(978) Levare

Quando cammini ancorata a terra ti vien difficile levare il capo e guardare quello che ti sovrasta (solitamente il cielo). Guardi a terra per non inciampare – se sei come me che basta un ologramma per farmi rotolare al suolo – o ti limiti a stare sulla linea a collo dritto.

Levarsi dalla terra costa fatica. Bisogna prima rendersi conto che lo si può fare, non è scontato. Non lo è .

Forse il peso del corpo che sentiamo al mattino è dovuto alla mancanza di peso del corpo nei sogni che lasciamo posare sul letto dopo che ce ne siamo andati. E forse non ci si può fare niente al riguardo. Non lo so.

Levarsi dai rumori del traffico, estraniarsi dal movimento del mondo, aiuterebbe? Forse. In realtà, non lo so. Non so quanto io sia in cerca di motivazioni per levarmi dal mio qui interiore. Un punto preciso, che non si lascia cancellare. Che fastidio ti dà? È soltanto un punto, diamine!

E me lo dà, un sacco di fastidio, perché non mi fa levare dal profondo e il profondo dopo un po’ diventa stucchevole. Ti impone di toglierti da lì. Non puoi fare finta di niente. Quindi la soluzione è levare il capo e guardare quello che hai sopra: una volta decorata o un cielo di nuvole? 

Il collo si tende, la nuca si flette all’indietro. Se ti lasci andare, le braccia si fanno sollevare volentieri e il morso si rilassa istantaneamente. Potrebbe essere un sorriso quello? Potrebbe.

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(977) Eureka!

Nessuno parla di quello che sta dietro all’ispirazione. Di quella cosa appiccicosa che ti intacca il cervello e che finché non sei riuscita a tirarne fuori qualcosa non c’è verso di liberartene. Nessuno ne parla. Forse perché capita soltanto a me.

Nella solitudine di questa constatazione cercherò di parlarne io. Non perché sia così interessante, ma piuttosto per la sua natura inedita. Una volta tanto parlo di qualcosa che conosco soltanto io. Entuasiasmante.

Allora, il tutto si può sintetizzare così: l’ispirazione arriva e ti lascia una gran bella sensazione. Quella cosa non ha ancora una forma, ma sai che in qualche modo una forma da lì dentro riuscirai a tirare fuori. Questo perché hai un’alta considerazione delle tue capacità (che sfiora l’autoesaltazione) e finché non dimostri a te stessa il contrario (il che non succede raramente) perseveri nella ricerca. Tieni botta perché hai fiducia in quell’energia che prima o poi ti solleverà e ti farà trovare ciò che stai cercando. Anche quando non sai cosa diavolo stai cercando. Insomma, per gli altri sei una folgorata mentale, per te è tutto nella norma quindi si procede.

L’ispirazione è veloce ad arrivare e veloce ad andarsene. Se non l’acchiappi al volo non ne resta nulla, ma diamo per scontato che ce la fai e che ora la tieni in pugno. Diamo anche per scontato che come apri il pugno, addio ispirazione. Fatto sta che giri per giorni giorni e giorni con il pugno chiuso, sperando che arrivi una buona idea che ti risolva la situazione. Giorni giorni e giorni e non arriva niente.

Niente.

Niente.

E allora il tuo umore cambia. Da sicuro e strafottente diventa buio. Poi nel buio dilaga la depressione. Che si trasforma in incazzatura, che si traduce in un odio viscerale per tutto quello che sei e che fai.

Il niente si è preso tutto. E quando ti sei stancata, deponi le armi. E lì succede.

Eureka!

Hai trovato quel che ti serve. No, non quello che pensavi ti servisse, un’altra cosa che non c’entra niente. Ma non quel niente che si sta dissolvendo, un niente che puoi modellare per far diventare qualcosa.

Ecco.

Forse ho davvero il cervello folgorato, ma le mie sinapsi seguono ‘sta dinamica per funzionare e non ci posso fare niente.

