matto perché viene preso da paura o fregola. La sua potenza può ritorcerglisi contro.

Quando, però, è al galoppo… che spettacolo!

b__

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