(734) Rugiada

Ho dovuto imparare a scrollarmi la rugiada di dosso al mattino presto perché il lavoro lo devi andare a incontrare e non ti viene a svegliare a letto come faceva la mamma quando andavi a scuola. Sono un animale notturno, una civetta direi, e questo fa di me lo strazio che sono: comincio a carburare leeeeeeeeeeeentamente e non andrei mai a dormire perché durante le ore tarde il mio cervello – quando non troppo devastato dalla giornata – inizia a funzionare alla grande.

Il mattino, un tempo, lo detestavo. Dovevo alzarmi per fare quello che odiavo fare. L’indolenza adolescenziale me la sono lasciata alle spalle, ma mi è comunque ostico il pensiero che la sveglia puntata alle 6.00 sta suonando e io non posso far finta di niente. Dentro di me l’imperitura lotta fra il chissenefrega e il fai-il-tuo-dovere è sempre cruenta come allora. Stoicamente mi alzo, stoicamente mi butto in doccia, stoicamente arrivo all’auto e affronto la solita coda in tangenziale. Tutto peeeeerfetto.

Mentre percorro gli oltre 30 chilometri per recarmi in ufficio butto lo sguardo sui prati e sul ciglio della strada e quella rugiada che luccica pare un po’ la mia, quella che mi sgocciola dentro. Alla fine sono uguale a un filo d’erba. Considerazione illuminante, vero?

Senza crogiolarmi troppo in quest’ultima immagine, faccio presente che comunque preferirei essere a Bali e godermi il paradiso terrestre, che comunque penso che il mio mattino non abbia l’oro in bocca ma a malapena un ettolitro di caffè da ingurgitare, che comunque ‘sta cosa del viviamo di giorno e dormiamo di notte dovrebbe essere un’opzione e non un’imposizione, che comunque avrei preferito fare la rockstar che qualsiasi altro lavoro al mondo… ma.

Ma il mio cervello in parallelo pensa già a come affrontare ogni punto della lunga lista di cose da fare, a come risolvere quel tal problema, a che idea aggiungere alla presentazione che sto lavorando e via di questo passo. Il mio cervello, la parte che funziona e che non si piange addosso, si formatta autonomamente per permettermi di funzionare – nonostante tutto, nonostante me – fino a notte inoltrata quando appoggio la testa sul cuscino e mi arrendo all’oblio.

Il mio cervello asciuga la rugiada senza neppure il bisogno di un fòn. E io dovrei essergliene grata. Molto anche.

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(520) Brina

La brina è un ghiaccio gentile. Si scioglie con poco, è discreta. Fa luccicare qualsiasi cosa quando si appoggia, i cristalli si animano e sembra tutto più bello. Ha origine nella rugiada e lì ritorna, appena la temperatura glielo permette. L’ho già detto: è discreta.

Le persone-brina sono le mie preferite. Non ce ne sono tante in giro, ma quando ne incontri una non puoi che riconoscerla come Essere Delicato. Senti un fresco luccicore nella spina dorsale e appena te ne rendi conto se n’è già scivolata via come solo una goccia sa fare.

Non rimangono mai troppo a lungo, sono sensibili a ogni cambio di temperatura, sanno quando brillare e quando sciogliersi – senza che nessuno glielo abbia mai insegnato, è una dote naturale. 

Le persone-brina non hanno il ghiaccio nel cuore, altrimenti non potrebbero cambiare forma e sostanza. Le persone-brina non si appiccicano come colla, loro sono libere di andare appena l’aria gira.

Le persone-brina se si posano su di te non lo fanno per coprirti o per schiacciarti, ma solo per farti un po’ compagnia e darti quella luce che ti manca.

Le persone-brina non si fanno abbracciare, e questo è un peccato, e non si fanno neppure possedere, e questa è la loro fortuna. 

Ne vorrei incontrare di più, ma come ho già detto sono rare e silenziose, se non presti attenzione rischi di calpestarle senza neppure capire cosa ti sei perso.

La vita è lieve per le persone-brina, anche se la solitudine a volte può pesare più di un macigno. Almeno così lo immagino io, che sono poco brina – probabilmente.

 

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