Niente.

Niente.

Proprio niente.

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(852) Scontato

Entrare dentro i mondi delle persone è sempre questione delicata. Devi esserci portato o come ti muovi fai danni. Spesso le persone ti invitano e ti aprono la porta, ma soltanto perché non sanno i rischi che corrono. A saperlo, uno ci pensa più di una volta prima di farlo. 

Mi sono fermata spesso sulla soglia. Ho fatto fermare spesso le persone sulla soglia. Non so se ho fatto bene o male. L’ho fatto e basta.

Sono giorni che mi passa dentro un fastidioso aratro, non so che cavolo voglia scavare ancora, mi sembrava che il più fosse venuto in superficie. Sbagliarmi mi rende nervosa. Ieri non ho scritto nulla, oggi faccio fatica (si capisce?), forse dopo 850 giorni così me lo posso anche permettere, no? Scrivere non è scontato, neppure se non vorresti fare altro al mondo.

Conosco un migliaio di persone che continuano a ripetersi che un giorno scriveranno un romanzo. Raramente lo fanno. Scrivere non è scontato, è una scelta e una fatica. Seppur non vorresti fare altro.

Fatto sta che in questi giorni di aratura, mi infastidisce anche solo il pensiero che tra la tastiera e le mie dita ci siano degli spazi. Horror Vacui. Che ne so. Non ci dovrebbero essere spazi, ci dovrebbero essere soltanto parole, una attaccata all’altra come quando non esisteva la punteggiatura. Tu pensa che artista, però, chi ha inventato le virgole e i punti e gli spazi. Uno che del respiro e del ritmo ha saputo far altro che mera sopravvivenza.

Vabbé, riprendo il filo della non-logica di stasera. Sto vagando in questi spazi e le parole non mi si legano ai concetti, un po’ la febbre e un po’ che-ne-so-io, il punto è che non so come uscirne. Sono partita pensando ai mondi e alle persone che li abitano, ho pensato anche al mio mondo e a chi permetto di abitarlo e devo ammettere che pensarci  è già un inizio. Magari mi porterà da qualche parte, prima o poi. Oltre la soglia.

Dai, intanto oggi ho scritto. E non era proprio per niente scontato. Per niente.

 

 

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(802) Data

Lo diamo per scontato, pensiamo che sia facile, invece fissare una data non è mai facile. Mai. Né fissarla in calendario né nella memoria, a meno che non sia segnata prima nella tua carne perché importante per te. Così importante da non potertela dimenticare.

Odiavo studiare storia per la sfilza senza senso di date da imparare a memoria, battaglie e conquiste e sconfitte, ognuna di loro sembrava fondamentale e poi scoprivi che era solo una delle tante e che di lei nessuno se ne faceva più nulla. Andiamo per balzi, fatemene memorizzare un paio per secolo e vedrete che saprò fissarne una ventina senza troppi scompensi neuronali, tranquilli prof. Niente da fare. Insensato.

Le date si fissano e per qualche motivo slittano, come se la superficie su cui le punti fosse cosparsa d’olio. Più ti fissi nel fissarle e più sfuggono al controllo, manco avessero un proprio volere da imporre. Vincono sempre loro, comunque.

La data mi è vitale per tenere conto dei giorni che mi stanno triturando, faccio fatica al mattino a ricordare che giorno è quello che sto per affrontare e vivere, come se nella mia testa ci fosse un giorno ininterrotto dove il presente è un ripetersi di un qualche passato e il futuro sia soltanto un breve passaggio da qui a lì. Boh.

E i lunedì sono come i venerdì, ma più pigri anche se meno stanchi. I martedì hanno poco peso perà sommati al peso dei mercoledì e del giovedì fan venire il mal di schiena. Ecco, la data è un ancoraggio che a volte vorrei togliere per provare a non avere ieri e neppure oggi e figuriamoci domani, avere solo l’adesso e vedere come va. Come potrebbe funzionare?

