(719) Aperitivo

In origine l’aperitivo era una bevanda alcolica (a base di vini invecchiati, vermut, o di amari vegetali come la china, il rabarbaro, il carciofo, ecc.), che stimolava l’appetito o favoriva la digestione. L’aperitivo ora è un sostituto della cena. E non so come si sia arrivati fin qui, ma la realtà non mente.

Ci sono cose che partono bene, con un senso preciso e ragioni solide, e che con l’andare del tempo vanno in malora. Il perché e il come non è dato saperlo. La parte peggiore è che una volta che la situazione si è snaturata, non c’è verso di riportarla sui giusti binari. La si deve dare per persa.

Se l’aperitivo in sé non manderà a scatafascio il mondo, ci sono altre cose che lo faranno e la dinamica non cambierà soltanto perché sono cose più importanti. Una volta che parte la valanga non la fermi più. Diventa brutto il vivere, diventa la tomba di qualcosa che era buona per tutti e che ora è morta. Un esempio? Ok, quand’ero piccola entravo in un negozio qualsiasi e salutavo (così mi avevano insegnato a casa, entri in una stanza e saluti, esci da una stanza e saluti). Chiunque fosse dentro a quel luogo rispondeva al saluto. Era bello, davvero bello. Mi piaceva salutare per far capire a tutti che ero entrata o che stavo uscendo e mi aspettavo lo stesso entusiasmo da parte degli altri. Non venivo mai delusa, anche se non proprio nell’entusiasmo di tutti, i presenti mi salutavano con gentilezza. Ora, quando entri in un negozio la commessa fa fatica anche a guardarti, figuriamoci ad accoglierti con un sorridente saluto. Dai quasi fastidio.

Lo capiamo o no che togliere il saluto è l’inizio del declino? Non ti riconosco anche se mi stai davanti, non ti voglio riconoscere e non ti voglio offrire il mio benvenuto perché benvenuto non sei. Un messaggio violento, crudele. Ce ne rendiamo conto o no? Evidentemente non ce ne importa nulla. Peeeerfetto.

Sono partita dall’aperitivo e sono arrivata al salutare, lo so che spesso questi miei pensieri possono sembrare squinternati, ma non sono loro ad esserlo, sono proprio io quella che probabilmente vive in un altro mondo. Eppure non ci posso fare niente, mi piacciono le cose che partono bene, che hanno un intento buono e mi dispiace vederle andare a remengo soltanto perché le persone non le ritengono importanti. Lo sono, altroché.

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(263) Folks

Me lo chiedono spesso perché nella formula di saluto dei miei programmi radiofonici io usi la parola americana folks. Anche oggi è successo. 

In realtà, è nato tutto perché volevo trovare un modo di salutare che non fosse legato alla parola amici (perché non è che io conosca tutti quelli che si sintonizzano per ascoltare i miei programmi, e sono quasi certa che neppure il 5% dei miei amici è solita ascoltare i miei programmi) oppure ascoltatori (perché è un termine che non mi appartiene, non sono mica Linus a Radio Deejay!).

Al tempo (era il 2008, se non erro), nel rimurginare m’è venuto in mente la formula dei Looney Tunes che compare alla fine di ogni puntata.

Riproporla pari pari mi sembrava di cattivo gusto, ma Folks mi piaceva perché è un modo affabile di rivolgersi a qualcuno anche se non lo si conosce di persona. Le formule in italiano sanno di presa in giro: Ciao Gente!  oppure Ciao Cari! oppure Ciao Belli! e via di questo passo. 

Bentrovati Folks! – mi suonava bene, un bel benvenuto. Così ho iniziato a usarlo ed è rimasto il mio modo per rivolgermi a chi non posso vedere e che ha voglia di stare con me il tempo della puntata in questione. Un saluto rispettoso e affabile.

Ad alcuni ho scoperto che dà fastidio, un po’ mi dispiace, ma non è che cambi molto. L’intento con cui è nato questo mio approccio radiofonico mi è chiaro, mi ha anche portato molta fortuna – visto che sto ancora conducendo i miei programmi e che stanno andando bene – quindi credo lo terrò con me.

Spero non vi dispiaccia, Folks.

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