Forse non funzionerebbe, forse ogni mia data è la ragione per cui ancora sto qui. E scrivo.

Boh.

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(661) Moltitudine

Quando è troppo è troppo. Una moltitudine per me è sempre troppo. Preferisco poche cose per volta, poche persone per volta, pochi pensieri per volta, poco insomma. Nel poco riesco a destreggiarmi meglio, riesco a fare meglio.

C’ho messo un bel po’ a rassegnarmi che contenevo moltitudini (grazie Walt Whitman) e che andava bene così. Temevo per la mia autenticità, eppure una cosa non va a inficiare l’altra – ho scoperto in età matura.

Man mano che accettavo la mia moltitudine riuscivo a individuare quella altrui, un po’ destabilizzante ma un cambiamento opportuno per la sopravvivenza. E a un certo punto il giudizio quello brutto cade, ci si sente persi, sembra che tutto sia lecito e tutto plausibile. L’età avanza e recuperi i filtri, riprendi in mano il tuo metro per misurare e valutare secondo altri criteri: quel che per te va bene ed è giusto e quello che non lo è. Dai per scontato che non sia un parere universale, è soltanto il tuo. Questo ti permette di ripercorrere il concetto di “moltitudine” con una certa serenità nell’anima. Segui la voce che ti rassicura: “Va tutto bene”.

A volte le credi, altre meno, ma lei non smette di restarti accanto e intanto il tempo passa.

Ci sono diversi strati dentro di me, alcuni me li sono dimenticati sotto la polvere, altri li ho archiviati perché non mi servono più. Faccio fatica a buttarli, e non lo so il perché. Un dato di fatto è che troppe cose e troppa gente mi creano ancora fastidio, troppo rimane troppo per me. Forse perché ho imparato come stare immersa nel niente. O forse me la sto soltanto raccontando, mah!

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(639) Tempo

Un giorno una mia cara amica mi ha detto: “Babs non ti preoccupare che il tempo è galantuomo”. Ero molto preoccupata, in realtà, e la frase anche se mi ha procurato una scossettina, non mi aveva convinta granché. Consideravo lo scorrere della mia vita, lo disfacimento del corpo e dei neuroni, e trovavo tutto piuttosto crudele, per nulla gentile.

Oggi, però, ho risentito la voce della mia amica pronunciare quella frase, rimasta tra un neurone e l’altro per molti anni, e ho annuito. Così è. 

Succedono delle cose che sono risposte perfette a domande che mi sono fatta tanto tempo fa, del tipo: mi sono sbagliata? Ho visto male? Ho preso un abbaglio?

La risposta è: no.

No, ci ho visto giusto solo che il tempo ancora non se n’era accorto. Poi le cose si sono esplicitate meglio e la realtà ora sta parlando. Peeeeeeeeeeeeerfetto.

Significa che faccio bene a dubitare di me, ovvio, ma che dare per scontato che è finita lì… quello devo evitarlo perché il tempo ha l’ultima parola. Un’altra cosa che devo smettere di fare è sottovalutare quell’incazzatura che mi nasce dalle viscere, perché quando sale e si fa presente ha sempre una buona ragione – un’ottima ragione che si rifà sempre a: una mancanza di rispetto o di scrupoli, oppure la presenza di malafede. Questo basta per farmi sedere sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere passare.

Tempo al tempo, quindi. Me lo ricorderò.

 

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(616) Giotto

Disegnare una perfetta circonferenza senza bisogno del compasso. Questo sapeva fare Giotto, fin da piccolo. Credo sia quello che io sto cercando di fare con la mia vita, fin da piccola. La similitudine si conclude qui.

Se faccio una cosa tento di farla al meglio, dev’essere bella oltre che utile. Nove volte su dieci fallisco, non è mai bella quanto mi immaginavo né utile così come avrei voluto. Non importa, sarà per la prossima volta.

Eh! Magari. Magari riuscissi ad asciugarmela così, la prossima volta, pazienza. Naaaaaaa. Io ci rimurgino, mi mortifico, mi autoflagello, e dopo aaaaaaaaaaaaanni (forse) dimentico. Mai totalmente, solo quel tanto per rendere le cose un po’ più confuse e le recriminazioni un po’ meno fondate. Stemperato dalla memoria, il ricordo lascia spazio a giustificazioni e aggiustamenti, così diventa più sopportabile.

No, non sto parlando di grandi fallimenti, ma anche di cose piccole. Davvero, dico sul serio, anche una cosa che nessuno si potrebbe mai ricordare – ma io sì – e di cui tutto il mondo se ne frega – ma io no – per me diventa motivo di martirio. Qualcosa in me non funziona come dovrebbe, non so cosa, ma è evidente.  Riesco a rendermi la vita un inferno per ragioni inesistenti… ma perché?!

Forse l’ambizione di essere una Giotto contemporanea è un pretesto per darmi le martellate sulle nocche… cavoli. Fosse così sarebbe terrificante.

Non voglio saperlo, voglio solo concentrarmi sul fatto che la circonferenza perfetta a mano libera è l’estrema Bellezza. Un viaggio del tratto che si compie senza incidenti, senza impedimenti, senza indecisioni. Il tempo di un respiro, neppure troppo lento, e lì sotto ai tuoi occhi, sotto la punta della matita… la Meraviglia.

Diamo per scontato che incidenti, impedimenti, indecisioni e vari casini sparsi stanno facendo del cerchio della mia vita una cosa ben poco perfetta e non del tutto bella. Diamo per scontato che se riuscirò a riportarmi nel punto in cui tutto è iniziato, molto probabilmente, non me ne accorgerò neppure. Diamo per scontato che mi gestirò ogni respiro in modo scellerato – apnee, rantoli, singhiozzi e quant’altro – e avrò sempre troppo poco fiato o talmente tanto da andare in iperventilazione e schiantarmi a terra.

Va bene, ma almeno le buone intenzioni le ho mantenute. Non era affatto scontato. Per niente proprio.

 

 

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(366) Arrovellarsi

Sembra che io non faccia altro che arrovellarmi sulle mille problematiche esistenziali che mi coinvolgono, e forse è proprio così. Non lo faccio apposta, mi ci trovo infilata dentro e non capisco come. Addirittura con coerente continuità! Com’è possibile?

Credo che a un certo punto la cosa mi abbia preso la mano e via. Come se fosse stato chiesto a me, a me!, di venirne a capo. Come se fosse stato chiesto a me, a me!, di trovare una soluzione. Come se fosse stato chiesto a me, sempre a me!, di salvare il mondo. Eh no! Nessuno mi ha mai chiesto nulla. Faccio tutto in autonomia. Me la canto e me la suono, one-woman-band. Una vera idiota.

La possibilità di godermi la vita con leggerezza, in fondo in fondo, mi fa schifo. Mi sembra una perdita di tempo. Mi sembra sia un buttare un’occasione che non tornerà più. Una vera idiota, confermo.

La giustificazione che nessuno me lo ha insegnato pertanto non so come si fa non regge. Poteva essere valida quando ero giovane, ma come ho imparato a stare davanti a un microfono senza che nessuno me lo insegnasse posso anche imparare a non dannarmi l’esistenza. Non sarà mica così diverso! Solo che non mi ci sono mai messa, non l’ho mai considerato come un ostacolo alla mia felicità, ho dato per scontato che fosse così e pace. Invece no. Raramente così e pace riguarda me e certamente non in questo caso, quindi dovrò arrovellarmi sul fatto che non ho mai pensato fosse importante pensarci. Vie d’uscita non ne vedo, ma su questo non voglio ancora arrovellarmici su.

Magari domani.

 

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